Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4238 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4238 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5790/2021 proposto da:
NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME;
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME, difeso in proprio nonché dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
NOME COGNOME; RAGIONE_SOCIALE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1860/2020 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO depositata il 15/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 15/12/2020, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché il difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE in relazione alla domanda proposta da quest’ultima per la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla RAGIONE_SOCIALE in conseguenza dell’inadempimento, da parte dei convenuti, dei propri doveri professionali di avvocato; inadempimento nella specie consistito nella tardiva impugnazione del provvedimento giudiziale di dichiarazione di fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dagli attori ritenuta illegittima in considerazione della natura meramente RAGIONE_SOCIALE (e non commerciale) dell’impresa societaria;
con la stessa pronuncia, la corte territoriale ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (soci della RAGIONE_SOCIALE) per la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti in proprio degli stessi in relazione al medesimo titolo;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse correttamente dichiarato il difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE attrice, avendo la stessa agito a seguito della dichiarazione del relativo fallimento, senza che fosse stata dimostrata la sussistenza dei presupposti per la relativa legittimazione straordinaria ad agire senza la mediazione del curatore fallimentare, e dovendo ritenersi, in ogni caso, che la società fallita non avrebbe potuto rivendicare il risarcimento di alcun pregiudizio, essendosi comunque trattato di un ente in stato di decozione, con una rilevante esposizione debitoria e non proprietaria di alcun bene;
sotto altro profilo, il giudice d’appello -rilevato il difetto di legittimazione attiva dei soci rispetto alla domanda risarcitoria proposta della RAGIONE_SOCIALE in relazione alle conseguenze dannose asseritamente subite direttamente dalla stessa -ha evidenziato l’infondatezza della domanda risarcitoria avanzata dai soci in proprio, essendo rimasta comprovata la circostanza della natura effettivamente commerciale dell’impresa gestita dalla RAGIONE_SOCIALE, nella specie pienamente compatibile con le relative finalità mutualistiche;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima chiamata in giudizio a fini di manleva) resistono ciascuno con un proprio controricorso;
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE (anch’essa chiamata in giudizio a fini di manleva) non hanno svolto difese in questa sede;
i ricorrenti e NOME COGNOME hanno depositato memoria;
considerato che, con i primi due motivi, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 132 n. 4 c.p.c. (per motivazione apparente e in realtà inesistente), nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.;
attraverso la proposizione di tali censure, i ricorrenti impugnano la sentenza d’appello nella parte in cui, nel confermare la sentenza di primo grado (pur con diversi profili di motivazione sulle ragioni di fatto), ha ritenuto non provata la natura RAGIONE_SOCIALE dell’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE e ha ritenuto che l’attività svolta fosse di natura commerciale, o quantomeno prevalentemente commerciale, così escludendo il nesso di causalità tra l’errore dei professionisti e l’evento dannoso consistito nella conferma della sentenza dichiarativa di fallimento;
i motivi in esame -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono nel loro complesso infondati;
osserva in primo luogo il Collegio come debbano ritenersi radicalmente destituite di fondamento le doglianze avanzate dai ricorrenti con riguardo al preteso carattere apparente della motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata, avendo il giudice d’appello viceversa ampiamente giustificato le ragioni poste a fondamento della pronuncia, sulla base di un discorso motivazionale di per sé del tutto idoneo a consentire la ricostruzione dell’ iter logico-giuridico seguito al fine di giungere alla decisione assunta;
si tratta di una motivazione che (diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti) attiene direttamente al tema decisivo della natura commerciale o RAGIONE_SOCIALE dell’attività imprenditoriale svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, avendo la corte territoriale espresso sottolineato come ‘la documentazione acquisita al giudizio, anche tramite gli accertamenti della guardia di finanza, ha consentito di accertare che la società svolgeva in modo preponderante un’attività di commercializzazione dei proAVV_NOTAIOi finiti, procedendo all’acquisto e alla rivendita di migliaia di piante e fiori, senza alcun intervento sul ciclo biologico di tali proAVV_NOTAIOi. Non può ritenersi, quindi, che la società abbia svolto solo un’attività RAGIONE_SOCIALE di coltivazione di terreni sui quali erano presenti serre con proAVV_NOTAIOi venduti come propri, essendo emerso piuttosto come tale attività sia stata affiancata da un’attività di commercializzazione di piante e fiori acquistati da aziende terze. Dalla relazione del CTU Napoli si evince che parte delle serre era in stato di abbandono e che, in quelle in stato efficiente, le piante erano collocate su bancali, con ciò potendosi ipotizzare che fossero lì posate in attesa di rivendita, senza intervento sul loro ciclo biologico. In sostanza, il Tribunale ha correttamente ravvisato indici di un’attività commerciale svolta quantomeno in maniera prevalente’ (cfr. pag. 8-9 della sentenza impugnata);
è peraltro appena il caso di rilevare l’assoluta inammissibilità dell’evocazione del vizio di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. attraverso il prospettato confronto del testo motivazionale con elementi tratti aliunde (come espressamente preteso dagli odierni ricorrenti attraverso la ripetuta denuncia della contraddittorietà della motivazione rispetto agli elementi istruttori acquisiti al giudizio), potendo contestarsi il carattere meramente apparente della motivazione ai sensi dell’art. 132 n. 4 c.p.c. solo in base all’esame del
testo motivazionale di per sé considerato, in quanto inidoneo, sulla base delle sole argomentazioni ivi articolate, di rendere ragione dell’ iter logico-giuridico seguito al fine di pervenire alla decisione impugnata;
le doglianze in esame devono ritenersi infine inammissibili nella parte in cui prospettano un preteso omesso esame, da parte della corte d’appello, di fatti decisivi controversi (rilevanti ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), poiché (al di là dell’eventuale superamento dei limiti posti dall’art. 348ter c.p.c. all’ammissibilità del ricorso per cassazione in presenza di una decisione d’appello assunta sulla base dei medesimi presupposti in fatto posti a fondamento della decisione di primo grado) il contenuto delle censure illustrate, lungi dall’evidenziare la mancata considerazione di fatti decisivi suscettibili di determinare con certezza (ove effettivamente considerati) un diverso esito della lite, appare unicamente limitato alla mera prospettazione di una diversa considerazione degli elementi istruttori complessivamente acquisiti al giudizio (con particolare riguardo alla ricostruzione della natura meramente RAGIONE_SOCIALE o, viceversa, commerciale dell’impresa gestita dalla RAGIONE_SOCIALE attrice), sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 100112 c.p.c. e dell’art. 43 legge fallimentare, per avere la corte territoriale, attraverso la conferma della sentenza di primo grado, erroneamente dichiarato la carenza di legittimazione della società RAGIONE_SOCIALE, in quanto la sottoposizione alla procedura fallimentare ne avrebbe fatto venir meno la capacità di stare in giudizio in una controversia avente ad oggetto rapporti patrimoniali compresi nel fallimento stesso, per i quali la legittimazione processuale spetterebbe esclusivamente al curatore, là dove, al contrario, nessun
interesse avrebbe potuto nutrire il curatore ad agire in giudizio al fine di sentir affermare la responsabilità dei difensori del fallito per i danni da quest’ultimo subiti in conseguenza della (asseritamente) illegittima dichiarazione di fallimento;
sotto altro profilo, i ricorrenti sottolineano l’illegittimità della dichiarazione relativa al difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE fallita, dovendo ritenersi riservata la corrispondente eccezione alla sola massa dei creditori (e, per essa, del curatore), con la conseguenza che, in caso di inerzia della curatela e di azione diretta del fallito, il giudice non può rilevare d’ufficio il difetto di capacità del fallito, salva la facoltà del curatore di profittare dell’eventuale risultato utile del giudizio;
da ultimo, i ricorrenti evidenziano l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ignorato gli effetti proAVV_NOTAIOi dalla chiusura della procedura fallimentare durante lo svolgimento del giudizio di primo grado (già oggetto di specifico motivo d’appello, avendo il primo giudice ritenuto irrilevante la sopravvenuta chiusura del fallimento), con il conseguente erroneo disconoscimento della riacquistata legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE fallita a proseguire il giudizio a seguito della chiusura della procedura fallimentare;
il motivo è inammissibile avuto riguardo all’ intervenuto giudicato interno sull’autonoma ratio decidendi non impugnata dai ricorrenti;
osserva il Collegio come la corte territoriale, tra le varie argomentazioni illustrate a fondamento della decisione di conferma del dichiarato difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE, ha altresì sottolineato come ‘ anche a ritenere esistente la legittimazione della società fallita, non si vede quale potrebbe essere il pregiudizio subito, trattandosi di un ente in stato di decozione, con una rilevante
esposizione debitoria e non proprietaria di alcun bene, nemmeno quelli ove si esercitava l’attività’ (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);
in breve, la corte territoriale ha evidenziato come, pur quando volesse ammettersi la legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE fallita, la stessa non avrebbe potuto denunciare il ricorso di alcun pregiudizio, trattandosi di un ente in stato di decozione, con una rilevante esposizione debitoria e non proprietario di alcun bene: si tratta di un’autonoma ratio decidendi , di per sé idonea (al di là della relativa correttezza in termini giuridici) a risolvere in modo definitivo (siccome ritenuta del tutto irrilevante) la questione relativa alla legittimazione attiva (originaria o recuperata che fosse) della RAGIONE_SOCIALE fallita;
tale autonoma ratio decidendi non risulta esser stata impugnata dagli odierni ricorrenti, sì che il relativo conseguente passaggio in giudicato rende la censura in esame del tutto inammissibile;
deve trovare applicazione, al riguardo, l’ insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (Sez. 3, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020, Rv. 658309 -01; nel diverso senso della carenza di interesse v. Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 -01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011, Rv. 619427 – 01);
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate, per ciascun controricorrente, in complessivi euro 9.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione