Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13750 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13750 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12405/2021 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
Oggetto: capitali
Società
di
R.G.N. 12405/2021
Ud. 07/05/2025 CC
-controricorrente –
nonché contro RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 1907/2020 depositata il 06/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1907/2020, pubblicata in data 6 aprile 2020, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellato NOME COGNOME e nella contumacia dell’altra appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 7280/2012, depositata in data 11 aprile 2012, la quale, a propria volta, aveva respinto la domanda proposta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima aveva adito il Tribunale di Roma riferendo in fatto di avere concluso con gli altri soci della RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) -e cioè NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – una convenzione parasociale nella quale era stato previsto l’impegno di questi ultimi a rilevare – entro e non oltre il termine di cinque anni dalla sottoscrizione del patto – l’intera quota di partecipazione al capitale di RAGIONE_SOCIALE detenuta dalla stessa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad un prezzo corrispondente al valore di mercato della società pari, in
assenza di offerte formali di terzi, al patrimonio netto della società e comunque a un prezzo non inferiore all’80 % di quanto versato dall’attrice all’atto di acquisto delle quote.
Aveva poi dedotto l’odierna ricorrente di avere inutilmente invitato gli altri contraenti della convenzione parasociale – decorsi i cinque anni dalla sottoscrizione di quest’ultima -ad adempiere all’obbligazione.
Costituitisi tutti i convenuti contestando l’avversa domanda, il Tribunale di Roma, dopo la riassunzione del giudizio interrottosi a causa del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, aveva respinto la domanda.
Proposto appello da parte di RAGIONE_SOCIALE e costituitosi il solo NOME COGNOME la Corte d’appello di Roma, ha disatteso il gravame sulla base di una duplice considerazione.
In primo luogo, infatti, la Corte d’appello ha rilevato che il motivo di gravame risultava fondato su una causa petendi diversa da quella dedotta in primo grado, in quanto, mentre in quella sede era stato fatto esclusivo riferimento al risarcimento del danno da inadempimento ex art. 1218 c.c., in sede di gravame era stata chiesto l’adempimento della prestazione per equivalente.
In secondo luogo, la Corte capitolina ha affermato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva comunque assolto all’onere di provare la sussistenza e l’entità del danno da essa lamentato, non avendo fornito alcun elemento in ordine alla sussistenza di conseguenze negative derivanti dall’inadempimento degli appellati, tenuto conto del fatto che la medesima era comunque rimasta nella titolarità delle quote e che il riconoscimento del danno nella misura prevista dalla convenzione parasociale avrebbe determinato una ingiustificata locupletazione.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE (incorporante di RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
È rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce ‘violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., in spregio all’art. 345 c.p.c., e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360. primo comma, n. 5), c.p.c., con riferimento alla asserita possibile novità dell’unico motivo di appello’ .
Come sintetizzato nello stesso ricorso ‘Nel motivo si censura la sentenza n. 1907/2020 della Corte di Appello nella parte in cui ha ravvisato l’asserita possibile novità dell’unico motivo dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE per una causa petendi diversa da quella dedotta in primo grado ‘ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che, da un lato, l’appello non era fondato su una causa petendi diversa da quella dedotta in primo grado, avendo la ricorrente sempre agito per il risarcimento del danno ex artt. 8 e 9 della Convenzione parasociale del 29.07.1999 e 1218 e segg. c.c., e, dall’altro lato, la Corte d’appello avrebbe omesso di rilevare che già in primo grado la ricorrente aveva operato quella mera
precisazione della domanda che la Corte territoriale ha invece ritenuto costituire violazione dell’art. 345 c.p.c.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce ‘violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360, primo comma. n. 3), c.p.c., in spregio all’art. 1362 c.c., con riferimento al rigetto dell’unico motivo di appello. per asserita mancata prova del danno a causa dell’inapplicabilità degli artt. 8 e 9 della Convenzione Parasociale del 29.07.1999’ .
Come sintetizzato nello stesso ricorso ‘Nel motivo si censura la sentenza n. 1907/2020 della Corte di Appello nella parte in cui ha rigettato l’unico motivo di appello a causa della asserita mancata prova del danno per inapplicabilità degli artt. 8 e 9 della Convenzione Parasociale del 29.07.19 99’ .
La ricorrente, richiamato il contenuto delle previsioni dell’accordo parasociale, censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha escluso che tali previsioni potessero trovare applicazione nel momento in cui la ricorrente medesima non si era spogliata delle quote cedendole a terzi.
Argomenta che, sulla base di una corretta interpretazione delle clausole, la facoltà per la ricorrente stessa di agire per il risarcimento del danno non era subordinata né all’impossibilità di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto nell’ipotesi di inadempimento da parte di tutti i soci.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce ‘Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360. primo comma. n. 3). c.p.c., in spregio agli artt. 112 c.p.c., 1223, c.c., 1226cc e 2697 c.c., e omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5). c.p.c., con riferimento al rigetto dell’unico motivo di
appello, per asserita mancata prova del danno a causa di ingiusta locupletazione a favore di RAGIONE_SOCIALE
Come sintetizzato nello stesso ricorso ‘Nel motivo si censura la sentenza n. 1907/2020 della Corte di Appello nella parte in cui ha rigettato l’unico motivo di appello a causa della asserita mancata prova del danno per ingiusta locupletazione a favore di RAGIONE_SOCIALE
Argomenta, in particolare, il ricorso che nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore e che, pertanto, la Corte d’appello avrebbe pot uto ridurre l’ammontare del danno riconoscibile alla ricorrente ma non negare il risarcimento medesimo sulla base di un pericolo di locupletazione.
Ulteriormente, la ricorrente evidenzia di avere depositato documentazione a supporto della pretesa risarcitoria, di cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, in tal modo incorrendo nell’ipotesi di vizio di omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce ‘Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360, primo comma. n. 3). c.p.c., in spregio all’art. 91 c.p.c., con riferimento alla liquidazione delle spese di giudizio’ .
Come sintetizzato nello stesso ricorso ‘Nel motivo si censura la sentenza n. 1907/2020 della Corte di Appello nella parte in cui ha liquidato le spese di giudizio con riferimento al valore complessivo della causa e non con riferimento alla domanda di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Signor NOME COGNOME
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe liquidato le spese di lite NOME COGNOME individuando erroneamente il valore di lite sulla base della somma degli importi richiesti a titolo di
risarcimento a tutti gli originari convenuti e non al solo NOME COGNOME
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale, infatti, pur avendo inizialmente affermato in rito che il motivo di appello veniva a basarsi su una causa petendi diversa dall’originaria domanda, ha poi proceduto all’esame nel merito del motivo medesimo (cfr. pag. 7 della motivazione: ‘Osserva in ogni caso questo collegio (…)’ ), ritenendolo infondato.
Emerge, quindi, che la decisione impugnata è venuta a basarsi su una duplice ratio decidendi : da un lato l’inammissibilità del motivo di appello per asserita novità e, dall’altro lato, l’infondatezza nel merito del gravame.
Deve, quindi, trovare applicazione l’orientamento reiteratamente espresso da questa Corte per cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Cass. Sez. 5 – Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 24/05/2006).
Poiché, come ci si appresta a vedere in sede di esame del secondo e terzo motivo, le censure mosse dalla ricorrente alla ratio alternativa di merito della decisione impugnata devono ritenersi inammissibili -con conseguente idoneità di tale ratio a sorreggere la decisione stessa
-il motivo di ricorso ora in esame deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse.
Come anticipato, il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Costituisce costante orientamento di questa Corte quello per cui -traducendosi l’interpretazione del contratto in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, la quale si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione (come del resto rammenta la stessa ricorrente), oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. L – Sentenza n. 10745 del 04/04/2022; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4851 del 27/02/2009) – il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017).
Va infatti ribadito che l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito,
alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n. 28319 del 28/11/2017).
È invece proprio quest’ultim a impostazione a caratterizzare il motivo di ricorso, il quale, ben lungi dall’evidenziare una irrimediabile arbitrarietà ed inconsistenza del risultato interpretativo cui è pervenuta la Corte di merito, si limita a censurare detto risultato, opponendo una interpretazione delle previsioni contrattuali divergente rispetto a quella, comunque plausibile, adottata dalla Corte d’appello.
In tal modo, tuttavia, il motivo si sostanzia in una mera doglianza in ordine alla scelta -riservata al giudice di merito entro i limiti appena evidenziati -tra le possibili -e plausibili -interpretazioni di un testo contrattuale, palesando la propria inammissibilità.
4. Inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso.
Quanto al richiamo all’art. 360, n. 5), c.p.c., infatti, l’inammissibilità del mezzo discende dalla constatazione che lo stesso, nel denunciare l’omessa valutazione di una serie di documenti cui la ricorrente attribuisce valenza probatoria, si colloca ampiamente al di fuori del perimetro dell’omesso esame circa un fatto decisivo, ipotesi da intendersi riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017).
Occorre, infatti, ribadire che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 27415 del
29/10/2018), e ciò in quanto le deduzioni aventi ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attengono alla mera sufficienza della motivazione, e cioè ad un profilo non (più) deducibile come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).
Parimenti inammissibile risulta la deduzione in ordine alla violazione dell’art. 112 c.p.c., per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, infatti, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 18491 del 12/07/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014), ipotesi che si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti, e non nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 452 del 14/01/2015) né nel caso -in questa sede dedotto -in cui si denunci il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti, dal momento che tale ultima ipotesi integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5730 del 03/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1360 del 26/01/2016).
In secondo luogo, occorre richiamare il principio per cui, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è
indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4) del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché il ricorso sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Quanto alle residue doglianze per violazione di legge, si deve rilevare che le stesse risultano eccentriche rispetto alla ratio decidendi , in quanto quest’ultima non risulta fondata -come sembra opinare la ricorrente – sulla differenza fra valore attuale ed il valore iniziale della partecipazione, bensì sull ‘affermazione dell’inammissibilità di una locupletazione che venga a derivare dall’acquisizione del valore della partecipazione -indipendentemente dal suo essere il valore attuale o originario -conservando contemporaneamente la titolarità della partecipazione medesima.
Fondato, invece, è il quarto ed ultimo motivo.
Nel determinare il valore della lite, infatti, la Corte territoriale è venuta ad applicare il criterio operante nel caso di domande proposte nei confronti di convenuti col vincolo della solidarietà (Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 40832 del 20/12/2021), a fronte di una domanda che invece non contemplava una richiesta di condanna in solido, avendo l’odierna ricorrente agito , chiedendo la condanna separata dei singoli convenuti in relazione alla componente di obbligazione da ciascuno assunta.
Per tale motivo, allora, avrebbe dovuto trovare applicazione il diverso principio per cui, n ell’ipotesi di litisconsorzio facoltativo , il
valore della causa non si determina sommando il valore delle singole domande proposte da un solo attore contro più convenuti o da più attori contro un solo convenuto, posto che queste, essendo cumulate soltanto dal lato soggettivo, vanno ritenute fra loro distinte ed autonome (Cass. Sez. 3 – , Ordinanza n. 10367 del 17/04/2024; Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 18166 del 26/06/2023; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3107 del 06/02/2017).
In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto limitatamente al quarto motivo di ricorso, inammissibili gli altri.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti nel merito ex art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, rideterminando le spese di lite riconosciute al controricorrente NOME COGNOME nella minor misura di € 6.615,00 – oltre le spese vive eventualmente già riconosciute dalla sentenza di merito -somma determinata dall’applicazione del valore medio dei compensi secondo quanto già riconosciuto dalla Corte d’appello.
Quanto alle spese del giudizio di legittimità, l’accoglimento in misura significativamente ridotta del ricorso giustifica l’integrale compensazione delle medesime.
P. Q. M.
La Corte,
accoglie il quarto motivo di ricorso, inammissibili gli altri;
cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello nella misura di € 6.615,00 per compensi oltre spese generali ed accessori di legge;
compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 7 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME