Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 91 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 91 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 34461-2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato COGNOME PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2911/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato in data 5 luglio 2011, NOME COGNOME – promissario acquirente di un immobile – conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE società promittente alienante, per sentire condannare la convenuta a versare in suo favore la complessiva somma di € 365.000,00 (oltre interessi legali e rivalutazione),
corrispondente alla restituzione di €165.000 per gli acconti versati e €200.000,00 quale somma pari al doppio della caparra confirmatoria da lui versata a norma dell’art. 1385 cod. civ.
1.1. Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE elevando domanda in via riconvenzionale per sentir trasferire – con sentenza costitutiva che tenga luogo del contratto definitivo di compravendita non concluso dalle parti – la proprietà delle porzioni di fabbricato urbano di nuova costruzione oggetto del contratto preliminare intercorso tra le parti.
Con sentenza definitiva n. 125 del 2015 il Tribunale di Rimini accoglieva la domanda attorea. Avverso tale decisione interponeva appello la RAGIONE_SOCIALE e con sentenza n. 29 del 2018 la Corte d’appello di Bologna rigettava interamente il gravame, condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore dell’appellato. Per quel che qui ancora rileva, osservava la Corte che:
dalle emergenze probatorie documentali, testimonianze e C.T.U. risulta provato che nel 2011 l’immobile di cui è causa presentasse le caratteristiche lamentate dalla parte appellata, ossia quelle di un immobile conforme sì alle prescrizioni urbanistiche, ma avente caratteristiche differenti da quelle pattuite tra le parti nel contratto preliminare di compravendita;
-ciò ha reso legittimo l’esercizio del recesso da parte del promissario acquirente, poiché l’inadempimento imputabile a parte appellante è consistito nella messa a disposizione di un bene immobile radicalmente trasformato nella sua planimetria interna ed esterna, rispetto a quello oggetto di pattuizione preliminare di compravendita tra le parti;
da tutto quanto sopra consegue il rigetto delle riconvenzionali elevate dall ‘ odierno appellante, poiché il vero e grave inadempimento fu posto in essere da RAGIONE_SOCIALE, mentre COGNOME
legittimamente non acconsentì alla stipula del contratto definitivo in ragione della trasformazione dell’immobile originariamente promesso;
del pari non possono trovare accoglimento le doglianze di parte appellante relativamente all’asserita illegittimità del recesso operato da controparte in data 23 novembre 2010: anche volendo aderire all’impostazione formale da questi prospettata in tema di modalità di esercizio del recesso ex art. 1385 cod. civ., va riscontrato comunque che con atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure il promissario acquirente avrebbe così espresso idonea manifestazione della propria volontà di recedere dal contratto.
Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a tre motivi e illustrandolo con memoria.
Si difendeva COGNOME NOME depositando controricorso. In prossimità dell’adunanza il controricorrente depositava memoria, ove si chiedeva altresì la liquidazione delle spese di lite relative anche al procedimento ex art. 373 cod. proc. civ., nell’ambito del quale la Corte d’Appello di Bologna rigettava l’istanza per la sospensione della esecutività della sentenza di Corte d’Appello di Bologna n. 2911/2018 del 23.11.2018, rimettendo a codesta Corte la liquidazione delle relative spese di lite.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si denuncia violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1457 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente che la sentenza impugnata è errata laddove ha omesso qualsivoglia valutazione con riguardo alla mancanza di un termine essenziale per la stipulazione del contratto definitivo, e ciò nonostante ne avesse fatto conseguire l’accoglimento della domanda di risoluzione dell’odierno controricorrente.
1.1. Come puntualmente rilevato anche nel controricorso (pp. 1011), il motivo è inammissibile, in quanto propone una questione non affrontata nella sentenza impugnata ( ius novorum ), né l’istante chiarisce come e dove abbia fatto valere detta questione nella precorsa fase di merito. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione» ( ex multis : Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13403 del 17/05/2019, Rv. 654166 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, Rv. 627975 – 01).
1.2. Il motivo è altresì inammissibile in quanto non attinge alla ratio decidendi, posto che la soluzione prospettata dalla Corte d’appello prescinde dalla sussistenza di un termine essenziale, facendo leva sulla difformità dell’immobile rispetto alle pattuizioni del preliminare.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1385 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Nella ricostruzione della ricorrente, ove il termine indicato nel contratto preliminare non sia essenziale e sia scaduto senza che seguisse il relativo adempimento, la parte adempiente deve intimare diffida per realizzare gli effetti risolutivi collegati al mancato rispetto del termine, quest’ultimo avente natura essenziale. Nella
vicenda per cui è causa, è pacifico e incontrovertibile che Ginesi nessuna diffida ad adempiere ha mai ritenuto di dover comunicare. Né alcuna comunicazione di recesso è stata mai avanzata all’odierno ricorrente, essendosi i legali dell’attore in primo grado meramente limitati a riportarsi alla lettera del 23 novembre 2010, totalmente inidonea allo scopo, poiché il recesso costituisce esercizio di un potere riservato esclusivamente alla parte, la quale può eventualmente conferire necessaria procura che – a mente dell’art. 1392 cod. civ. -dovrà necessariamente rivestire la forma scritta. Ne deduce la ricorrente che non avendo Ginesi mai articolato né legittima comunicazione di diffida ad adempiere, né successiva legittima comunicazione di recesso, le conseguenti condanne alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto e del doppio della caparra sono ingiustificate e prive di causa.
2.1. Il secondo mezzo contiene due diverse censure: la prima ritorna sul tema del mancato rispetto del termine essenziale; pertanto, rispetto ad essa si ribadisce l’inammissibilità del gravame per le ragioni evidenziate supra , punto 1.1.
2.2. La seconda censura si fonda sulla pretesa insussistenza dell’esercizio del recesso dei promissari acquirenti, e sulla conseguente illegittima condanna dell’odierna ricorrente alla restituzione del doppio della caparra.
2.2.1. Anche questa censura è infondata. La base fattuale di partenza è l’inadempimento del la RAGIONE_SOCIALE, portato ad effetto giuridico risolutorio da Ginesi attraverso la domanda di risoluzione del contratto preliminare di compravendita, abbinata alla richiesta di condanna della società RAGIONE_SOCIALE alla restituzione in favore dell’attore, parte non inadempiente, delle somme corrispondenti agli acconti versati, nonché al doppio della caparra
confirmatoria da quest’ultimo versata alla promittente venditrice, ex art. 1385 cod. civ. Questa Corte ha già affrontato il problema dell’interazione tra risoluzione e recesso, nonché tra risarcimento integrale del danno e ritenzione di caparra ovvero restituzione del suo doppio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 553 del 14/01/2009, Rv. 606608 01). In quella sede, è stato ribadito che l’art. 1385, comma 3, cod. civ. accorda alla parte non inadempiente la facoltà di avvalersi della tutela risolutoria ordinaria, così prevedendo il risarcimento integrale del danno subíto (se provato), secondo un meccanismo processuale ormai del tutto indipendente dalla precedente liquidazione convenzionale e stragiudiziale del danno mediante ritenzione della caparra confirmatoria (o richiesta del suo doppio), ex art. 1385, comma 2, cod. civ. Dalla lettura del dato normativo, oltre ché dall’antinomia sul piano morfologico tra le due azioni (satisfattiva quella risarcitoria, di natura para indennitaria quella di ritenzione della caparra ovvero incameramento del suo doppio) deriva l ‘ infungibilità delle due azioni di risoluzione e recesso e, di conseguenza, la non riconoscibilità automatica alla parte non inadempiente della caparra, quale misura minima del danno risarcibile, ove essa si sia avvalsa in sede di introduzione del giudizio dei rimedi ordinari di tutela. Con la conseguenza che l’originaria domanda di sola risoluzione non può ritenersi legittimamente convertibile in serie di appello in domanda di solo recesso; così come, del resto, specularmente inammissibile deve ritenersi la domanda di risoluzione giudiziale introdotta dopo essersi avvalsi della tutela speciale ex art. 1385, comma 2, cod. civ. (Cass. Sez. U., n. 553 del 2009, cit., punti 4.3., 4.5., conf. di recente da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18392 del 08/06/2022, Rv. 664989 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21971 del 12/10/2020, Rv. 659397 -01).
2.2.2. Mentre, dunque, la domanda di risoluzione proposta in citazione senza l’ulteriore corredo di qualsivoglia domanda risarcitoria non potrà essere legittimamente integrata (da ultimo: Cass. Sez. 2, n. 18392 del 2022, cit.), altrettanto non può dirsi nelle fattispecie in cui come quella in esame – sia stata proposta domanda di ritenzione della caparra (o di restituzione del suo doppio) nell’ incipit del processo, a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell’introdurre l’azione caducatoria degli effetti del contratto. Se questa azione dovesse essere definita di risoluzione contrattuale in sede di domanda introduttiva, sarà compito del giudice nell’esercizio dei suoi poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della domanda stessa convertirla formalmente in azione recesso (Cass. n. 553 del 2009, cit., punto 4.7., lett. f). Il principio è stato ripreso in tema di diffida ad adempiere e ritenzione della caparra confirmatoria, in virtù del quale non è precluso alla parte adempiente di instare per la ritenzione della caparra come azione risarcitoria semplificata rispetto a quella che consegue all’azione di risarcimento integrale giudiziale per la risoluzione costitutiva, essendo potere-dovere del giudice di qualificare l’azione esercitata secondo la vicenda sostanziale e cioè come accertamento della legittimità del recesso e non già risoluzione giudiziale, tanto più che il contraente adempiente non chiede di conseguire un maggiore risarcimento rispetto all’ammontare della caparra, ma dichiara invece di limitare il risarcimento nella corrispondente misura, cosicché affermare l’impossibilità dello ius retinendi della caparra in base al rilievo che l’art. 1385, comma 2, cod. civ. disciplina l’esercizio stragiudiziale del diritto di recesso e non la risoluzione giudiziale, ancorché dichiarativa e di diritto, con conseguente onere, aleatorio, di dimostrare an e quantum del danno a norma dell’art. 1385 comma 3, cod. civ., significa attribuire al nomen
risoluzione un significato esasperatamente formale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2999 del 28/02/2012, Rv. 621537 – 01). Coerentemente a siffatta conclusione, questa Corte ha avuto modo di affermare che: «Riguardo alla caparra confirmatoria, regolata dall’art. 1385 c.c., una domanda di recesso, ancorché non formalmente proposta, può ritenersi egualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla restituzione del doppio della caparra a suo tempo corrisposta quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di tale inadempienza» (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22657 del 27/09/2017, citata nella sentenza impugnata).
2.3. Nel caso di specie, dunque, correttamente la Corte d’Appello ha riscontrato che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di prime cure COGNOME parte non inadempiente, avesse espresso un’idonea manifestazione della propria volontà di recedere dal contratto, così riqualificando l’azione accompagnata expressis verbis dalla richiesta di restituzione del doppio della caparra confirmatoria a suo tempo versata dall’attore (v. sentenza p. 7, 1° capoverso).
Con il terzo motivo si deduce erronea e/o falsa applicazione degli artt. 1455 cod. civ. e 2697 cod. civ. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Lamenta la ricorrente l’erroneità del giudizio di seconde cure laddove è stato ritenuto sussistente un inadempimento a carico della RAGIONE_SOCIALE, mentre lo stesso fosse, invece, di scarsa rilevanza. Non è, infatti, possibile rilevare lo stato dell’immobile promesso in vendita all’epoca del preliminare poiché le fotografie sono sprovviste di data certa: di talché esse non consentono di collocare temporalmente la pretesa conformazione dell’immobile né la presunta trasformazione e la rilevanza della difformità ai fini del rispetto del
preliminare. D’altra parte, la stessa Corte territoriale ha riconosciuto che l’immobile oggetto del contratto è rimasto sempre lo stesso e risulta oggettivamente legittimo dal punto di vista urbanistico, oltre al fatto che -come affermato dalla Corte di legittimità- nella sequenza preliminare-definitivo l’indicazione della res oggetto della futura alienazione può essere anche incompleta e carente sotto l’aspetto dei dati catastali e degli altri specifici elementi ivi individuati del bene, purché risulti certo in base alle emergenze probatorie che le parti abbiano inteso riferirsi ad un bene determinato o determinabile.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
3.2. E’ inammissibile la prima censura, ove si contesta alla Corte d’Appello l’aver pronunciato un convincimento sulla base di risultanze probatorie insufficienti. Il giudice di seconde cure, al contrario di quanto affermato nel ricorso, ha ritenuto non provata la diversa ricostruzione dei fatti proposta da RAGIONE_SOCIALE , attinenti all’esecuzione delle modifiche sull’immobile di cui è causa, basandosi sulla documentazione presente in giudizio, suffragata dalle testimonianze assunte in primo grado (che escludevano il godimento della materiale disponibilità dell’immobile da parte del promissario acquirente tale da poter operare a proprio piacimento le trasformazioni contestate dall’allora appellante), oltreché sulle risultanze della C.T.U. (p. 6 della sentenza impugnata). Non essendo tale analisi dei fatti inficiata da vizi logico-giuridici, tanto basta ad escludere il sindacato del giudice di legittimità ( ex multis , di recente: Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
3.3. Quanto alla seconda censura, riguardante l’asserito mutamento dell’oggetto del contratto preliminare, essa è infondata. Deve innanzitutto precisarsi che la Corte d’Appello ha più volte ribadito -soprattutto sulla base delle risultanze della C.T.U. -la difformità
dell’immobile rispetto alle pattuizioni previste nel contratto preliminare (v. sentenza p. 7, ultimi 5 righi; p. 8, primi 3 righi; p. 9, righi 12-14). Sulla scorta di questo accertamento in fatto, deve qui ribadirsi il principio espresso da questa Corte proprio nella pronuncia richiamata dalla ricorrente (Cass. Sez. 2, n. 8810 del 2003, conf. da: Cass. Sez. 2, n. 2473 del 01/02/2013, Rv. 624872 -01; Cass. Sez. 2, n. 11297 del 10/05/2018, Rv. 648322 02) in virtù del quale l’oggetto del contratto (ossia le prestazioni che le parti si impegnano vicendevolmente a rendere) è sufficiente che sia determinato o identificabile in modo non equivoco (essendo l’oggetto del contratto preliminare costituito non già dalle diverse future sinallagmatiche prestazioni alle quali le parti andranno ad obbligarsi con la stipulazione del contratto definitivo, bensì dalla medesima obbligazione, reciprocamente assunta, d’addivenire, appunto, alla stipulazione del contratto definitivo). Nel caso di specie, l’inadempimento mosso dal promissario acquirente non riguardava, invero, il rifiuto di controparte ad adempiere l’obbligazione oggetto del preliminare, ossia la stipulazione del contratto definitivo; e sso riguardava l’inadempimento dell’oggetto della prestazione assunta dal promittente venditore nel preliminare, ossia consegnare l’immobile inequivocabilmente identificato dalle parti attraverso il contratto preliminare (Cass. Sez. 2, n. 8810 del 2003, in motivazione), non già un fabbricato completamente trasformato, come si presenta va l’unità abitativa di cui è causa a valle degli interventi eseguiti dal promittente al fine di eliminare le irregolarità urbanistico-edilizie.
In definitiva, il Collegio rigetta ricorso, liquida le spese del presente giudizio secondo soccombenza come da dispositivo, provvede altresì alla liquidazione delle spese relative al procedimento ex art. 373 cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in €10.000,00 per compensi, oltre a €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna la parte ricorrente alle spese di lite in favore del controricorrente, relative al procedimento ex art. 373 cod. proc. civ., di rigetto della richiesta sospensione della esecutività della sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 2911/2018 del 23.11.2018 , che liquida in €1.500,00 omnicomprensive.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda