Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15061 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15061 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 31674/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Treglio (CH), alla INDIRIZZO, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Lanciano (CH), alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Pescara, al INDIRIZZO.
– intimata –
e
RAGIONE_SOCIALE, in amministrazione straordinaria, con sede in RAGIONE_SOCIALE, al INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al
contro
ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 294/2020 della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA , pubblicata il giorno 18/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 21/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione impugnò la sentenza del Tribunale di Lanciano del 4 maggio 2015, n. 189, reiettiva della sua domanda di accertamento dell’avvenuta estinzione del rapporto di conto corrente, intrattenuto con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., in esito alla comunicazione del proprio recesso, con conseguente declaratoria di illegittimità ed inefficacia delle annotazioni e degli addebiti successivi alla data della sua estinzione.
1.1. L’adita Corte di appello di L’Aquila respinse il gravame con sentenza del 18 febbraio 2020, n. 294, resa nel contraddittorio con la banca suddetta.
1.2. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte, muovendo dal rilievo che « L’art. 6 delle condizioni generali di contratto sottoscritto dalla società correntista prevedeva che l’effetto di chiusura, in esito alla manifestazione di volontà di recesso dal rapporto, potesse conseguire con il pagamento di quanto dovuto (il testo infa tti così disponeva in proposito: ‘… con effetto di chiusura dell’operazione mediante il pagamento di quanto dovuto’) », ritenne che: i ) « Tale clausola era specificamente richiamata e munita della duplice sottoscrizione ex art. 1341 c.c ., e rientrava a pieno titolo nella possibilità legale delle parti, nell’ambito delle propria autonomia contrattuale, di disciplinare le modalità di recesso e gli effetti di esso, così come di condizionarne gli effetti al pagamento del debito esistente alla data di chiusura del conto »; ii ) « Tale disciplina pattizia, per la quale non v’era reale questione interpretativa alla luce della chiarezza della disposizione ( in NOME
non fit interpretatio) ove il termine operazione non poteva che riferirsi all’estinzione conseguente al recesso -era pienamente legittima in considerazione dell’ampiezza della libertà contrattuale delle parti nel disciplinare i propri rapporti da svolgersi nell’ambito di serviz i non esercitati in regime di limitata concorrenza »; iii ) « Ferma l’inapplicabilità alla fattispecie delle disposizioni del codice del consumo, anche nella previgente disciplina codicistica di tutela del consumatore, alla luce della qualità di società di capitali del correntista, per definizione esclusa dalla tutela del consumatore, le norme invocate da parte appellante non prevedevano alcuna imperativa limitazione alla facoltà delle parti di regolamentare le modalità di esercizio della facoltà di recesso che, ove non fosse stata pattiziamente prevista, era, però, normativamente prevista dalle norme codicistiche relative ai contratti di durata senza determinazione di tempo e dall’art. 120 -bis del TUB. A norma delle suddette disposizioni, mentre doveva ritenersi non legittima l’eventuale disciplina pattizia che escludesse la facoltà di recesso da un contratto di conto corrente senza determinazione di tempo, quale è quello per cui è causa, ovvero che prevedesse una qualsivoglia forma di corrispettivo per l’esercizio del recesso (ad esempio, una multa penitenziale), non poteva ritenersi contra legem la pattuizione che, ferma la validità della manifestazione di recesso, ne differisse gli effetti all’adempimento da parte del recedente delle obbligazioni già dovute in pendenza del rapporto. Tale, ad esempio, il versamento del saldo passivo maturato alla data del recesso, che, in quanto debito preesistente al recesso, non si poteva considerare alla stregua di un corrispettivo o di una spesa collegata all’esercizio del diritto di recesso. Questi ultimi, infatti, avrebbero avuto la loro giustificazione causale nell’esercizio del recesso, incontrando, quindi, il divieto di cui all’art. 120 -bis del TUB che deroga, nella speciale materia bancaria, alla possibilità contemplata dall’art. 1373, III comma c.c.. Invece, laddove, com’è nella fattispecie, la condizione fosse stata causalmente ricollegata al rapporto di conto corrente oggetto della manifestazione di recesso – tale è il saldo passivo del conto corrente alla data del recesso – la pattuizione non violava divieti imposti da norme imperative »; iv ) « Rientrava, quindi, a pieno titolo nel
legittimo esercizio della libertà contrattuale e nell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c. il condizionare l’efficacia della manifestazione di volontà di recesso, all’estinzione del debito pregresso esistente sul conto, tenendo conto che le norme speciali, quali gli artt. 1833, 1845 e 1855 c.c., incidevano esclusivamente sul termine di preavviso, stabilendone la durata minima, mentre l’art. 120 -bis del TUB vietava esclusivamente le penalità ovvero le spese che, a norma della delibera CICR, non fossero ‘ in relazione a servizi non necessari per l’esercizio del recesso o, se necessari, solo quando il servizio presuppone l’intervento di un soggetto terzo e le relative spese sono state pubblicizzate e riportate nel contratto’ ».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, affidandosi a sette motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con ‘ controricorso ‘ , RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in amministrazione straordinaria, mentre non ha svolto difese in questa sede RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che, sia in primo che in secondo grado, è risultata costituita, come unica parte convenuta e, poi, appellata, RAGIONE_SOCIALE, alla quale anche (e soltanto) è stata indirizzata la notificazione dell’odierno ricorso.
1.1. In questa sede, invece, risulta notificato e depositato un atto, denominato ‘ controricorso ‘ , da RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria: in esso, però, non è minimamente spiegato se e come quest’ultima sia succeduta alla prima nel rapporto di cui si discute. Anche la procura speciale allegata al menzionato ‘ controricorso ‘ è conferita da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in a.s..
1.2. Posto, allora, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte, il soggetto che proponga impugnazione oppure vi resista nell’asserita (qui, per la verità, manca anche tale allegazione) qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad
causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova -la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 24050 del 2019, Cass. n. 25344 del 2010 e Cass. n. 22244 del 2006, tutte richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 5478 del 2024. in senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass. n. 13685 del 2006, Cass. n. 15352 del 2010 e Cass. n. 1943 del 2011, alle quali pure hanno fatto riferimento Cass. nn. 10786 e 5478 del 2024), nella specie, deve essere dichiarata inammissibile la descritta costituzione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in a.s., le cui argomentazioni, dunque, non saranno esaminate.
Tanto premesso, i primi cinque motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione degli articoli 1362, 1366, 1270 e 1371 del codice civile in relazione all’art. 360 del c.p.c. ». Si contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto che la clausola di cui all’art. 6, lett. c ), del contratto di conto corrente (trascritta in ricorso) era legittima nell’ambito dell’autonomia contrattuale e chiara nella sua interpretazione. Si assume, invece, che sono stati violati i canoni ermeneutici interpretativi del contratto;
II) « Violazione degli articoli 1325, 1346 e 1418 del c.c. in relazione 360 del c.p.c. comma 1, n. 3 ». Si sostiene che « l’art. 6 citato, nella parte in cui dispone ‘Analoga facoltà di recesso ha il cliente con effetto di chiusura dell’operazione mediante il pagamento di quanto dovuto’, è nullo per difetto di accordo, indeterminatezza e genericità, non essendo stati indicati criteri per la determinazione di ‘quanto dovuto’ e su tale aspetto manca del tutto l’accordo delle parti »;
III) « Violazione dell’art. 1374 del c.c. Violazione dell’art. 1418 del c.c. in relazione 360 del c.p.c., comma 1, n. 3 ». Si censura l’affermazione della corte territoriale secondo cui le norme di legge in tema di recesso da conto corrente non possono essere applicate per la supremazia dell’accordo
contrattuale, « ma tale assunto va disatteso perché in tal modo si legittima la perpetuità del rapporto contrattuale »;
IV) « Violazione dell’art. 120 -bis del c.c. in relazione all’art. 360 del c.p.c., comma 1, n. 3 ». Si deduce che « La Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere che le questioni relative alla validità del contratto sono superate dall’art. 120 -bis del d.lgs. n. 385/93, secondo cui il cliente ha diritto di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato e la facoltà di recesso era prevista anche dall’art. 118 del T.U.B.. La clausola contrattuale contenuta n ell’art. 6, lett. c), ove valida, è divenuta inefficace a seguito della modifica legislativa che ha inserito, all’interno del T.U.B., il nuovo art. 120 -bis e non si poteva statuire che la correntista, per recedere dal conto, doveva pagare il supposto debito »;
« Violazione degli articoli 1322, 1373, 1374, 1833, 1845 e 1855 del c.c., in relazione all’art. 360 del c.p.c., comma 1, n. 3 ». Muovendo dal rilievo che « Tutti gli articoli del codice civile citati, nelle loro varie formulazioni, prevedono il diritto del correntista o del contraente di poter recedere dal contratto di conto corrente o dal contratto a tempo indeterminato, come nel caso di specie », si lamenta che, « in sostanza, la clausola contrattuale prevedeva delle modalità di recesso che si pongono in contrasto con le suddette norme con conseguente illegittimità ».
2.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, tutte investendo l’interpretazione fornita dalla corte aquilana relativamente alla clausola di cui all’art. 6 del contratto di conto corrente intercorso tra le parti (‘ RAGIONE_SOCIALE ha la facoltà di recedere in qualsiasi momento anche con comunicazione verbale dall’apertura di credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o di sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista, con lettera raccomandata, il preavviso non inferiore ad un giorno. Qualora il correntista rivesta la qualità di consumatore ai sensi dell’art. 1469 -bis , comma 2, cod. civ., la RAGIONE_SOCIALE ha facoltà di recedere dall’apertura di credito a tempo indeterminato secondo le modalità sopra indicate; nel caso di apertura di credito a tempo determinato la RAGIONE_SOCIALE ha facoltà di recedere o di
ridurre l’affidamento al ricorrere di un giustificato motivo. Per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista, con lettera raccomandata, un preavviso di tre giorni. Analoga facoltà di recesso ha il cliente con effetto di chiusura dell’operazione mediante il pagamento di quanto dovuto ‘), si rivelano complessivamente inammissibili alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
2.2. Giova ricordare, innanzitutto che, come ancora recentemente riaffermato dalla qui condivisa giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 13621 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023; Cass. nn. 35787, 35041, 29860, 19146 e 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del
2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 13621 e 2607 del 2024).
2.2.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
2.2.2. La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l’astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr. Cass. nn. 13408 e 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
2.2.3. Nel quadro dei riportati princìpi, risulta chiaro che laddove le censure in esame contestano l’interpretazione fornita dalla corte distrettuale con riguardo alla clausola contrattuale di cui all’art. 6 del contratto di conto corrente intercorso tra le parti (la cui avvenuta sottoscrizione anche ai sensi dell’art. 1341 cod. civ. è rimasta incontroversa), esse si risolvono in una sostanziale, inammissibile, rivisitazione del merito, attraverso la proposizione di una interpretazione di tale clausola contrattuale, in senso favorevole alla istante, diversa da quella, dalla stessa contestata, preferita da entrambi i giudici di merito.
2.3. A tanto deve aggiungersi soltanto, che: i ) circa il secondo motivo, pur volendosene sottacere l’assoluta genericità, esso introduce un tema della
cui avvenuta specifica discussione in appello non vi è traccia nella decisione impugnata. Orbene, per giurisprudenza pacifica di questa Corte ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. nn. 2607, 5038 e 6127 del 2024), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr . Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito ( cfr . Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018); ii ) i motivi terzo, quarto e quinto mostrano di non cogliere appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata laddove quest’ultima ha ritenuto, affatto condivisibilmente , -facendo riferimento anche all’art. 120 -bis del d.lgs. n. 385 del 1993 (successivo, peraltro, al contratto di conto corrente di cui si discute) -che mentre è ille gittima un’eventuale disciplina pattizia che escluda la facoltà di recesso da un contratto di conto corrente senza determinazione di tempo (quale è quello per cui è causa), ovvero che preveda una qualsivoglia forma di corrispettivo per l’esercizio del rece sso (ad esempio, una multa penitenziale), non può ritenersi, invece, contra legem la pattuizione che,
ferma la validità della manifestazione di recesso, ne differisca gli effetti all’adempimento, da parte del recedente, delle obbligazioni già dovute in pendenza del rapporto ( cfr . pag 6-7 della sentenza impugnata, ove si considera « Tale, ad esempio, il versamento del saldo passivo maturato alla data del recesso, che, in quanto debito preesistente al recesso, non si poteva considerare alla stregua di un corrispettivo o di una spesa collegata all’esercizio del diritto di recesso. Quest i ultimi, infatti, avrebbero avuto la loro giustificazione causale nell’esercizio del recesso, incontrando, quindi, il divieto di cui all’art. 120 -bis del TUB che deroga, nella speciale materia bancaria, alla possibilità contemplata dall’art. 1373, III comma c.c.. Invece, laddove, com’è nella fattispecie, la condizione fosse stata causalmente ricollegata al rapporto di conto corrente oggetto della manifestazione di recesso – tale è il saldo passivo del conto corrente alla data del recesso – la pattuizione non violava divieti imposti da norme imperative »); iii ) il recesso dal contratto di apertura di credito (giacché a questa tipologia di contratto -e non al contratto di conto corrente -fa riferimento la già riportata clausola contrattuale di cui si discute, e non di contratto conto corrente) è una facoltà riconosciuta dall’art. 1845 cod. civ., in relazione alla quale, peraltro, la clausola di cui si discute (come si è già detto specificamente approvata anche ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.) non pone limitazioni al suo valido esercizio da parte del cliente/correntista, bensì, unicamente, condiziona gli effetti concret i dell’esercitato recesso ad un evento (pagamento dell’eventuale debito derivante dall’apertura di credito, ove esistente al momento del recesso) chiaramente individuato.
Il sesto ed il settimo motivo di ricorso, denunciano, rispettivamente, in sintesi:
VI) « Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, del c.p.c. », ascrivendosi alla corte di territoriale di non aver provveduto sul motivo di appello con cui era stata lamentata la mancata compensazione delle spese di primo grado malgrado la soccombenza reciproca dovuta al rigetto dell’eccezione di incompetenza terri toriale sollevata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a.;
VII) « Violazione dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, del c.p.c. per omessa motivazione ». Si assume che, anche a volersi ritenere che vi sia stata pronuncia della corte distrettuale sul terzo motivo di appello relativo alla mancata compensazione delle spese di primo grado per soccombenza reciproca, la sentenza impugnata sarebbe comunque illegittima per difetto assoluto di motivazione sul punto.
3.1. Tali doglianze, scrutinabili congiuntamente perché evidentemente connesse, si rivelano complessivamente infondate.
3.2. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che: i ) la corte distrettuale, dopo aver respinto le precedenti doglianze dell’appellante ritenendo la piena legittimità della più volte menzionata clausola di cui all’art. 6 del contratto di conto corrente intercorso tra le parti, ha espressamente affermato che « Conseguentemente, l’appello deve rigettarsi anche relativamente agli altri motivi di gravame, inerenti le spese e la richiesta ex art. 96, ultimo comma, c.p.c. » ( cfr . pag. 8 della sentenza impugnata); ii ) ove pure volesse prescindersi da quest’ultima motivazione, dovrebbe comunque considerarsi che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte: ii-a ) ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti, come in questo caso, il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione ( cfr . Cass. nn. 4024, 1863 e 1798 del 2024; Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020); ii-b ) nel caso in cui, pur in mancanza di espresso esame del motivo di impugnazione relativo alle spese di primo grado, l’appello sia stato interamente rigettato nel merito con condanna dell’appellante al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado, non ricorre l’ipotesi dell’omesso esame di un motivo di appello, né quella del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cd. ” minuspetizione “), atteso che la condanna alle spese del
secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto ed assorbito dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell’impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado ( cfr . Cass. n. 2830 del 2021); iii ) in materia di compensazione delle spese, « il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa » ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 9014 e 3308 del 2023; Cass. n. 37825 del 2022; Cass. n. 10685 del 2019), altresì ricordandosi che è la statuizione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale ( cfr., ex multis , Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. nn. 11744 e 6756 del 2004; Cass. n. 10009 del 2003). In altri termini, la facoltà di disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in Cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione ( cfr. Cass. n. 11329 del 2019).
4. In definitiva, il ricorso di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione deve essere respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, stante l’inammissibilità della costituzione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in a.s. e l’essere rimasta solo intimata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002,
i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile