Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18492 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18492 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15141-2021 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall ‘AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
NOME , titolare dell’impresa individuale denominata RAGIONE_SOCIALE, domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentato e difeso dall’ AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 418/2021 d ella Corte d’appello di Bari, depositata in data 23/03/2021;
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Recesso del conduttore -Accordo sottoposto a condizione sospensiva
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 25/01/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 25/01/24 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di due motivi, ciascuno dei quali articolato in più censure, per la cassazione della sentenza n. 418/21, del 23 marzo 2021, della Corte d’appello di Bari, che -nel pronunciarsi quale giudice del rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 25597/16, del 14 dicembre 2016 -ha così provveduto.
Essa ha respinto il gravame, esperito dal COGNOME, avverso la sentenza n. 2846/07, del 21 gennaio 2008, del Tribunale di Bari, così confermando l’accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposto da NOME COGNOME, in relazione al provvedimento monitorio, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento di € 1.032,88, oltre interessi di mora, corrispondenti a otto mensilità di canone, da agosto 2002 a marzo 2003, per la locazione di un terreno ad uso deposito commerciale.
Riferisce , in punto di fatto, l’odierno ricorrente di aver concordato verbalmente con il COGNOME, nel marzo 2001, la locazione, quale deposito commerciale, della porzione antistante -pari a due terzi dell’intero di un suolo sito in Bari-Ceglie, con immissione immediata del conduttore nella detenzione della ‘ res locata ‘ e consegna delle chiavi di accesso. Siffatto accordo verbale veniva, poi, trasfuso nel contratto sottoscritto il 31 luglio 2001, che fissava al 31 luglio 2007 il termine della locazione, pattuendosi -tra l’altro l’obbligo della riconsegna del fondo come bonificato.
Deduce, altresì, il COGNOME che, nel giugno 2002, il COGNOME gli annunciò che stava trattando l’acquisto di un deposito
commerciale, pertanto chiedendogli di acconsentire -una volta definita la compravendita -alla risoluzione anticipata della locazione. L’odierno ricorrente ebbe a pronunciarsi in tal senso, ma a condizione che il fondo gli fosse riconsegnato ben pulito in tutta la sua estensione.
Non avendo, però, nulla più saputo dal conduttore, ma constatando che, dal mese di agosto del 2002, costui aveva cessato il pagamento del canone, il COGNOME agiva in INDIRIZZO, previamente inviando al COGNOME, in data 10 dicembre 2002, una raccomandata con la quale gli rammentava le condizioni dell’accordo raggiunto nel precedente mese di giugno.
Conseguito il suddetto provvedimento monitorio, lo stesso veniva fatto oggetto di opposizione da parte del NOME. Siffatta iniziativa veniva assunta da costui sul presupposto -per quanto qui ancora di interesse -di aver legittimamente receduto dal contratto, provvedendo alla bonifica del fondo così come pattuito, nonché alla formale consegna delle chiavi.
L’opposizione veniva accolta dal giudice di prime cure, con decisione confermata da quello di appello, la cui pronuncia, tuttavia, veniva cassata da questa Corte, su ricorso del COGNOME.
Questo giudice di legittimità, infatti, riteneva che dovesse ridondare a carico del COGNOME l’incertezza probatoria, rilevata dalla sentenza poi cassata, in ordine all’avveramento della condizione sospensiva (ovvero, la ‘bonifica del terreno da attuarsi mediante sgombero dei materiali, diserbamento e ripulitura dell’intera superficie del fondo’), alla quale era stata subordinata l’efficacia dell’accordo concluso in deroga alle disposizioni dell’art. 27, commi 7 e 8, della legge 27 luglio 1978, n. 392 con cui il locatore aveva attribuito, al conduttore, il diritto potestativo di recesso anticipato dal contratto di locazione. Avendo, infatti, il COGNOME dedotto, con la proposta opposizione, l’avveramento della condizione sospensiva, e quindi il valido esercizio del diritto di
scioglimento unilaterale dal contratto, non vi era -secondo questa Corte -‘ragione di derogare al principio generale di riparto dell’« onus probandi », come disciplinato dall’art. 2697 cod. civ.’. La sentenza della Corte territoriale allora impugnata, ‘affermando, invece, che il locatore non aveva fornito la prova che il fondo non fosse stato bonificato dal conduttore’ , aveva, pertanto, ‘illegittimamente operato una inversione dell’onere probatorio’. Su tali basi, dunque, veniva affidata, al giudice del rin vio, una ‘nuova valutazione delle risultanze istruttorie in ordine alla verifica dell’avveramento della condizione sospensiva, ed in caso di accertata cessazione del rapporto locativo, alla verifica dell’avvenuto rilascio del fondo’.
Radicato, dunque, dal COGNOME il giudizio ex art. 394 cod. proc. civ., l’esito dello stesso consisteva in una (rinnovata) conferma dell’accoglimento dell’opposizione. Veniva, infatti, ritenuto provato il ‘legittimo il rilascio al luglio 2002’ dell’immobile locato, ‘avendo il COGNOME adempiuto al proprio obbligo concernete la pulizia dei luoghi ed allo sgombero dei materiali di propria titolarità, non potendo certo procedere all’asporto di quelli altrui’, in ‘mancanza di specifica autorizzazione’.
Avverso la sentenza della Corte barese ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base -come detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo attiene all’avveramento della sudetta condizione sospensiva e si articola in tre diverse censure.
Viene, in primo luogo, denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza, ‘per violazione del giudicato interno imposto dalla Suprema Corte’, oltre che dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ.’, e ciò ‘in mancanza dell a esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione’.
Si assume che questa Corte -nel ricostruire la condizione sospensiva, apposta all’accordo sul recesso e ‘avente ad oggetto la bonifica del terreno da attuarsi mediante sgombero dei materiali, diserbamento e ripulitura dell’intera superficie del fondo’ avrebbe ‘riconosciuto la sussistenza dell’obbligazione di pulizia integrale del fondo’, a carico del conduttore, e ciò ‘nonostante la consapevolezza, dichiarata, che i rifiuti speciali da rimuovere’ fossero stati ‘lasciati dal precedente locatario’. Di cons eguenza, la sentenza oggi impugnata, nell’affermare che ‘il NOME ha adempiuto al proprio obbligo concernete la pulizia dei luoghi ed allo sgombero dei materiali di propria titolarità, non potendo certo procedere all’asporto di quelli altrui ed in mancan za di specifica autorizzazione’ , avrebbe violato, per giunta immotivatamente, il giudicato interno formatosi in ragione della pronuncia di questa Corte, giacché essa -secondo il ricorrente -ha affermato ‘sussistere l’obbligazione dello smaltimento dei ri fiuti speciali pur se «lasciati dal precedente locatario»’.
In secondo luogo, e subordinatamente alla prima censura, viene denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1353 e seg. cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata perché ‘non fornisce alcun riferimento o addentellato normativo per giustificare e sostenere la decisione di ritenere avverata la condizione sospensiva del diritto di recesso anticipato, nonostante i rifiuti speciali non siano stati smaltiti ma siano rimasti sul fondo’.
Nella specie, infatti, non verrebbe in rilievo la previsione di cui all’art. 1590 cod. civ. (in base alla quale il ‘conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta’), discutendosi, invece, ‘dell’adempimento di una obbligazione disciplinata dalle norme sulla «condizione» ex art. 1353 cod. civ.’, la quale aveva ad oggetto in conformità con la natura propria della clausola condizionale, il cui contenuto ‘deve
essere necessariamente diverso dal « naturalis negotii » ‘ , ovvero ‘ dalla disciplina generale propria di un istituto giuridico come la locazione’ ‘la bonifica integrale del fondo’, sicché ‘il conduttore poteva (e doveva) procedere all’asporto senza autorizzazione’.
In terzo luogo, viene denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2722 cod. civ., oltre che degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 1322 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata anche perché ‘il Giudice del rinvio, nonostante sia stato lo stesso COGNOME ad ammettere di aver abbandonato sul fondo i rifiuti speciali, non ha onerato questi dell’onere di provare, secondo il disposto dell’art. 2697 cod. civ., la propria eccezione, ossia di aver lasciato quei rifiuti «su espressa richiesta del locatore» prima a marzo 2001 e poi a luglio 2002′, ciò che, peraltro, equivarrebbe a ‘provare un patto aggiunto e contrario al contenuto del documento contrattuale, con le limitazioni alla prova di cui all’art. 2722 cod. civ.’.
In sostanza, si addebita alla sentenza impugnata di aver ‘tralasciato di considerare che il NOME non ha provato che vi fossero deroghe all’obbligazione assunta di pulizia e sgombero totale dei materiali dal fondo’.
3.2. Il secondo motivo attiene, invece, al mancato rilascio/restituzione del fondo e si articola in due diverse censure.
Viene, in primo luogo, denunciata -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., oltre che degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Si assume che la sentenza sarebbe ‘palesemente viziata, non avendo eseguito il dictum delle Suprema Corte, per violazione delle norme in materia di onere probatorio, poiché non solo il NOME, benché onerato, non ha dato prova affermativa dell’avvenuto rilascio del fondo con materiale dazione delle chiavi
e redazione del verbale di consegna, ma è stata acquisita la prova negativa di tale circostanza’.
In secondo luogo, viene denunciata -sempre ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell’art. 1216 cod. civ., in relazione alla ‘mancata intimazione di ricevere la consegna di un immobile’.
Assume il ricorrente che, nella sentenza ivi impugnata, ‘non vi è parola sulla costituzione della « mora accipiendi » ex art. 1216 cod. civ.’, addebitando , inoltre, al giudice del rinvio di non aver verificato ‘se il COGNOME avesse formulato un’offerta al COGNOME di prendere possesso dell’immobile, avvisandolo di aver dato adempimento all’evento in condizione’. Anzi, la Corte barese, lamenta il ricorrente, ‘con motiv azione lacunosa, illogica e contraddittoria ha affermato che «pur in mancanza di riscontri for mali quanto desumibile dalle dichiarazioni testimoniali induce a ritenere che il NOME abbia dato corso agli adempimenti oggetto della condizione più volte richiamata ai fini di poter rilasciare il fondo in via anticipata’.
In particolare, si censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata -secondo cui il COGNOME, ‘pur abitando nelle vicinanze del fondo e pur avendo le chiavi di accesso, e pur avendone la disponibilità avendo locato i soli 2/3 della relativa superficie, abbia dopo ben cinque mesi dal luglio 2002 «e con la missiva del 10 dicembre 2002» sollevato le contestazioni nei confronti del COGNOME, nonostante la concordata affissione del cartello «affittasi»’.
Si assume in ricorso che ‘è illogico meravigliarsi, ed è arbitrario trarne conclusioni, dei cinque mesi di inattività’ del locatore, giacché il medesimo ‘era in attesa della comunicazione -eventuale -dell’avveramento della condizione, e poi della comunicazione dalla restituzione della cosa locata, comunicazione che non è mai giunta’.
Sono, infine, censurati tutti quei passaggi della sentenza che ‘ipotizzano il rientro in possesso del fondo da parte del COGNOME, in base a mere presunzioni’.
In particolare, ‘il fatto che il COGNOME avesse le chiavi’ ovvero, circostanza valorizzata dal giudice del rinvio -‘non può assurgere a prova della avvenuta riconsegna dell’immobile, né tantomeno del rientro in possesso da parte del locatore’. Analogamente, ‘dall’apposizione del cartello «affittasi»’ non poteva affatto desumersi -secondo il ricorrente -‘l’avvenuta liberazione dell’immobile, o l’imminente rilascio’ (come pure si legge nella sentenza impugnata), giacché le ‘due ipotesi sono tra loro in contraddizione e inconciliabili’, non essendo chiaro se il fatto dell ‘apposizione del cartello sia ‘prova del rilascio già avvenuto o del futuro rilascio’.
Infine, altrettanto dovrebbe dirsi per il fatto che ‘il COGNOME aveva la pacifica possibilità di controllare il fondo’, trattandosi di circostanza inidonea a comprovare -diversamente da quanto ipotizza la sentenza impugnata -l’avvenuto rilascio del bene.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il NOME, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo è in parte non fondato e in parte inammissibile.
8.1.1. Non fondata, invero, è la prima censura, non potendo sostenersi che questa Corte abbia affermato -nella sentenza che ha dato origine al giudizio di rinvio -l’esistenza, a carico del locatario, di una ‘obbligazione dello smaltimento dei rifiuti speciali pur se «lasciati dal pre cedente locatario»’. Essa, infatti, si è limitata a stabilire che la condizione per il legittimo esercizio del diritto di recesso consisteva nella ‘bonifica del terreno da attuarsi mediante sgombero dei materiali, diserbamento e ripulitura dell’intera superficie del fondo’, senza, però, nulla dire sulla natura -o meglio, sulla provenienza -dei materiali da sgomberare, e cioè se si trattasse solo di quelli immessi nel fondo dal COGNOME, ovvero pure di quelli già presenti ‘ in loco ‘ su iniziativa del precedente locatario.
Invero, dalla circostanza che tale sgombero dovesse riguardare -secondo il ‘ dictum ‘ di questa Corte la ‘intera superficie del fondo’, non può inferirsi quale fosse l’oggetto dell’obbligazione di sgombero. Sicché, anche in ragione della ‘natura informale del rapporto tra le parti, basato su accordi verbali e quindi non suscettibile di riscontri con atti formali/documentali di riferimento’ (come osserva la sentenza oggi impugnata), e dunque nella difficoltà di stabilire quale fosse il contenuto dell’obbligazione assunta dal NOME per poter recedere dal contratto, non può dirsi che questa Corte abbia inteso fare carico a costui anche dello sgombero dei materiali «lasciati dal precedente locatario»’.
8.1.2. Quanto alla seconda censura, anch’essa risulta non fondata.
Non può, infatti, addebitarsi alla sentenza impugnata alcuna ‘sovrapposizione’ tra l’obbligazione ‘legale’ ex art. 1590 cod. civ. e quella ‘convenzionale’, assunta a norma dell’art. 1353 cod. civ.
Invero, il riferimento che la sentenza reca -pag. 6 -alla clausola n. 6 del contratto di locazione (la quale, con contenuto sostanzialmente riproduttivo del testo dell’art. 1590, comma 1, cod. civ., stabiliva l’impegno del conduttore ‘a riconsegnare l’immobile nel medesimo stato in cui lo riceve all’inizio della locazione’), ha solo lo scopo di evidenziare come, in assenza ‘di un verbale di consegna e/o di ricognizione dell’immobile all’inizio della locazione’, nulla fosse ‘dato sapere sulle condizioni de ll’immobile locato al momento dell’apprensione del COGNOME‘. Si tratta, dunque, di affermazione compiuta al solo fine di evidenziare l’incertezza circa lo stato che contraddistingueva la ‘ res locata ‘, ma priva di influenza se non nei termini che si sono dianzi illustrati (ovvero, in quanto indicativa della difficoltà di stabilire con certezza il contenuto dell’impegno assunto dal COGNOME per poter recedere dal contratto) -sul tema, devoluto al giudice del rinvio, della verifica dell’avveramento della con dizione sospensiva cui era subordinato l’esercizio del diritto potestativo di recesso.
8.1.3. La terza censura, invece, è inammissibile.
Essa, per vero, si risolve in una sollecitazione a questa Corte a rivalutare la ‘ quaestio facti ‘ e non enuncia affatto, in via diretta, né la violazione né la falsa applicazione delle norme evocate, pretendendo di farla derivare ma -peraltro, senza nemmeno spiegarla -da detta rivalutazione.
A quanto premesso, si aggiunga, poi, che nella sentenza impugnata non si afferma affatto che il materiale non rimosso
sarebbe stato lasciato dal COGNOME ‘su espressa richiesta del locatore’, sicché la censura si indirizza avverso un profilo che è rimasto estraneo al ‘ thema decidendum ‘, donde la sua inammissibilità.
8.2. Il secondo motivo è inammissibile.
8.2.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che ‘il NOME non abbia più avuto la disponibilità e l’utilizzo del fondo dal luglio 2002′, e dunque ha reputato raggiunta a prescindere da chi fosse il soggetto tenuto a dimostrare tale circostanza (o, all’opposto, la sua mancata verificazione) -la prova del rilascio della ‘ res locata ‘.
Pertanto, la prima censura proposta con il presente motivo appare fuori fuoco rispetto a tale affermazione, giacché lamenta violazione dell’art. 2697 cod. civ.; evenienza, però, ‘configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’oner e della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26769, Rv. 650892-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-01; si veda anche, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 agosto 2016, n. 16598, non massimata sul punto ), restando, invece, inteso che ‘laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti’, essa ‘può essere fatta valere ai sensi del numero 5 del medesimo art. 360’ (Cass. Sez. 3, sent. 17 giugno 2013, n. 15107, Rv. 626907 01), ovviamente ‘entro i limiti ristretti del «nuovo»’ suo testo (Cass. Sez. 3, ord. n. 13395 del 2018, cit .).
E che la doglianza proposta, in sostanza, investa proprio l’apprezzamento delle risultanze probatorie è reso evidente dal riferimento, compiuto dal ricorrente, pure agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., censura, però, anch’essa inammissibile.
Difatti, la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide ‘ iuxta alligata et probata partium ‘ -‘può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua ini ziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 65903701).
Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disatt enda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre ‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un. , sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), doglianza, nella specie, neppure prospettata.
8.2.2. Quanto, invece, alla seconda censura, che ipotizza violazione e falsa applicazione dell’art. 1216 cod. civ., in relazione alla ‘mancata intimazione di ricevere la consegna di un immobile’, anch’essa risulta inammissibile, ma per una diversa ragione.
Proprio perché della questione relativa alla mancanza della ‘ mora accipiendi ‘ -come assume il ricorrente -‘non vi è parola nella sentenza impugnata’, sarebbe stato onere del COGNOME chiarire in quale sede processuale essa fu posta.
Deve, pertanto, applicarsi il principio secondo cui, ‘ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’one re, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis » la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02), onere, nella specie, non soddisfatto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della