Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19265 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19265 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 17192/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, P.I. 11123640, con sede in Milano, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME del Foro di Milano e NOME COGNOME del Foro di Roma, entrambi elettivamente domiciliati in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Fallimento del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Taranto RAGIONE_SOCIALE, C.F. P_IVA, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME per procura in atti.
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza, depositata in data 27.12.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Potenza – decidendo sul gravame proposto dal Consorzio Agrario Regionale della Lucania e Taranto Calabria RAGIONE_SOCIALE nei confronti del Fallimento del medesimo Consorzio – ha parzialmente riformato la sentenza impugnata emessa dal Tribunale di Potenza e ha per l’effetto ammesso al passivo fallimentare l’ulteriore credito di euro 550.016,90, in via chirografaria, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
La RAGIONE_SOCIALE aveva infatti proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento del Consorzio Agrario e con la sentenza poi appellata il Tribunale aveva parzialmente accolto l’opposizione, ammettendo al passivo la società istante per euro 1.774.574,14, in INDIRIZZO
La corte territoriale, adita in sede di gravame, ha ritenuto ed osservato che: (i) il primo motivo di appello – con cui la società creditrice si era doluta del fatto che il Tribunale si fosse pronunciato su una eccezione (quella relativa alla mancanza di data certa), mai sollevata dalla curatela fallimentare – era infondato, in quanto, anche secondo la giurisprudenza di legittimità resa a Sezioni Unite (Cass. 4213/2013), l’eccezione in esame doveva essere ricondotta nel paradigma delle eccezioni in senso lato, come tale sollevabili anche d’uffici o e perché, inoltre, neanche poteva ritenersi violato l’art. 101 cod. proc. civ., per non essere stata la questione sottoposta al contraddittorio delle parti, non avendo l’appellante denunciato ne i motivi di gravame alcun profilo di violazione del diritto di difesa; (ii) anche il secondo motivo di gravame con il quale si denunciava l’omessa esame da parte del primo giudice della maggior parte della documentazione depositata per la dimostrazione della sussistenza del credito insinuato – era infondato, in quanto: (a) il libro giornale, prodotto in copia conforme, non poteva in alcun modo rilevare, giacché l’autenticazione del notaio riguardava la conformità delle copie all’originale, non comportando la stessa né la regolarità della tenuta della scrittura né potendosi applicare l’art. 2710 cod. civ. , in tema di efficacia probatoria tra imprenditori delle scritture contabili regolarmente tenute; (b) quanto alla nota a firma del commissario giudiziale del 15 febbraio 2006, con la quale si riconosceva un debito verso la Siapa di euro
3.536.491,72, la stessa non poteva avere valenza confessoria, in quanto il commissario non aveva il potere di disporre del diritto e perché la predetta nota era comunque priva di data certa e dunque non opponibile ai terzi; (c) anche i documenti di trasporto non erano probatoriamente fruibili ai fini della dimostrazione della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto di credito, in quanto anch’essi privi di data certa; (d) infine le conclusioni raggiunte dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio di primo grado non erano rilevanti, in quanto non potevano incidere su questioni di puro diritto; (e) non poteva neanche essere riconosciuto il richiesto privilegio legale previsto dall’art. 44, secondo comma, T.U.B., in relazione ai crediti portati dalle cd. cambiali agrarie, posto che il Consorzio emittente le cambiali non poteva essere considerato, ai sensi dell’art. 43, 4 comma, T.U.B., istituto che esercita va operazioni di credito agrario.
Il decreto, pubblicato il 27.12.2021, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui il Fallimento del Consorzio RAGIONE_SOCIALE Regionale della Lucania e Taranto Calabria RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 101 cod. proc. civ.. 24 e 111 Cost., sul rilievo che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità per non aver la Corte di appello sottoposto al contraddittorio processuale la questione sollevata d’ufficio della mancanza di data certa della nota a firma del commissario giudiziale, contenente la confessione circa la sussistenza del credito oggetto di insinuazione nel passivo fallimentare.
Con il secondo mezzo si deduce ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod. civ. e dei principi e norme che regolano l’opponibilità al terzo di atti in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.’, sul rilievo che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto privo di data certa la nota del 15 febbraio 2006 del commissario giudiziale e dunque probatoriamente non rilevante tale documento ai fini del decidere.
2.1. I primi due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente sono, in realtà, inammissibili.
Sul punto qui in discussione va premesso che sulla ‘ questione ‘ della nota del commissario giudiziale del 15 febbraio 2006 vi sono, nella motivazione del provvedimento impugnato, due rationes decidendi che sostengono l ‘affermazione giudiziale della non rilevanza probatoria del documento in parola, e cioè, da un lato, la natura non confessoria di tale documento perché il commissario non avrebbe potuto disporre del diritto e, dall’altro, come ulteriore ed aggiuntiva ragione decisoria, la mancanza di data certa.
Orbene, la mancata censura da parte della società ricorrente della prima ratio decidendi , tra quelle da ultimo ricordate, rende carente di interesse la parte oggi ricorrente a proporre le doglianze articolate nei primi due motivi di ricorso sopra ricordati, come tali attinenti, da un lato, alla presunta violazione del contraddittorio processuale, ai sensi degli artt. 101 cod. proc. civ. e 2704 cod. civ., e dall’altro, al profilo della non opponibilità del documento in relazione alla data certa, essendo evidente che il consolidarsi della ragione decisoria riguardante la natura non confessoria del documento (in ragione della sua mancata impugnazione) non potrebbe giammai determinare la cassazione del provvedimento qui impugnato, neanche nell’ipotesi in cui fossero accolte le ulteriori censure dedotte dalla società ricorrente.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ….’.
3.1. Assume in primo luogo la ricorrente che il provvedimento impugnato sarebbe errato, perché, avendo ritenuto la Corte di appello inopponibile alla curatela fallimentare la nota del commissario giudiziale del 15 febbraio 2006, ne avrebbe completamente ‘omesso l’esame’.
3.2. Sostiene, inoltre, la ricorrente che la predetta nota, provenendo da un pubblico ufficiale, sarebbe stata ammantata dal crisma della pubblica fede, ai sensi dell’art. 2700 c.c., potendo il pubblico ufficiale attestare con piena prova i fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza. In ogni caso – aggiunge la ricorrente – al predetto documento non avrebbe comunque potuto essere negata la sua valenza di prova documentale, liberamente apprezzabile dai
giudici del merito, essendo quest’ultimi incorsi anche nella violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
3.3. Le doglianze presentano plurimi profili di inammissibilità tra loro concorrenti a rendere irricevibili le censure veicolate nel motivo qui ora in esame.
In primo luogo, le obiezioni sollevate dalla ricorrente pretenderebbero un nuovo scrutinio della quaestio facti , in relazione alla verifica della rilevanza probatoria della documentazione versata in atti nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Inoltre, le censure così articolate risultano formulate fuori dal paradigma applicativo dell’invocato vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non avendo le stesse dedotto un ‘fatto storico’, inteso come evento naturalisticamente rilevante, nel cui omesso esame sarebbe incorso il giudicante (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
A ciò va aggiunto che il documento – (e cioè, la nota del commissario), di cui la società ricorrente lamenta l’omesso esame – era stato comunque esaminato dalla Corte di appello e ritenuto da quest’ultima non rilevante probatoriamente, proprio perché non avente valenza confessoria. Ratio decidendi quest’ultima che la ricorrente dimentica di censurare ancora una volta nel motivo di ricorso qui ora in esame.
3.4. Denuncia, inoltre, la ricorrente sempre nel terzo motivo di ricorso, vizio di omesso esame di un fatto decisivo, relativo al mancato esame da parte della Corte di appello del documento datato 31 dicembre 2005, contenente, a suo dire, il riconoscimento del debito per euro 3.947.194,84 da parte del direttore del consorzio, documento che sarebbe stato prodotto in allegato alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, cod. proc. civ. e che non sarebbe stato oggetto di esame nonostante la sua evidente decisività.
3.5. Anche quest’ulteriore obiezione sollevata dalla ricorrente è inammissibile in ragione della sua genericità di formulazione. Ed invero, la ricorrente deduce di aver depositato il documento nel giudizio di primo grado in sede di redazione delle memorie istruttorie ex art. 183, comma 6, n. 2, cod. proc. civ., senza tuttavia premurarsi di indicare se la relativa questione fosse stata devoluta in appello come specifico motivo di gravame, con ciò rendendo la censura oggi proposta solo genericamente formulata.
3.6. Sostiene inoltre la ricorrente, sempre nel terzo motivo, che la Corte di appello non avrebbe neanche valutato nel loro complesso i documenti depositati (DDT; elenco dei movimenti inviato dal Consorzio, fatture), documenti attraverso i quali, invece, i giudici del merito avrebbero potuto facilmente ricostruire le vicende negoziali e dunque anche la fondatezza della pretesa creditoria.
3.7. Da ultimo la ricorrente censura come erronea anche la statuizione contenuta nella sentenza impugnata, laddove quest’ultima aveva ritenuto probatoriamente irrilevanti le conclusioni raggiunte dal c.t.u. perché le stesse, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, non avrebbero integrato apprezzamenti di diritto, ma avrebbero invece rappresentato la ricostruzione della vicenda fattuale, con la conseguenza che la mancata considerazione della predetta consulenza da parte della Corte distrettuale aveva determinato il denunciato vizio di omesso esame di fatto decisivo.
3.8. Anche quest’ultime due censure , articolate nel terzo motivo, non superano il vaglio di ammissibilità, posto che le une sono volte a far ripetere a questa Corte un ulteriore scrutinio di merito in ordine alla valenza probatoria della documentazione versata in atti, il cui sindacato è invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito; e le altre sono formulate, ancora una volta, fuori dal paradigma normativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (per come perimetrato dalla giurisprudenza di legittimità: Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), non potendosi denunciare, con il vizio qui azionato, l’omesso esame di una c.t.u., riguardando quest’ultim a un mezzo istruttorio liberamente apprezzabile dal giudice del merito e che, peraltro, nel caso di specie, è stato anche esaminato dalla Corte territoriale e ritenuto da quest’ultima non rilevante nelle sue conclusioni, apprezzamento quest’ultimo integrante, con evidenza, un giudizio di fatto, non più sindacabile in questo giudizio di legittimità, per lo meno nei termini articolati dall’odierna ricorrente.
La ricorrente propone inoltre un quarto mezzo con il quale deduce la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dei principi e delle norme che regolano la valutazione complessiva delle prove da parte del Giudice in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.’.
4.1. Anche il quarto mezzo è inammissibile, perché volto, ancora una volta,
a sollecitare un giudizio di merito che esula dal sindacato di questa Corte. Sul punto è utile inoltre ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Il quinto ed ultimo mezzo denuncia infine ‘violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 43, 44 e 153 D.lgs. n. 385/1993 in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.’, sul rilievo che avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere di non rico noscere il privilegio legale di cui all’art. 44, 2 comma, T.U.B., perché, diversamente da quanto opinato dai giudici del gravame, il Consorzio era un istituto di credito abilitato alla concessione di credito nell’ambito agrario.
5.1. Anche l’ultimo motivo di censura è inammissibile per genericità di formulazione, perché trascura di indicare se il Consorzio, sopra indicato, fosse stato autorizzato all’esercizio dell’attività di credito, ai sensi dell’art. 153 , terzo comma, T.u.b., circostanza quest’ultima invece decisiva per far ritenere eventualmente rilevante il denunziato vizio di violazione di legge e per non rendere così la denuncia proposta come la mera prospettazione astratta del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., come tale non ricevibile nel giudizio di cassazione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,
ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 17.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025