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Recesso contratto di somministrazione: il preavviso

Un fornitore recede da un rapporto commerciale durato oltre dieci anni con un preavviso di pochi giorni. La Corte d’Appello conferma che si tratta di un contratto di somministrazione e che il preavviso era inadeguato. Tuttavia, riforma la sentenza di primo grado riducendo drasticamente l’importo del risarcimento danni, precisando che questo deve essere calcolato sul mancato utile (al netto di costi e imposte) e non sul semplice calo di fatturato.

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Recesso dal Contratto di Somministrazione: Preavviso e Calcolo del Danno

Il recesso improvviso da un rapporto commerciale consolidato può avere conseguenze economiche devastanti. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia chiarisce due aspetti fondamentali: la qualificazione di un rapporto di fornitura continuativa come contratto di somministrazione e, soprattutto, i criteri corretti per calcolare il risarcimento del danno derivante da un recesso senza congruo preavviso. Vediamo come i giudici hanno affrontato un caso emblematico, riformando in modo significativo la decisione di primo grado.

Il Caso: La Brusca Interruzione di una Fornitura Decennale

La vicenda vede contrapposti un fornitore di prodotti da forno e un’impresa commerciale che gestiva due punti vendita. Per oltre dodici anni, il fornitore aveva consegnato quotidianamente il pane al commerciante, instaurando un rapporto stabile e continuativo. A fine novembre 2018, il fornitore comunicava, con un preavviso di soli tre/quattro giorni, l’interruzione delle forniture a partire dal mese successivo, adducendo difficoltà organizzative interne.

Il commerciante, rimasto senza il suo principale prodotto, sospendeva il pagamento delle ultime due fatture e si vedeva notificare un decreto ingiuntivo da parte del fornitore per il saldo dovuto. A questo punto, il commerciante si opponeva al decreto, sostenendo che l’interruzione improvvisa del rapporto configurasse un recesso illegittimo da un contratto di somministrazione. Presentava quindi una domanda riconvenzionale, chiedendo il risarcimento per i danni subiti, quantificati in perdita di clientela, mancato guadagno e maggiori costi per trovare un nuovo fornitore.

La Decisione di Primo Grado: Piena Ragione al Commerciante

Il Tribunale di Vicenza accoglieva le tesi del commerciante. Qualificava il rapporto come contratto di somministrazione a tempo indeterminato, data la sua natura continuativa e periodica volta a soddisfare un bisogno durevole. Di conseguenza, riteneva il preavviso di pochi giorni del tutto incongruo e illegittimo, condannando il fornitore a un cospicuo risarcimento. Dopo aver compensato il debito originario del commerciante, il fornitore si trovava a dover pagare una somma significativa, oltre alla restituzione di quanto già incassato in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo.

I Motivi dell’Appello e la Corretta Quantificazione del Danno

Il fornitore impugnava la sentenza, insistendo su tre punti principali:
1. Errata qualificazione del rapporto, da considerarsi una serie di singoli contratti di vendita.
2. Insussistenza di un inadempimento contrattuale.
3. Errata quantificazione dei danni, ritenuti eccessivi e non correttamente provati.

La Corte d’Appello ha esaminato attentamente ogni motivo, giungendo a una decisione che, pur confermando alcuni principi, ha ribaltato l’esito economico della controversia.

le motivazioni

La Corte d’Appello ha respinto i primi due motivi del fornitore. I giudici hanno confermato che un rapporto di fornitura protrattosi ininterrottamente per dodici anni, volto a soddisfare il fabbisogno costante del commerciante, integra a tutti gli effetti un contratto di somministrazione, anche in assenza di un accordo scritto. Di conseguenza, il recesso con un preavviso irrisorio è stato ritenuto un grave inadempimento contrattuale, come previsto dall’art. 1569 del Codice Civile.

Il punto cruciale della riforma, però, risiede nel terzo motivo: il calcolo del danno. Il Tribunale aveva liquidato il danno basandosi in gran parte sul calo di fatturato subito dal commerciante. La Corte d’Appello ha invece accolto la censura del fornitore, stabilendo un principio fondamentale: il danno da mancato guadagno non corrisponde al mancato ricavo, ma al mancato utile. Dalla somma complessiva dei ricavi persi, è necessario detrarre tutti i costi di esercizio che l’impresa avrebbe sostenuto per realizzarli (costi variabili) e le imposte che avrebbe dovuto versare su quell’utile. Applicando questo criterio, la Corte ha ricalcolato il danno, deducendo una percentuale presuntiva per i costi (30%) e l’aliquota fiscale applicabile (23%). Il risultato è stato un importo del danno notevolmente inferiore a quello stabilito in primo grado.

le conclusioni

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia offre una lezione pratica di grande importanza. Se da un lato viene riaffermata la tutela per la parte che subisce un recesso illegittimo da un contratto di somministrazione, dall’altro si impone un rigore matematico nel calcolo del risarcimento. Il danno risarcibile è solo l’utile netto che si sarebbe ragionevolmente conseguito, non il fatturato lordo. Questa precisazione ha portato a una drastica riduzione della somma dovuta dal fornitore, che, dopo la compensazione con il suo credito iniziale, è stato condannato al pagamento di una cifra quasi simbolica rispetto alla richiesta originaria. La decisione sottolinea quindi l’onere, per chi chiede un risarcimento, di provare non solo la perdita di fatturato, ma anche l’effettivo margine di guadagno perso, al netto di costi e imposte.

Come si distingue un contratto di somministrazione da una serie di vendite separate?
Un contratto di somministrazione si caratterizza per la sua natura continuativa e periodica, volta a soddisfare un fabbisogno durevole del ricevente, come nel caso di forniture quotidiane protratte per anni. Una serie di vendite, invece, rappresenta singoli accordi distinti e non legati da un unico vincolo contrattuale a lungo termine.

Un preavviso di pochi giorni è sufficiente per recedere da un contratto di somministrazione di lunga durata?
No. La sentenza conferma che un preavviso di soli tre o quattro giorni è del tutto incongruo e costituisce un inadempimento contrattuale per un rapporto commerciale durato oltre dodici anni, in violazione dell’art. 1569 del Codice Civile che impone un preavviso congruo.

Come si calcola il danno da mancato guadagno in caso di recesso illegittimo?
Il danno non va calcolato sul calo del fatturato lordo. Secondo la Corte, bisogna quantificare la perdita di utile netto. Dal totale dei mancati ricavi, devono essere detratti sia i costi di esercizio che sarebbero stati sostenuti per generare quel fatturato, sia le imposte che sarebbero state dovute sull’utile conseguente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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