Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7383/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dal prof. avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente -ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza n. 61/2022 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 10.1.2022;
Contratto in genere – Durata minima del contratto – Recesso anticipato – Risarcimento del danno – Lucro cessante
ad. 19.5.2025
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza n. 11936/2016, pubblicata il 13.6.2016, il Tribunale di Roma rigettò la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE (in seguito indicata come RAGIONE_SOCIALE) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE) . L’attrice aveva chiesto l’accertamento dell’illegittimità del recesso unilaterale dal contratto di trasporto aereo dell’1.8.2011, perché esercitato da SDA in data 29.8.2012 in violazione dei termini contrattual i, o in subordine l’imputabilità alla convenuta della risoluzione del contratto con condanna al pagamento della penale pattuita.
Osservò il Tribunale che nel contratto era stata pattuita una durata minima biennale (dal 5.8.2011 a 5.8.2013) e una penale (corrispondente all’80% del compenso dovuto per l’espletamento dei giorni di mancato preavviso) nell’ipotesi in cui una parte, trascorsi 18 mesi dal la stipula del contratto (sei mesi prima della sua naturale scadenza), avesse deciso di recedere, derogando al preavviso semestrale. Nella specie, il recesso era avvenuto prima dei 18 mesi e, quindi, la pretesa attorea corrispondeva al danno da anticipato recesso dal contratto, e non da mancato preavviso, rimasto non provato nell’ an e nel quantum .
La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 6458/2017, pubblicata il 12.10.2017, rigettò l’appello proposto da Femar sul rilievo che SDA con la comunicazione del 29.8.2012 avesse azionato la diversa procedura prevista all’art. 7 del contratto nel caso in cui il rapporto fosse divenuto più gravoso nella misura del 30%, a causa della riduzione delle commesse da parte di Poste Italiane, e che tale circostanza non fosse stata specificamente contestata da Femar.
A seguito di ricorso proposto da Femar la Corte di Cassazione con ordinanza, pubblicata il 12.6.2019, accolse l’impugnazione quanto ai primi due motivi, dichiarando assorbiti il terzo e il quarto, sulla base del carattere meramente apparente della motivazione resa dalla Corte d’appello.
Notò la Suprema Corte che ‘… la corte territoriale ha direttamente proceduto (pp. 2 e 3) – senza tenere conto dell’effetto devolutivo dell’appello e, comunque, senza spiegare come, in presenza dei proposti motivi di appello e della sentenza di primo grado, potesse procedervi – ad una sorta di esame della domanda introduttiva del giudizio di primo grado al fine di sostenere che detta domanda non era adeguata allo svolgimento della vicenda in fatto ‘; ‘la Corte territoriale ha rigettato l’appello, da una parte, ignorando i motivi di impugnazione e non spiegando perché essi non erano idonei a giustificare la riforma della sentenza; e, d’altra parte, non spiegando perché al decisum della sentenza di primo grado ed alla relativa individuazione del tenore della domanda, poteva e doveva sovrapporsi quello prescelto e ciò avuto riguardo ai limiti devolutivi dell’appello’ .
La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 61/2022, pubblicata il 10.1.2022, accolse l’appello per quanto di ragione e, in riforma della sentenza impugnata, condannò SDA al pagamento in favore di Femar di euro 602.801,81, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal 4.2.2013, da computare sul capitale via via rivalutato anno per anno fino al passaggio in giudicato della sentenza, nonché degli interessi legali successivi fino al saldo. Importo, quest’ultimo, ragguagliato all’ammontare del compenso che NOME avrebbe percepito nel gennaio 2013, qualora il recesso non fosse stato esercitato. La corte dispose la compensazione delle spese di lite per entrambi i gradi nella misura di 2/3, ponendo il residuo a carico di SDA.
Notò la Corte d’appello, sulla base di una interpretazione dell’art. 3 del contratto in chiave di conservazione dell’equilibrio divisato dalle parti in ordine alla durata minima del contratto e alla facoltà di recedere dal contratto dopo 18 mesi e con preavviso di 6 mesi, che il recesso esercitato da SDA con decorrenza dall’1.1.2013 (17 mesi dalla stipula) era stato esercitato senza rispettare il termine di durata minima di 18 mesi. Ne derivava che in relazione al mese di gennaio 2013 sussisteva una ipotesi di recesso anticipato, ma che questa era ben diversa dalla previsione della
penale per il caso di recesso esercitato con inosservanza del termine di preavviso 6 mesi. La pretesa attorea giustificava il risarcimento del danno da recesso anticipato limitatamente al gennaio 2013. Nulla spettava per il periodo successivo e fino alla scadenza del contratto, dato il prodursi dell’estinzione determinata dal recesso comunicato nell’agosto del 2012.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre SDA, sulla base di due motivi. Risponde con controricorso COGNOME la quale, a sua volta, ha proposto ricorso incidentale affidato a un motivo.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di SDA
Con il primo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 cod. civ.
La ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha proceduto alla liquidazione del danno in favore di Femar sulla base dell’inter o fatturato relativo al mese di gennaio 2013 unilateralmente indicato dalla parte, mentre avrebbe dovuto tenere conto solo dell’utile netto derivante dal l’esecuzione dei servizi affidati sulla base del prezzo globale pattuito, detratte le spese necessarie e i guadagni sostitutivi, ovvero i vantaggi diversi procurati. SDA si duole, inoltre, per il mancato ricorso al potere di valutazione equitativa ex art. 2056 cod. civ.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello nel liquidare il risarcimento del danno derivante dal recesso esercitato da SDA, anticipatamente rispetto al termine dovuto, ha preso a riferimento la mancata prestazione dei servizi di trasporto per il mese di gennaio 2013 e, quindi, l’ammontare del compenso che Femar
avrebbe percepito ‘ove il recesso non fosse intervenuto’ . Più in particolare, a pagina 17 (secondo capoverso) la corte ha scritto: ‘ Diversamente da quanto sostenuto dal giudice di primo grado, le conseguenze pregiudizievoli conseguenti all’illegittimo recesso anticipato possono quantificarsi prendendo come parametro di riferimento il prospetto di fatturazione depositato, cui sono allegate alcune tabelle contenenti i conteggi delle somme mensili dovute a titolo di compenso per giornata lavorativa, esclusi gli «addebiti relativi a fuel surcharge , tariffazione di pesi eccedenti e tasse aeroportuali» (doc. 13 fasc. Femar primo grado), elaborati sulla base delle previsioni e tariffe contrattuali. Prospetto e conteggi che SDA non ha contestato specificamente ‘ .
La ricorrente nella formulazione del motivo, nel censurare la decisione assumendo che la corte abbia liquidato a titolo di lucro cessante l’intero fatturato relativo al mese di gennaio 2013 unilateralmente indicato dalla parte, senza tenere conto delle spese necessarie e degli eventuali impieghi alternativi dei mezzi, non ha percepito il senso della ratio decidendi sopra riportata e, comunque, non ha svolto una censura pertinente.
La ricorrente, pertanto, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6 -I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
Con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ.
SDA censura la sentenza nella parte in cui ha liquidato il danno da recesso anticipato sulla base del riconoscimento in favore dell’attrice di una somma che ‘sembra comprendere anche il danno emergente in relazione al mese di gennaio 2013 ‘. Non avendo svolto Femar nel gennaio 2013 alcun servizio in favore di SDA, non si sarebbe potuto liquidare alcunché a titolo di danno emergente, tanto più che l’appellante aveva qualificato il danno reclamato alla sola stregua del mancato guadagno.
2.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello a pagina 16, ultimo capoverso, ha precisato che, diversamente dalla pretesa (non riconosciuta) di pagamento della penale afferente all’ipotesi di recesso esercitato senza l’osservanza del termine di sei mesi di preavviso, il danno connesso al recesso anticipato lo si sarebbe dovuto risarcire secondo le regol e di cui all’art. 1223 cod. civ. ‘comprendendo il danno emergente e il lucro cessante’.
Non è dubitabile che quella espressa dalla Corte d’appello non sia una ratio decidendi , ma un mero richiamo alla regola causale ex art. 1223 cod. civ. per il risarcimento del danno patrimoniale, in relazione alla quale, come sopra riportato, ha preso a riferimento solamente le ‘somme mensili dovute a titolo di compenso per giornata lavorativa, esclusi gli «addebiti relativi a fuel surcharge , tariffazione di pesi eccedenti e tasse aeroportuali» ‘. La Corte d’appello, pertanto, non ha affatto liquidato un danno emergente, né tantomeno ha espresso una decisione al riguardo.
Di tanto la stessa ricorrente è consapevole, là dove riferisce della liquidazione di una somma che ‘sembra comprendere anche il danno emergente in relazione al mese di gennaio 2013’.
Il ricorso incidentale di COGNOME
Femar denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1671 cod. civ., nonché motivazione apparente e contraddittoria ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
La ricorrente rileva che la Corte d’appello , pur muovendo dalla corretta affermazione che RAGIONE_SOCIALE ha operato un recesso illegittimo prima della
scadenza del termine contrattuale individuato ‘in due anni e non già in 18 mesi ‘ , senza alcuna spiegazione, e in violazione dell’art. 1671 cod. civ., ha limitato il risarcimento del danno al solo mese (gennaio 2013) successivo alla disdetta, ma non ha riconosciuto nulla a titolo di mancato guadagno per tutto il successivo periodo di durata convenzionale del rapporto. La Corte d’appello, invece, in base al poter e di qualificazione giuridica della domanda avrebbe dovuto applicare l’art. 1671 cod. civ., valevole anche per il caso di servizi di trasporto, che riconosce in caso di recesso unilaterale il diritto dell’appaltatore a essere tenuto indenne delle spese e del mancato guadagno.
La Corte d’appello, inoltre, è incorsa in un vizio di motivazione , per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, là dove ha affermato che le parti avevano stabilito una durata contrattuale di 24 mesi, sì che il recesso anticipato della SDA era da ritenersi illegittimo, ma poi ha concluso che ‘nulla è dovuto’ alla Femar per il residuo periodo contrattuale non rispettato.
3.1. Il motivo di impugnazione svolto è inammissibile ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. in quanto privo di specificità nella sua declinazione sostanziale in termini di pertinenza rispetto alla decisione impugnata.
COGNOME nella formulazione del motivo non coglie adeguatamente il senso delle affermazioni espresse dalla Corte d’appello in ordine alle coordinate interpretative alla base della decisione di circoscrivere l’ambito della pretesa risarcitoria al risarcimento del danno per il recesso anticipato e limitatamente al mese di gennaio 2013, mentre ha escluso la condanna al pagamento della penale contrattuale per l’esercizio del recesso senza il rispetto del termine di sei mesi.
La Corte d’appello a pagina 14 (terzo capoverso) ha scritto: ‘… l ‘interpretazione della clausola di recesso offert a dall’appellante non conforme ai criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss, c.c, poiché, partendo dal senso letterale delle parole e delle espressioni
utilizzate, conduce, nella sostanza, a negare la possibilità per i contraenti di sciogliersi unilateralmente dal rapporto in modo legittimo prima di due anni. Ed invero, se si somma il periodo, definito da Femar dilatorio, di 18 mesi (prima del quale non è consentito il recesso) al periodo di preavviso di 6 mesi (prima del quale il recesso non produce il suo effetto estintivo), si arriva a 24 mesi, coincidente con la scadenza naturale del contratto ‘ . Detta interpretazione , prosegue la corte, è in contrasto con l’intenzione dei contraenti ‘che hanno inteso riconoscere a ciascuno di essi la facoltà di interrompere il rapporto in via anticipata. Il testo della clausola è stato, infatti, oggetto di ampie trattative delle parti … è stato frutto di una precisa scelta delle parti … di consen tire alla sola SDA di prolungare la durata del rapporto, e dall’altro, un significativo allungamento del termine di esercizio della facoltà di recesso, attribuita ad entrambe le parti, al fine di assicurare una maggiore durata minima del rapporto (almeno 18 mesi dalla stipula e, dunque, almeno fino all’1 febbraio 2013), con la previsione di un preavviso di 6 mesi e il pagamento delle penale nel caso di sua inosservanza. In altri termini, ad assicurare l’equilibrio tra i contraenti, sono stati pattuiti: i) un periodo minimo di durata del vincolo contrattuale (fino all’1 febbraio 2013); ii) la facoltà di entrambe le parti di sciogliersi unilateralmente dopo tale periodo e prima della scadenza naturale (fissata al 5 agosto 2013), con un preavviso minimo di 6 mesi (1° agosto 2012); iii) la facoltà della sola SDA di prolungare il rapporto oltre la scadenza, da comunicare entro il 5 maggio 2013 ‘ (da pagina 14, ultimo capoverso, a pag. 15, secondo capoverso).
Il motivo, pertanto, non contiene una censura aderente alla ratio espressa dalla Corte d’appello , risultando così inammissibile in quanto corrispondente alla mancata enunciazione di una censura (v. le già citate Cass. 21490/2005; Cass. 20910/2017; Cass., Sez. Un., 7074/2017; Cass. 13735/2020).
Si deve considerare, altresì, che le ragioni espresse dalla corte non prestano il fianco al denunciato vizio di motivazione, posto che il percorso argomentativo esplicita adeguatamente il ragionamento effettuato sul piano
dell’ermeneutica contrattual e e risulta pienamente in linea con il c.d. minimo costituzionale enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, in base al quale ‘ è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»’ ( v., Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090). Ipotesi del tutto non ricorrenti nel caso di specie.
Infatti, l a Corte d’appello ha spiegato in modo molto efficace che l’interpretazione sostenuta da COGNOME finiva per negare la possibilità per i contraenti di sciogliere il contratto prima di due anni, in aperto contrasto con l’espressa previsione stabilita nel contratto. In esso si distingueva l’ipotesi del recesso anticipato, ferma la durata minima di 18 mesi, ma con comunicazione fatta nel rispetto del termine di sei mesi, da quella del recesso senza l’osservanza del termine di sei mesi comportante l’applicazione della penale contrattuale . Poiché, nella specie il recesso era stato comunicato con preavviso di sei mesi, ma senza rispettare la durata minima di 18 mesi, la corte , nell’accogliere la d omanda, ha circoscritto il risarcimento del danno al solo mese di gennaio 2013.
Il ricorso principale e il ricorso incidentale, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili.
Le spese del giudizio di cassazione, attesa la reciproca soccombenza, possono essere compensate.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico delle parti ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 19 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME