Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25691 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25691 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 14356/21 proposto da:
-) COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , quest’ultima in persona del socio accomandatario pro tempore , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesi dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
– ricorrenti –
contro
-) COGNOME NOME ;
– intimato – avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 29 gennaio 2021 n. 3569; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11 luglio 2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Nel 2009 NOME COGNOME concesse in locazione alla società RAGIONE_SOCIALE un immobile ad uso commerciale, sito a Milano, INDIRIZZO.
Dopo la stipula del contratto due dei tre soci della RAGIONE_SOCIALE trasferirono le proprie quote a terzi; il terzo socio cedette solo parte della propria quota. Dopo le cessioni la RAGIONE_SOCIALE NOME mutò ragione sociale in ‘RAGIONE_SOCIALE‘ .
Oggetto: inammissibilità del ricorso per estraneità alla ratio decidendi .
Nel 2017 NOME COGNOME intimò sfratto per morosità alla RAGIONE_SOCIALE, sostenendo di non aver più ricevuto il pagamento del canone sin dal 2011.
Nell’intimazione di sfratto per morosità il ricorrente chiese anche che fosse ingiunto il pagamento dei canoni scaduti alla società conduttrice nonché ‘ solidalmente e personalmente/in proprio nei confronti del socio accomandatario COGNOME NOME.
Si costituì la sola RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza 20.11.2018 il Tribunale di Milano accolse la domanda di risoluzione del contratto e condannò la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in solido al pagamento dei canoni scaduti, quantificati in euro 123.932,21, oltre accessori. La sentenza fu impugnata in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE; la Corte d’appello ordinò l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. nei confronti di NOME COGNOME; quest’ultima si costituì formulando appello incidentale col quale eccepì:
-) la nullità della sentenza di primo grado, per avere pronunciato una condanna a suo carico senza che fosse stata ritualmente citata;
-) i l proprio difetto di ‘legittimazione passiva’;
-) l ‘estraneità della RAGIONE_SOCIALE al contratto di locazione stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE; dedusse aderendo all’appello principale -che i soci della ‘RAGIONE_SOCIALE avevano ceduto le proprie quote alla ‘RAGIONE_SOCIALE, ma tale cessione di quote non aveva avuto per effetto la cessione del contratto di locazione.
Con sentenza 29.1.2021 n. 3569 la Corte d’appello di Milano rigettò tutti gli appelli.
Ritenne che:
–NOME COGNOME era stata ritualmente citata in primo grado;
-la domanda di condanna era stata ritualmente formulata anche nei confronti di NOME COGNOME nella veste di accomandatario della RAGIONE_SOCIALE;
-t uttavia l’ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 c.p.c. non era stata comunicata a NOME COGNOME, contumace; tale vizio tuttavia non
comportava la regressione del processo al primo grado, ex art. 354 c.p.c., ma imponeva soltanto la decisione nel merito in grado di appello;
-nel merito, la domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME era fondata perché il trasferimento delle quote sociali dalla ‘RAGIONE_SOCIALE ‘ alla ‘RAGIONE_SOCIALE non comportò alcun mutamento nel soggetto conduttore; la cessione di quote non fu infatti fu totalitaria (uno dei soci della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, cedette solo una parte della sua quota).
NOME COGNOME ha impugnato per cassazione la sentenza d’appello con ricorso fondato su un motivo.
NOME COGNOME è rimasto intimato.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente rileva il Collegio che NOME COGNOME, dichiarando di proporre il presente ricorso ‘ sia in proprio che quale socia accomandataria’ , secondo l’unico senso giuridicamente possibile di tale espressione, ha inteso impugnare la sentenza d’appello come persona fisica e come rappresentante d’una società di persone.
RAGIONE_SOCIALE, pertanto, deve ritenersi ricorrente nel presente giudizio, e di conseguenza è priva di effetti la notifica del ricorso effettuata anche ad essa, cioè – in definitiva – a se stessa.
Così qualificato il ricorso, ne discende che l’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 3 c.p.c., giacché l’illustrazione dell’unico motivo è riferibile alla sola NOME COGNOME, e non contiene censure avverso la condanna della RAGIONE_SOCIALE.
Con l’unico motivo di ricorso NOME COGNOME deduce il vizio di nullità della sentenza d’appello.
Denuncia che la sentenza sarebbe nulla per violazione dell’art. 101 c.p.c., ‘ per non aver la Corte territoriale rilevato la nullit à́ della sentenza di primo grado, avendo il Tribunale di Milano pronunciato sentenza di condanna in
solido tra la RAGIONE_SOCIALE con la Sig.ra COGNOME NOME, quale socio accomandatario di RAGIONE_SOCIALE, sebbene il rapporto processuale tra quest’ultima ed il COGNOME non fosse mai stato validamente istaurato , la stessa non essendo mai stata citata in giudizio nella precitata veste e qualit à́’ .
La ricorrente sostiene che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado non conteneva alcuna vocatio in ius nei suoi confronti, sicché la mera circostanza che quell’atto fosse stato notificato anche a lei non valse a costituire un valido rapporto processuale.
3.1. La censura è inammissibile per totale estraneità alla ratio decidendi .
La Corte d’appello ha ritenuto che dall’ esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado emergeva in modo evidente l’esistenza d’una chiara domanda di condanna formulata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME.
Questa ratio decidendi non è nemmeno sfiorata dal ricorso, il quale si limita a contrapporre all’affermazione della Corte d’appello la propria personale valutazione di nullità della citazione.
3.2. In ogni caso il ricorso è anche infondato, dal momento che è principio ricevuto quello secondo cui gli atti processuali vanno valutati nel loro complesso, senza limitarsi a considerarne le singole parti; e nel caso di specie che NOME COGNOME avesse formulato una domanda di condanna nei confronti di NOME COGNOME è indiscutibile, alla luce del periodo trascritto a p. 7, primo capoverso, della sentenza d’appello).
3 .3. In terzo luogo, l’odiern a ricorrente insiste nel sostenere che l’atto introduttivo del giudizio di primo grado si sarebbe dovuto ritenere nullo: per carenza della vocatio in ius . Ma se anche fosse esistito quel vizio, ciò non avrebbe potuto condurre alla cassazione della sentenza impugnata, per molte ragioni:
-) in primo luogo, perché l’errore commesso dalla Corte d’appello sarebbe consistito non nella violazione dell’art. 101 c.p.c., ma piuttosto nel non avere
ritenuto sussistere la violazione, da parte del primo giudice, dell’obbligo di rilevare le nullità dell’atto introduttivo e di ordinare il rinnovo della citazione ai sensi dell’art. 164 c.p.c. ; sicché il ricorso denuncia la violazione di una norma che nulla ha a che vedere col vizio processuale come prospettato, in quanto avrebbe dovuto denunciare la violazione dell’art. 164 c.p.c. ;
-) in secondo luogo, qualsiasi eventuale nullità della citazione in primo grado sarebbe stata sanata dalla conoscenza che l’odierna ricorrente ha avuto del processo, secondo i princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U – , Sentenza n. 2258 del 26/01/2022, alla cui motivazione si può qui rinviare ex art. 110 disp. att. c.p.c.).
Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della