Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17766 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11407/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO SC. B P. 2 INT. 4, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro SEMINARIO VESCOVILE DI COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 68/2021 depositata il 09/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il ricorso riguarda la sentenza della Corte d’appello di
Perugia che ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Terni ha respinto l’opposizione proposta dall’odierna ricorrente, RAGIONE_SOCIALE contro il decreto ingiuntivo richiesto dall’ente Seminario Vescovile di Narni per ottenere la restituzione della somma di 166.615,00 euro, che era stata versata alla predetta società opponente a titolo di finanziamento in esecuzione del relativo obbligo assunto con un contratto preliminare stipulato il 13.11.2012 avente ad oggetto la cessione del 100% delle quote della predetta RAGIONE_SOCIALE, contratto dal quale era receduto.
2.- Detto contratto preliminare era stato stipulato tra NOME COGNOME e NOME COGNOME (titolari in parti uguali delle quote di RAGIONE_SOCIALE), da un lato, e l’ente ‘Diocesi di Terni Narni e Amelia’ nonché l’ente ‘Seminario Vescovile di Narni’, dall’altro, che si rendevano promissari acquirenti -rispettivamente- dell’84,34% e del 15,62% delle predette quote; nel contratto i promissari acquirenti si obbligavano anche a versare alla società RAGIONE_SOCIALE (ovvero alla società target ) a titolo di finanziamento la somma rispettivamente di 900.000 € (l’ente Diocesi di Terni Narni e Amelia) e di euro 166.615,48 (l’ente Seminario Vescovile di Narni), somme che la società RAGIONE_SOCIALE si obbligava a restituire qualora i promissari acquirenti si fossero avvalsi del diritto di recesso ad nutum prevista all’art.5 del contratto preliminare, entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di recesso.
3.- Con lettera raccomandata del 24 giugno 2013 il Seminario vescovile di Narni aveva esercitato il predetto diritto di recesso e invitato la società RAGIONE_SOCIALE a restituire al Seminario stesso la somma di 166.615,48 – nel frattempo versata entro 30 giorni dal ricevimento della raccomandata; in mancanza di riscontro, aveva notificato in data 28 ottobre 2013 il decreto ingiuntivo ottenuto dal Tribunale di Terni per il pagamento della
somma predetta.
All’esito del giudizio di opposizione, il Tribunale confermava il decreto opposto, respingendo: a) l’eccezione di incompetenza funzionale per essere competente il Tribunale delle imprese di Perugia in quanto la stessa doveva essere formulata nell’atto di opposizione ai sensi dell’articolo 38 c.p.c.; b) l’eccezione di nullità del decreto ingiuntivo per difetto di prova scritta in quanto superata dal giudizio di merito; c) le contestazioni circa l’illegittimo esercizio del diritto di recesso ad nutum in quanto avvenuto con abuso del diritto in violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto.
5.- La Corte d’appello con la sentenza qui gravata ha respinto l’appello confermando: a) la tardività dell’eccezione di incompetenza del tribunale di Terni formulata solo con le note autorizzate depositate in data 16 luglio 2014, ben oltre, quindi, la prima udienza di trattazione di cui all’articolo 183 c.c, come previsto dall’articolo 38 comma 3 c.p.c.; b) che la questione della nullità del decreto ingiuntivo per difetto dei presupposti della prova scritta era stata superata dall’accertamento compiuto nel giudizio di opposizione a cognizione piena; c) nel merito, che non era nella specie ravvisabile alcun abuso del diritto né violazione del principio di buona fede poiché il recesso era stato esercitato ad nutum sulla base di esplicita previsione convenzionale ed in conseguenza della sottoposizione dei beni della parte promittente venditrice alla misura cautelare del sequestro preventivo ai sensi dell’articolo 321 c.p.p.
– Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a tre motivi di cassazione. L’ente Seminario Vescovile di Narni è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo denuncia la violazione falsa applicazione dell’articolo 38 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché
vizio di omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione di norme processuali e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 4 e 5 c.p.c. Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello di Perugia, pur riconoscendo in astratto che ex art. 3 comma 2 lett.b) del d.lgs. n.168/2003 sussisteva la competenza per materia della sezione specializzata del Tribunale di Perugia, aveva erroneamente ritenuto che tale eccezione fosse stata tardivamente proposta e che il giudice di prime cure bene avesse affermato, all’udienza del 25.3.2015, di non poter sollevare l’eccezione d’ufficio ex art. 38 comma 3 c.p.c. in quanto era stata superata l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., in quanto -a suo dire -era quella, in effetti, la prima udienza di trattazione rilevante ai fini della norma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità per cui questa è l’udienza fissata dal giudice per l’audizione delle parti e per la definizione delle relative domande ed eccezioni, pur quando sia stata tenuta altra udienza in precedenza; ed invero – sostiene sempre la ricorrente – alla precedente udienza del 2.7.2014 il GOT aveva solo affermato l’opportunità che la causa venisse trattata dal giudice assegnatario.
1.1 -Il motivo è inammissibile poiché non si confronta con ratio decidendi della sentenza gravata, che osserva -correttamente e senza che a detta ricostruzione la ricorrente muova specifica censura – che le doglianze della parte appellante – secondo le quali la prima udienza di trattazione dovrebbe considerarsi quella del 25.3.2015 perché all’udienza tenutasi in data 2.7.2014 il GOT si sarebbe limitato ad affermare l’opportunità che la causa fosse trattata dal giudice assegnatario -erano infondate, giacché – come risulta dal verbale d’udienza allegato al fascicolo di primo grado ( e come effettivamente risulta) – in data 2.7.2014 le parti si erano ritualmente costituite in giudizio dinnanzi al GOT, riportandosi ai propri scritti difensivi e contestando integralmente le deduzioni avversarie; ed il GOT non si era limitato a fissare una nuova
udienza dinanzi al giudice assegnatario – come erroneamente sostenuto dalla appellante – ma aveva preliminarmente valutato il merito delle eccezioni e deduzioni delle parti, concedendo alle stesse un termine per deposito di note autorizzate con riguardo alla richiesta di provvisoria esecuzione del decreto opposto avanzata dal Seminario Vescovile di Narni, con le quali note, solamente, l’opponente aveva eccepito l’incompetenza per materia del giudice adito; pertanto a scioglimento della riserva assunta a quell’udienza, con ordinanza 18.7.2014, ritenendo opportuno che sulla suddetta provvisoria esecutività si pronunciasse il giudice togato assegnatario, il GOT aveva disposto una nuova udienza in funzione della propria sostituzione; concludeva la Corte che l’udienza tenutasi di fronte al GOT non era una mera udienza di rinvio ma integrava a tutti gli effetti l’udienza di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c. con conseguente piena operatività della preclusione sulla eccezione di competenza di cui all’articolo 38 comma 3 c.p.c.
2.- Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 633, 634 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione ai nn. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., in quanto la Corte d’appello avrebbe violato la disciplina prevista per la legittima emissione del decreto ingiuntivo laddove ha ritenuto che all’esito del giudizio di merito a cognizione piena -fosse irrilevante l’eccezione di nullità del decreto opposto per difetto dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito; detta valutazione sarebbe errata perché in sede monitoria non era stata provato con forma scritta il diritto di credito fatto valere e la sua esigibilità, donde, l’incertezza ed infondatezza della pretesa creditoria avanzata dalla società appellata.
2.1Il motivo è infondato giacché correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che la questione fosse superata dal fatto che il giudice di prime cure aveva compiuto un accertamento di merito
pieno a proposito del titolo dedotto dall’opposta poiché l’opposizione introduce un giudizio a cognizioni ordinaria; ed aveva, quindi, valutato e accertato la legittimità dell’esercizio del diritto di recesso di parte opposta fondante il diritto al rimborso di quanto erogato alla società opponente.
3.Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1375 c.c. e degli articoli 2 e 42 della Costituzione in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; nullità della sentenza e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione ai nn. 4 e 5 dell’articolo 360 c.p.c. Deduce la ricorrente l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il giudice di prime cure aveva correttamente ritenuto che la parte opponente non avesse fornito alcuna prova dell’asserito abusivo esercizio del diritto di recesso.
3.1- Il motivo è chiaramente inammissibile.
La Corte d’appello, nel confermare la pronuncia di primo grado sul punto, ha osservato che il Tribunale non si era limitato ad accertare la previsione contrattuale della facoltà di recesso ad nutum in capo al Seminario Vescovile e la conseguente previsione dell’obbligo di rimborso di tutte le somme percepite da RAGIONE_SOCIALE entro il termine convenuto, ma aveva valutato la sussistenza di una circostanza idonea ad escludere l’esercizio arbitrario di tale diritto di recesso quale quella della provata sottoposizione (mediante decreto trascritto in data 17 luglio 2013 come da nota di trascrizione allegata da parte opposta al fascicolo di primo grado) della controparte contrattuale a misura cautelare di sequestro preventivo, escludendo, quindi, in concreto fosse ravvisabile un’ipotesi di abuso del diritto e di violazione dei principi generali di correttezza e buona fede, i quali consentono ed, anzi, impongono sì, al giudice di merito, una valutazione del loro rispetto in tutte le fasi della formazione, esecuzione, interpretazione del contratto, ma non possono essere utilizzati dalla parte contrattuale
che ne abbia interesse per caducare il regolamento negoziale validamente espresso quando non sia ravvisabile -come nella specie alcuna ipotesi di ‘abuso’, nel senso di un ingiustificato o arbitrario esercizio del recesso convenzionalmente stabilito, o per modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede o al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri e facoltà sono attribuiti; invero nella specie -oltre ad agire per la legittima esigenza di proteggere i propri interessi a fronte della misura cautelare penale intervenuta – la promissaria acquirente aveva comunicato alla controparte mediante posta raccomandata del 24.6.2013 la propria volontà di esercitare il diritto di recesso chiedendo anche il rimborso di quanto versato; perciò, fermo che il dovere di buona fede comporta che entrambe le parti si comportino in modo da tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, ciò deve avvenire, per giurisprudenza pacifica di legittimità, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un’apprezzabile sacrificio di interessi propri.
3.2A fronte di siffatta articolata motivazione del tutto inammissibile è la generica prospettazione di una nullità della sentenza per vizi motivazionali, che, peraltro, quanto alla violazione del n. 5 di cui all’art. 360 manca dei requisiti minimi di illustrazione (il fatto storico omesso, e la sua decisività) ed è, comunque, preclusa a fronte di una pronuncia c.d. doppia conforme.
Inoltre è inammissibile anche il vizio in iudicando poiché la violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 195/2016, confermate da innumerevoli sentenze successive, v. ex multis Cass. 13747/2018; Cass. n. 3340/2019; Cass. 31546/2019) non sindacabile in cassazione; ed in questo caso la ricorrente è limitata a ripetere quanto dedotto già in appello ovvero che il recesso era stato esercitato arbitrariamente in mancanza di alcun mutamento della situazione rispetto alla data della conclusione del preliminare di vendita, argomento evidentemente contraddetto dalla trascrizione del sequestro preventivo su cui, invece, non prende alcuna posizione.
4.- In conclusione il ricorso va respinto. Nessuna statuizione va assunta sulle spese poiché la parte resistente è rimasta intimata. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile