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Recesso appalto: la clausola di rinnovo non lo esclude

Una società di trasporti si è opposta al recesso di una società committente da un contratto di appalto, sostenendo che la disdetta fosse tardiva a causa di una clausola di tacito rinnovo. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto di recesso appalto del committente, previsto dall’art. 1671 c.c., coesiste con la clausola di rinnovo. Pertanto, il recesso era legittimo, sebbene potesse dar luogo a un indennizzo, che nel caso specifico non è stato riconosciuto perché richiesto tardivamente e non provato.

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Recesso Appalto e Tacito Rinnovo: Quando il Committente Può Dire “Basta”

Nei rapporti commerciali di lunga durata, è prassi comune inserire clausole di tacito rinnovo per garantire continuità senza dover rinegoziare continuamente i termini. Ma cosa succede se il cliente, nonostante il contratto si sia appena rinnovato, decide di interrompere il rapporto? La facoltà di recesso appalto è ancora valida? Con l’ordinanza n. 15335/2024, la Corte di Cassazione offre un chiarimento fondamentale, stabilendo che il diritto di recesso del committente previsto dall’art. 1671 del codice civile non viene meno solo per la presenza di una clausola di rinnovo automatico.

I Fatti del Caso: Un Contratto di Trasporto e una Disdetta Tardiva

Una società di trasporti aveva stipulato un contratto triennale per un servizio di trasporto persone con una società committente. Il contratto prevedeva il rinnovo automatico per ulteriori tre anni, salvo disdetta da inviare sei mesi prima della scadenza. A gennaio 2009, quando il contratto si era già rinnovato per il triennio 2009-2011, la società committente comunicava l’interruzione del servizio. La società di trasporti, ritenendo la comunicazione tardiva e inefficace, citava in giudizio la committente per ottenere il pagamento dei canoni per l’intero triennio.

La Decisione della Cassazione sul Recesso Appalto

La questione è arrivata fino alla Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso della società di trasporti. Il punto centrale della decisione è la distinzione e la coesistenza tra due istituti diversi: la disdetta per impedire il rinnovo e il recesso durante la vigenza del contratto. I giudici hanno chiarito che la clausola di rinnovo automatico e il diritto di recesso appalto previsto dall’art. 1671 c.c. non sono incompatibili. La prima regola la durata del contratto, mentre il secondo offre al committente una via d’uscita, bilanciata dall’obbligo di indennizzare l’appaltatore.

le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su alcuni pilastri logico-giuridici. In primo luogo, ha distinto nettamente l’atto della committente non come una “disdetta tardiva” (inefficace a impedire il rinnovo), ma come l’esercizio della facoltà di recesso appalto unilaterale. Questa facoltà, secondo l’art. 1671 c.c., può essere esercitata in qualsiasi momento dopo la conclusione del contratto, anche se l’esecuzione è già iniziata.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che, sebbene le parti possano derogare all’art. 1671 c.c., la semplice previsione di una durata e di un rinnovo tacito non è sufficiente a integrare una rinuncia a tale facoltà. Le due previsioni possono convivere: il contratto si rinnova, estendendo la sua durata, ma il diritto di recesso rimane attivo per tutto il periodo.

Infine, la Corte ha affrontato la questione dell’indennizzo. Il recesso del committente non è gratuito: la legge prevede che l’appaltatore sia tenuto indenne dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno. Tuttavia, nel caso di specie, la società di trasporti non ha ottenuto alcun risarcimento per due motivi cruciali: aveva formulato la relativa domanda in modo tardivo nel processo di primo grado e non aveva fornito alcuna prova concreta del mancato utile, onere che grava sull’appaltatore che chiede l’indennizzo.

le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre importanti implicazioni pratiche per le aziende.
Per i committenti, conferma una notevole flessibilità: anche in presenza di contratti di appalto a lungo termine con clausole di rinnovo automatico, rimane salva la possibilità di recedere in qualsiasi momento, a patto di essere pronti a pagare l’indennizzo previsto dalla legge. È essenziale che la volontà di recedere sia comunicata chiaramente come tale.

Per gli appaltatori, la decisione è un monito. Non si può fare affidamento esclusivo sulla clausola di tacito rinnovo per garantirsi la continuità del rapporto. In caso di recesso da parte del committente, è fondamentale agire tempestivamente: la domanda di indennizzo deve essere formulata correttamente fin dal primo atto del giudizio e, soprattutto, deve essere supportata da prove documentali precise che dimostrino l’utile netto che si sarebbe conseguito portando a termine l’opera o il servizio.

Una clausola di tacito rinnovo in un contratto di appalto impedisce al committente di recedere prima della scadenza?
No, la Cassazione ha chiarito che la facoltà di recesso prevista dall’art. 1671 c.c. può coesistere con una clausola di rinnovo automatico. La clausola incide sulla durata del rapporto, ma non elimina il diritto del committente di recedere in qualsiasi momento.

Cosa succede se il committente recede da un contratto di appalto in corso?
Il committente ha il diritto di farlo, ma deve indennizzare l’appaltatore per le spese sostenute, i lavori eseguiti e il mancato guadagno, come previsto dall’art. 1671 c.c.

Perché la società di trasporti non ha ottenuto un indennizzo in questo caso?
Perché ha formulato la richiesta di indennizzo tardivamente nel corso del processo (non nell’atto di citazione iniziale) e non ha fornito la prova del mancato guadagno, ovvero l’utile netto che avrebbe conseguito portando a termine il contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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