Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33840 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33840 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11837/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME e COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME NOMECOGNOME ASSENZA COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1198/2019 depositata il 16/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
NOME COGNOME già titolare di un conto corrente con annesso deposito titoli della Banca Popolare di Brescia, filiale di Genova convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE (già Banca Popolare di Brescia) COGNOME NOME, funzionario della Banca, NOME COGNOME già convivente dell’attrice nonché socio ed amministratore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME già socio della medesima società, ed NOME COGNOME, ragioniere della società, per sentirli condannare, in via alternativa o solidale, alla restituzione della somma di Lire 383.000.000, ricavata dalla vendita dei titoli depositati, effettuata il 20.12.1996.
A sostegno della domanda l’attrice espose che nell’estate 1998 volendo procedere alla vendita dei predetti titoli, al fine di procurarsi la liquidità necessaria per poter raggiungere un accordo con le banche creditrici della società RAGIONE_SOCIALE, in favore delle quali aveva prestato dapprima fideiussione e successivamente concesso ipoteca sui propri immobili, aveva appreso che i titoli erano stati venduti dal convivente, a sua insaputa e su suggerimento dell’Assenza, al fine di far fronte a debiti personali del Pesce, in modo da evitare l’avvio di azioni esecutive individuali che avrebbero potuto innescare azioni nei confronti della società.
Aggiunse che la Banca aveva ingiustificatamente omesso di fornire la documentazione relativa all’operazione dichiarando dapprima di non averla reperita, ed in seguito che la stessa era andata smarrita o distrutta a seguito di un’alluvione.
Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, sostenendo che l’operazione era stata autorizzata dall’attrice, la quale, oltre ad aver sempre operato personalmente sul conto a lei intestato, non aveva sollevato contestazioni in ordine agli estratti conto che le erano stati regolarmente trasmessi.
Costituitosi a sua volta in giudizio, il COGNOME affermò di aver ottenuto dal Coronella un prestito personale di Euro 383.000.000, utilizzato per far fronte a propri debiti, precisando di averne ignorato la fonte e di averlo regolarmente restituito.
Il COGNOME sostenne invece che l’attrice era soltanto una prestanome delle operazioni poste in essere dal COGNOME e dal COGNOME, aggiungendo che ella era sempre stata al corrente dei rapporti intercorsi tra gli stessi.
Il Tribunale di Genova, dopo aver ingiunto alla Banca, con ordinanza emessa, ai sensi dell’art. 186 -ter c.p.c., di corrispondere all’attrice la somma di Lire 383.000.000, con sentenza non definitiva del 18 maggio 2004 accolse la domanda
proposta nei confronti della Banca, del Ricci e del Coronella, e rigettò quella proposta nei confronti degli altri convenuti.
Con sentenza definitiva del 26 ottobre 2006, il Tribunale determinò poi in Euro 45.930,70, oltre interessi, la somma ulteriormente dovuta dalla Banca, dal COGNOME e dal COGNOME, condannando quest’ultimo a rivalere la prima delle somme da corrispondere alla Gambula.
Le impugnazioni proposte dalla Banca e dal Ricci erano accolte con sentenza del 13 gennaio 2012, con cui la Corte d’Appello di Genova aveva rigettato la domanda dell’attrice, condannandola a restituire le somme riscosse in virtù dei provvedimenti emessi in primo grado.
A fondamento della decisione, la Corte riteneva provato che la RAGIONE_SOCIALE, titolare esclusiva di un conto corrente sul quale erano affluiti non solo i suoi risparmi, ma anche i proventi dell’attività svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE aveva partecipato a pieno titolo alle operazioni economiche che la riguardavano: premesso infatti che l’attrice stessa aveva ammesso di aver concesso ipoteca sui propri beni in relazione ad una fideiussione precedentemente prestata a garanzia dei debiti della società, ha rilevato che la COGNOME aveva personalmente conferito a tale rag. COGNOME l’incarico di risolvere i problemi insorti con le Banche, ritenendo pertanto inverosimile che ella avesse appreso soltanto successivamente della vendita dei titoli e del giroconto di buona parte del ricavato in favore del Pesce. Ha osservato al riguardo che oltre ad aver ricevuto regolarmente gli estratti delle operazioni compiute sul conto corrente senza sollevare rilievi, dopo l’operazione in questione l’attrice aveva continuato ad operare sul conto senza mai mandarlo in scoperto, facendo in tal modo presumere di essere a conoscenza, momento per momento, della sua disponibilità. Considerato poi che la RAGIONE_SOCIALE aveva sottoscritto per adesione la scrittura con cui nel 1998 la società RAGIONE_SOCIALE era stata posta in liquidazione ed i soci
avevano regolato i rapporti tra loro intercorrenti, con l’imposizione a carico del Pesce dell’obbligo di restituire la somma di Lire 380.000.000, La Corte riteneva non credibile che ella non si fosse posta il problema della provenienza della somma mutuata e non ne avesse chiesto conto al convivente, aggiungendo che l’attrice aveva continuato ad operare sul conto corrente, con una serie concatenata di atti, tale da rendere implausibile l’ipotesi che essa fosse all’oscuro dell’andamento del conto.
Considerava poi inattendibile la deposizione di un teste, il quale aveva riferito che al tempo della vendita dei titoli l’attrice si trovava in Sardegna per occuparsi di un congiunto ammalato, osservando che, come emergeva dai documenti prodotti, il 19.12.’96 la COGNOME si era presentata in Banca per sottoscrivere un contratto di gestione in fondi comuni d’investimento, ed il giorno successivo aveva acquistato azioni per un considerevole importo.
Quanto all’affermazione dell’attrice, secondo cui i rapporti con il convivente si sarebbero interrotti non appena conosciuto il raggiro da lui posto in essere ai suoi danni, la Corte riteneva che detta affermazione fosse smentita da una relazione investigativa confermata in udienza, secondo cui, in contrasto con le risultanze anagrafiche, la COGNOME ed il COGNOME avevano continuato a vivere ed a lavorare insieme.
Rilevava d’altronde che l’iniziativa penale assunta dall’attrice per i fatti in questione si era conclusa con l’archiviazione nella quale era stato dato atto della continua osmosi tra i conti della Gambula, del Coronella e del Pesce, nonchè della diretta compartecipazione della prima agli affari dei due soci.
Concludeva pertanto che la mancata esibizione degli ordini non consentiva di escludere la partecipazione dell’attrice alle operazioni, o quanto meno la ratifica delle stesse, dovendo la COGNOME rispondere comunque dell’operato del Coronella, che aveva gestito per suo conto la vicenda, in tal modo assumendo la veste di
mandatario, mediante una condotta ratificata dall’interessata per fatti concludenti.
Avverso la predetta sentenza la COGNOME proponeva ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria cui avevano resistito con controricorsi, anch’essi illustrato con memorie, il COGNOME e l’Unicredit S.p.a., succeduta alla Bipop Carire nel corso del giudizio d’appello.
Il Coronella, il Pesce e l’Assenza non avevano svolto attività difensiva.
La Corte di Cassazione con sentenza 1578/2017 accoglieva il primo motivo di ricorso con cui era stata denunciata la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2728 e 2729 c.c. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e/o illogica motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio per avere la Corte di appello ritenuta provata la sua presenza in Banca nei giorni in cui era stata compiuta l’operazione di vendita senza tener conto del fatto certo e decisivo rappresentato dalla mancanza dell’ordine di essa attrice.
Deduceva in particolare che il giudice di merito aveva fondato il proprio iter argomentativo su mere presunzioni ricavate dalle sue vicende di vita, con la conseguente pretermissione di qualsiasi valutazione in ordine alla condotta della Banca, ed il trasferimento a carico della danneggiata della responsabilità per l’accaduto.
Sosteneva poi che la sentenza impugnata era incorsa in una petizione di principio nell’imputare ad essa attrice la vendita dei titoli, in virtù dell’intestazione esclusiva del conto corrente sul quale era stata effettuata l’operazione, della sottoscrizione per adesione della scrittura privata tra il COGNOME ed il COGNOME, dell’incarico conferito al rag. COGNOME e della ripresa dei rapporti con il convivente, senza considerare la prova testimoniale, dalla quale era emerso che nel periodo in questione ella si trovava in Sardegna.
Tale decisione veniva stata riassunta dall’Unicredit s.p.a. avanti alla Corte di appello di Genova chiedendo l’integrazione della motivazione della sentenza nr 35/2012 con conferma della stessa e del suo dispositivo.
Si costituiva la COGNOME chiedendo la conferma della sentenza nr2428 del 2004 resa dal Tribunale di Genova nonché COGNOME che instava per la conferma della decisione della Corte di appello di Genova previa integrazione della motivazione.
Con sentenza 1198/2019 la Corte di appello di Genova rigettava le domande di NOME COGNOME con la condanna alla restituzione delle somme percepite in forza dell’ordinanza ex art 186 ter c.p.c.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi di ricorso illustrati da memoria cui hanno resistito con controricorso NOME COGNOME e Unicredit s.p.a., anch’esso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art 244, 254, 246, 252 comma secondo, 253, primo comma e 257 c.p.c. in relazione agli art 3 e 4 c.p.c.; nonché dell’art 1711 e 1399 cc in relazione all’art 360 primo comma nr 3 e 4 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo, mera apparenza della motivazione, illogicità; violazione e falsa applicazione degli art 2697, 2728, 2729 c.c., 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art 360, primo comma nr 3 e nr 4 c.p.c.
Si afferma infatti che le circostanze individuate dal giudice del rinvio si sarebbero poste in rapporto di analogia, ove non di identicità rispetto a quelle citate nella medesima sentenza ‘così integrata’.
Si lamenta, in particolare che la Corte di appello di Genova aveva ritenuto di poter risolvere il giudizio sottopostole assumendo che
dalla pretesa consapevolezza dell’operazioni di giroconto ne dovesse derivare una volontà di compierla.
Si precisa che il giudice del rinvio non avrebbe considerato la natura negoziale e recettizia degli atti di conferimento dell’incarico, del rilascio dell’autorizzazione all’ordinante o della ratifica da parte dell’interessata e la conseguente necessità di dare la prova di una manifestazione di volontà volta ad attribuire all’ordinante la relativa facoltà e di farne propri gli effetti dell’ordine impartito senza autorizzazione nonché la prova che il terzo abbia avuto conoscenza di detta manifestazione di volontà.
Si lamenta poi che il giudice del rinvio non avrebbe dato alcun rilievo a quanto affermato dal COGNOME in sede di costituzione di primo grado laddove aveva affermato di aver ottenuto il prestito dal Coronella ignorando la fonte del finanziamento e di quanto sostenuto dalla RAGIONE_SOCIALE in sede di costituzione laddove aveva affermato che l’operazione di giroconto per £ 383.000.000 sul conto corrente di NOME COGNOME era stata autorizzata dalla Gambula ma non eseguita dalla stessa e poi di quanto riferito dallo stesso COGNOME che aveva, sempre in sede di costituzione affermato che la COGNOME sarebbe stata la compiacente collaboratrice e prestanome del COGNOME e del COGNOME.
Si critica altresì la valutazione espressa dal giudice del rinvio in merito all’inattendibilità della teste COGNOME rilevando che alla stessa non erano state fatte ulteriori domande segno che le sue dichiarazioni non erano state ritenute meritevoli di censura o di approfondimento.
Con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli art 1175 e 1176 secondo comma c.c., degli art 2043,2697,2724,2725 e 2729 c.c. in relazione agli art 360 nr 3 e 4 c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art 360 ,comma terzo nr 5 c.p.c. per non aver valutato la Corte di appello
una serie di argomenti quali la diligenza che la Banca deve spiegare nell’esplicazione delle operazioni che ne caratterizzano l’attività ai sensi dell’art 1176 c.c. omettendo di pronunciarsi relativamente al fatto che la Banca si era prestata a favorire un’operazione che, per il proprio carattere anomalo, configurava una ipotesi di violazione del dovere di correttezza e buona fede.
Si sostiene che la Corte di appello non avrebbe considerato il comportamento della Banca idoneo ad integrare una responsabilità aquiliana per lesione del credito, attuata nella forma della cooperazione colposa del terzi al fatto illecito compiuto dal Coronella, lesione resa possibile proprio per il comportamento colposo dell’Istituto di credito.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli art 2049, 2697, 2726, 2727, e 2728 c.c. in relazione all’art 360,comma 1 nr e 4 c.p.c., motivazione, omessa e/o insufficiente e contraddittorio su fatti controversi e decisivi per il giudice in relazione all’art 360, comma 1 nr 5 c.p.c. per non aver considerato che la Banca resta responsabile per i danni causati dal proprio dipendente.
Si afferma che la Banca non avrebbe tentato di distinguere la propria responsabilità da quella del dipendente COGNOME sotto la cui supervisione l’operazione era stata compiuta.
Con un quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 2697 c.c. in relazione all’art 360, primo comma nr 3 e 4 c.p.c., motivazione omessa e illogica su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di tenere in considerazione le risultanze istruttorie afferenti COGNOME e COGNOME la cui funzione all’interno della Banca era tale da consentirgli la spendita del nome dell’Istituto di credito in merito alle operazioni dei correntisti dello stesso ed in tale veste sarebbe stato suo specifico dovere acquisire con certezza la volontà della correntista in merito al giroconto della
lite chiedendole l’autorizzazione scritta ai fini dell’effettuazione del medesimo.
Con il quinto motivo si denuncia motivazione omessa e contraddittoria su fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per aver ritenuto la Corte che dalla mancata contestazione degli estratti conto bancari dovesse ritenersi avvenuta l’avvenuta approvazione tacita dei già menzionati estratti senza considerare le difese che erano state svolte in primo e secondo grado.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
Il primo motivo è infondato con assorbimento dei restanti.
Ai fini di un corretto inquadramento delle questioni sottoposte all’esame di questa Corte ritiene prendere le mosse dalla sentenza n. 1578 del 2017 che va sommariamente riassunta nei termini seguenti.
La decisione in oggetto è pervenuta alla conclusione che l’operazione contestata, secondo la pronuncia poi cassata, fosse stata effettivamente autorizzata dall’attrice, facendo leva su di una pluralità di circostanze, riguardanti in parte i rapporti intrattenuti dalla COGNOME con gli altri protagonisti della vicenda in esame, in parte la condotta tenuta dalla stessa attrice contemporaneamente o successivamente al compimento dell’operazione, dalle quali la Corte di merito aveva tratto in via presuntiva il convincimento che la ricorrente fosse stata firmataria dell’ordine di vendita dei titoli e di trasferimento del ricavato o comunque fosse stata pienamente consapevole dell’operazione contestata, in quanto gestita dal COGNOME con il suo beneplacito e la sua totale partecipazione o quanto meno con la sua ratifica.
La valenza indiziaria delle predette circostanze non è stata ritenuta adeguatamente argomentata, essendosi la Corte di merito limitata ad insistere ripetutamente sull’idoneità delle stesse ad evidenziare
la consapevolezza da parte dell’attrice dell’avvenuta effettuazione della vendita e del trasferimento del ricavato al Pesce, senza illustrare il percorso logico attraverso il quale, a suo avviso, tale consapevolezza consentirebbe di risalire univocamente alla sottoscrizione degli ordini da parte della RAGIONE_SOCIALE o all’autorizzazione o alla ratifica dell’operazione da parte della stessa.
La comunanza di vita ed interessi tra l’attrice ed il COGNOME e la sua partecipazione alla società costituita con il COGNOME, nonchè il suo coinvolgimento nella scrittura privata stipulata tra gli altri soci, pur facendo apparire ragionevole la supposizione che la COGNOME fosse a conoscenza dei reciproci rapporti di credito e di debito intercorrenti tra questi ultimi, non risultano di per sè sufficienti a giustificare la congettura che ella abbia inteso contribuire all’estinzione dei debiti del COGNOME, disponendo personalmente la vendita dei propri titoli e la girata del ricavato sul conto del socio, ovvero autorizzando il Corbella ad impartire i relativi ordini.
Ipotizzare che questi ultimi siano stati impartiti direttamente dalla correntista, secondo la decisione rescindente, non equivale in alcun modo a supporre che essi siano stati posti in essere da altri per conto della stessa ovvero siano stati dati senza alcuna autorizzazione, trattandosi di fattispecie sostanzialmente diverse, che in tanto potrebbero consentire d’imputare alla Gambula gli effetti dell’operazione, in quanto fossero convincentemente dimostrati nel secondo caso il conferimento dell’incarico o il rilascio dell’autorizzazione all’ordinante e nel terzo la ratifica dell’interessata.
La natura negoziale e recettizia di tali atti fa apparire insufficiente, a tal fine, la mera consapevolezza del compimento dell’operazione e degli effetti alla stessa ricollegabili, magari acquisita successivamente, occorrendo invece la prova di una manifestazione di volontà dell’interessata volta ad attribuire all’ordinante la facoltà
d’impartire l’ordine o a far propri gli effetti dell’ordine impartito senza autorizzazione, nonchè, in quest’ultimo caso, la prova che il terzo (nella specie, la Banca) ha avuto conoscenza della predetta manifestazione di volontà (cfr. Cass., Sez. 2, 31 gennaio 2014, n. 2153; 13 gennaio 1997. n. 249: 11 ottobre 1991, n. 10709).
Segue il dispositivo nel quale questa Corte ha disposto il rinvio alla Corte d’appello di Genova ‘nei limiti segnati dall’accoglimento del primo motivo d’impugnazione’.
Così ricostruiti i passaggi logici principali della sentenza n. 1578 del 2017, appare evidente che le censure contenute nel primo motivo di ricorso non colgono nel segno.
Va in primo luogo ricordato che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione, come nel caso che ci occupa.
Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata (cfr. tra le tante Cass. 12817/2014 e 27337/2019).
Orbene, nel caso di specie il giudice rescindente, come si è detto, ha rilevato che una carenza motivazionale inferiore al minimo costituzionale nell’imputare gli effetti giuridici delle operazioni di vendita e di disinvestimento alla RAGIONE_SOCIALE sia che si voglia ritenere che gli ordini fossero stati impartiti direttamente dall’attrice sia che essi siano stati posti in essere da altri per conto della stessa ovvero
siano stati dati senza alcuna autorizzazione o siano stati ratificati dall’interessata.
Ritiene questa Corte che il giudice di rinvio, ha compiuto tale verifica con riguardo alla ratifica, ottemperando all’accertamento demandatole dal giudice rescindente e ponendo rimedio alla carenza di motivazione rilevata dalla Cassazione.
Sono stati messi in rilievo nella decisione qui contestata unitamente al quadro indiziario riassunto da pag. 11 a pag. 14, ove si è posta in luce il pieno coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE nelle vicende societarie relative alla RAGIONE_SOCIALE riscontrate da diversi testimoni (avv. COGNOME e rag. COGNOME), anche la deposizione resa dall’impiego della banca COGNOME.
Le dichiarazioni rese da quest’ultimo e opportunamente trascritte dal giudice del rinvio sono state ritenute significative dalla corte d’appello e tali da dimostrare che vi fosse stato da parte della COGNOME una piena a ratifica che può essere manifestata anche tacitamente attraverso un comportamento concludente nei casi, come quello in esame, che non richiedono una forma scritta, come chiarito dalla decisione rescindente
Il teste ha infatti riferito di conoscere personalmente la vicenda e di aver partecipato ad un incontro nel novembre del 1999, in un periodo in cui erano già sorte le contestazioni da parte della COGNOME in relazione alle operazioni in questione; di aver sentito proprio in quel contesto il signor COGNOME confermare, alla presenza della COGNOME, che l’accredito delle somme di £ 383.000.000 era avvenuto nel quadro di un accordo fra tutti i partecipanti all’incontro nel quale avevano definito le reciproche posizioni nella società affermando che il COGNOME sebbene non avesse specificato la data di detto incontro, aveva tuttavia precisato che ad esso avevano partecipato il COGNOME, la COGNOME e il rag COGNOME e che ‘gli accordi erano stati formalizzati in una o più scritture private’.
Il giudice del rinvio, con una motivazione sintetica, ma che, certamente si pone al di sopra del minimo costituzionale, ha ritenuto che il contegno tenuto dalla COGNOME alla presenza dell’impiego della Banca e di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda dimostrasse in maniera univoca la volontà di avvallare le operazioni in questione.
Comportamento che rileva sul terreno del diritto sostanziale e vale quale ratifica tacita delle stesse.
Le conclusioni sin qui raggiunte in merito alla rilevata infondatezza portano a ritenere assorbite le ulteriori censure sollevate con i restanti motivi.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Unicredit s,p,a. e di NOME COGNOME delle spese di legittimità liquidate rispettivamente in € 12.000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali ed € 10.000,00 oltre € 200,00 per esborsi ed al 15% per spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 29.11.2024
Il Presidente NOME COGNOME