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Recesso ad nutum: quando non è abuso del diritto

Una società immobiliare si opponeva alla restituzione di un finanziamento ricevuto in base a un contratto preliminare, dopo che la controparte aveva esercitato il diritto di recesso ad nutum. La Cassazione ha confermato la legittimità del recesso, escludendo l’abuso del diritto, poiché motivato dalla sopravvenienza di un sequestro preventivo sui beni della società venditrice, un fatto che giustificava la tutela degli interessi della parte acquirente.

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Recesso ad nutum: quando è legittimo e non costituisce abuso del diritto

Il diritto di recesso ad nutum, ovvero la facoltà di sciogliere un contratto a propria discrezione, è uno strumento potente ma non illimitato. Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra l’esercizio legittimo di questo diritto e l’abuso, specialmente quando emergono circostanze che mettono a rischio l’operazione contrattuale. La vicenda analizzata riguarda un contratto preliminare di cessione di quote societarie e il successivo recesso da parte del promissario acquirente.

I Fatti di Causa

La controversia nasce da un contratto preliminare stipulato per la cessione del 100% delle quote di una società immobiliare. I promissari acquirenti, due enti, si impegnavano anche a versare un cospicuo finanziamento alla società target. Il contratto prevedeva esplicitamente una clausola che consentiva ai promissari acquirenti di esercitare il recesso ad nutum, con l’obbligo per la società finanziata di restituire le somme ricevute entro 30 giorni.

Successivamente alla stipula e al versamento di una parte del finanziamento, uno degli enti acquirenti esercitava il diritto di recesso e chiedeva la restituzione della somma versata. Di fronte al mancato riscontro della società immobiliare, l’ente otteneva un decreto ingiuntivo per il recupero del credito. La società si opponeva, sostenendo che il recesso fosse illegittimo e configurasse un abuso del diritto, oltre a sollevare questioni procedurali sulla competenza del tribunale.

L’iter Giudiziario e le Eccezioni Sollevate

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le doglianze della società immobiliare. I giudici di merito hanno confermato la validità del decreto ingiuntivo e la legittimità dell’esercizio del diritto di recesso.

La società ricorrente ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Incompetenza territoriale: Si contestava la tardività dell’eccezione di incompetenza, ritenendo che la prima udienza di trattazione non fosse stata correttamente identificata dai giudici di merito.
2. Nullità del decreto ingiuntivo: Si lamentava la mancanza di una prova scritta idonea per l’emissione del decreto, sostenendo che il credito non fosse certo, liquido ed esigibile.
3. Abuso del diritto: Questo era il cuore della contestazione. La ricorrente affermava che il recesso ad nutum fosse stato esercitato in violazione dei principi di buona fede e correttezza.

Le motivazioni della Cassazione sul recesso ad nutum

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo tutti i motivi inammissibili o infondati. Sul punto cruciale dell’abuso del diritto, la Corte ha fornito un’analisi determinante. Ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva correttamente valutato una circostanza decisiva: la provata sottoposizione dei beni della parte venditrice a una misura cautelare di sequestro preventivo, trascritta prima dell’esercizio del recesso.

Questo evento, secondo la Cassazione, costituiva una ragione più che valida per il promissario acquirente di avvalersi della clausola di recesso ad nutum. L’esercizio del recesso non era arbitrario o ingiustificato, ma mirava a proteggere i propri interessi di fronte a un rischio concreto e sopravvenuto, legato alle vicende giudiziarie della controparte. Agire per tutelare i propri interessi, a fronte di un potenziale pregiudizio, non integra un abuso del diritto, anche se ciò comporta il sacrificio delle aspettative altrui.

Il dovere di buona fede, ha ribadito la Corte, impone alle parti di tutelare reciprocamente i propri interessi, ma solo nei limiti in cui ciò non comporti un ‘apprezzabile sacrificio’ dei propri. In questo caso, la presenza di un sequestro penale sui beni della controparte rendeva il sacrificio richiesto al recedente (continuare nel contratto) del tutto inesigibile.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte ha giudicato inammissibile quello sulla competenza, poiché non contestava adeguatamente la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello, e infondato quello sulla nullità del decreto ingiuntivo, poiché ogni vizio della fase monitoria viene superato dal successivo giudizio di merito a cognizione piena.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante principio guida: il diritto di recesso ad nutum, se previsto contrattualmente, è uno strumento di autotutela forte, ma il suo esercizio deve essere sempre letto alla luce del principio di buona fede. Tuttavia, non si può parlare di abuso del diritto quando il recesso è motivato da circostanze oggettive e sopravvenute che minano la fiducia e la sicurezza dell’operazione contrattuale, come un sequestro penale sui beni della controparte. La tutela dei propri interessi, di fronte a un rischio concreto, prevale sull’aspettativa della controparte alla prosecuzione del rapporto.

Quando l’esercizio del diritto di recesso ad nutum può essere considerato un abuso del diritto?
Secondo la Corte, si ha un abuso del diritto quando il recesso avviene in modo ingiustificato o arbitrario, o con modalità irrispettose del dovere di correttezza, al fine di conseguire risultati diversi da quelli per cui tale facoltà è stata attribuita. Non è abuso se il recesso è esercitato per proteggere i propri interessi da un rischio concreto e apprezzabile.

Un sequestro preventivo sui beni della controparte giustifica l’esercizio del recesso da un contratto preliminare?
Sì. La sentenza stabilisce che la sottoposizione dei beni della parte promittente venditrice a un sequestro preventivo è una circostanza idonea a escludere l’esercizio arbitrario del diritto di recesso, in quanto rappresenta una legittima esigenza di proteggere i propri interessi di fronte a una misura cautelare penale intervenuta.

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le eccezioni sulla competenza del giudice devono essere sollevate tempestivamente?
Sì. La Corte ha confermato che l’eccezione di incompetenza deve essere sollevata entro i termini previsti dal codice di procedura civile, specificamente non oltre la prima udienza di trattazione effettiva, dove le parti si costituiscono e il giudice valuta le loro istanze, anche se in via preliminare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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