Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34565 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34565 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20843/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1475/2019 depositata il 05/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia concerne un contratto di appalto per lavori di assistenza archeologica presso un edificio storico di Vicenza, stipulato nel 2006 tra Petra e RAGIONE_SOCIALE. L’appaltatrice NOME aveva ottenuto dal Tribunale di Padova un decreto ingiuntivo di pagamento di € 31.695 di corrispettivi , su due fatture non saldate relative alle prestazioni effettuate nei mesi di gennaio e febbraio 2007. La committente RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione, eccependo preliminarmente la nullità del decreto ingiuntivo per una clausola compromissoria che devolveva le eventuali controversie ad un arbitrato organizzato dalla locale Camera di commercio. In subordine, chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento di NOME e il risarcimento dei danni per € 91.294,31. Il Tribunale respingeva l’eccezione di clausola compromissoria, ritenendola inopponibile a NOME, poiché la persona che aveva sottoscritto il contratto per l’appaltatrice era privo di poteri rappresentativi e non vi era stata ratifica. Nel merito rigettava le riconvenzionali poiché NOME aveva eseguito correttamente i lavori. Accertava che i problemi strutturali dell’edificio erano preesistenti e non imputabili all’operato di NOME. Le contestazioni sulla validità della c.t.u. venivano respinte e la domanda di RAGIONE_SOCIALE. di risoluzione del contratto per inadempimento e di risarcimento danni veniva rigettata. La Corte di appello (p. 5 ss.) ha confermato integralmente la sentenza di primo grado.
Ricorre la committente RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste l’appaltatrice NOME con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo argomenta che il contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e Petra, inizialmente sottoscritto da un falsus procurator è stato successivamente ratificato da Petra ai sensi dell’art. 1399 c.c., anche con riferimento alla clausola compromissoria ex art. 808 c.p.c. Si denuncia quindi violazione degli artt. 1399 c.c. e 808 c.p.c. in relazione all’esistenza della clausola compromissoria nel contratto, omesso esame circa un fatto decisivo riguardo alle risultanze
documentali e violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2702, 2727 e 2729 c.c. in materia di valutazione delle prove circa la ratifica. In particolare, si deduce che il contratto era stato sottoscritto per NOME da NOME COGNOME privo di poteri rappresentativi, configurando così la figura del falsus procurator. Tuttavia, la carenza di poteri rappresentativi è stata sanata tramite ratifica ex art. 1399 c.c., effettuata da NOME attraverso comportamenti concludenti e documenti non contestati. Si evidenzia che NOME ha eseguito i lavori previsti nel contratto, emesso fatture che richiamano espressamente l’accordo del 2006, inviato comunicazioni che ne fanno riferimento e promosso azioni legali basate su tale contratto. Questi elementi comprovano la ratifica del contratto, inclusa la clausola compromissoria, rendendo applicabile l’art. 808 c.p.c. Pertanto, la competenza a decidere la controversia spetta al collegio arbitrale e non al giudice ordinario. Si lamenta anche che la Corte di appello ha omesso di valutare adeguatamente fatti decisivi, violando l’articolo 116 c.p.c. e gli artt. 2702, 2727 e 2729 c.c. Una valutazione congrua avrebbe consentito di riconoscere in via presuntiva l’esistenza della ratifica.
Il primo motivo è infondato.
La Corte di appello ha premesso che il caso attuale è da ricondurre entro la fattispecie del contratto concluso dal falsus procurator. Argomenta poi: « ciò posto, nel caso di specie, la dell’appellata Petra non può ritenersi integrata da alcuna delle circostanze fattuali addotte dall’appellante quali manifestazioni di implicita adesione al contratto scritto del 16.10.2006, come si vorrebbero intendere la stessa esecuzione dei lavori, il pagamento degli acconti, il riferimento contenuto nella fattura n. 1/07 al cantiere di Vicenza o la proposizione della domanda monitoria. Tali argomenti, infatti, non concludono necessariamente nel senso postulato dalla committente, essendo ognuna delle suddette circostanze pienamente compatibile con una pattuizione verbale connotata dai medesimi elementi essenziali presenti nella scrittura contenente la clausola compromissoria.
Neppure la comunicazione del legale dell’appellata NOME può tenere luogo di ratifica del contratto scritto, sia perché la missiva con la quale l’appellante veniva sollecitata ad effettuare il pagamento del corrispettivo di appalto non contiene specifico riferimento a un contratto scritto (non essendosi messo i n discussione dall’appellata che l’accordo da cui erano regolate le reciproche prestazioni fosse stato concluso sotto la stessa data apposta alla scrittura), sia perché al difensore non può riconoscersi, in quanto tale, il potere di rappresentanza sostanziale della parte. Se ne deve concludere, dunque, che rispetto all’assunta ratifica del contratto scritto contenente la clausola compromissoria, soggetta ex art. 807 c.p.c. alla prescrizione di forma vi ncolata, l’appellante RAGIONE_SOCIALE non abbia assolto all’onere probatorio gravante sulla stessa eccipiente, il cui preliminare rilievo, per le diverse ragioni appena esplicitate, non può aspirare a trovare accoglimento ».
L’argomentazione del giudice di merito riprodotta nel capoverso precedente regge al vaglio del giudizio di legittimità, sia sotto il profilo della valutazione giuridica, che sotto il profilo della motivazione rispetto all’ accertamento dei fatti rilevanti. Decisivo è il tratto che nessuno dei documenti riprodotti nell’esposizione del motivo ha una finalità consequenziale alla stipulazione della clausola compromissaria e non manifesta così in modo inequivoco la volontà del dominus di fare proprio l’operato del rappresentante senza potere concernente la clausola compromissoria.
Pertanto, la sentenza impugnata è in linea con l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, così come tipicamente espresso in una fra le decisioni più recenti che maggiormente si attagliano al caso attuale: « La ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta ad substantiam, stipulato da falsus procurator, non richiede che il dominus manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto, potendo la ratifica essere anche implicita – purché sia rispettata l’esigenza della forma scritta – e
risultare da un atto che, redatto per fini che sono conseguenziali alla stipulazione del negozio, manifesti in modo inequivoco la volontà del dominus, incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere » (così Cass 2617/2021) .
La struttura della formulazione e le parole che esprimono il principio di diritto recano traccia del caso sotteso ad esso. Nella specie, questa Corte aveva cassato la decisione di merito che aveva escluso valore di ratifica alla quietanza rilasciata, nella qualità di promittente venditrice, dalla parte falsamente rappresentata di un contratto preliminare concluso dal falsus procurator, a fronte della ricezione di una somma di denaro, con espressa qualificazione di quest’ultima come anticipo relativo a tale preliminare. Detto in termini intermedi tra quelli che descrivono quel caso concreto e quelli che esprimono il principio: la quietanza rilasciata dal dominus ha valore di ratifica del contratto preliminare stipulato dal falsus procurator, poiché essa è un documento scritto avente una finalità consequenziale rispetto alla stipulazione del preliminare e manifesta così in modo inequivoco la volontà del dominus di fare proprio l’operato del rappresentante senza potere.
Per accertare che la decisione di merito qui impugnata è conforme a tale principio è sufficiente rileggere quest’ultim o tenendo presente che nel caso attuale si tratta della ratifica di una clausola compromissoria cioè di un « negozio autonomo ad effetti processuali, avente funzione distinta dal contratto preliminare cui accede ». Così, Cass. 1439/2020, la quale per l’effetto ha stabilito che, inserita in un preliminare di compravendita, la clausola compromissoria sopravvive alla sua mancata riproduzione nel contratto definitivo, con la conseguenza che le parti possono porla nel nulla solo mediante una manifestazione di volontà specificamente diretta a tale effetto. Ne segue logicamente una soluzione specularmente corrispondente del problema attuale: solo una volontà del dominus indirizzata specificamente alla clausola compromissoria (e non già genericamente al
contratto cui essa accede) può avere valore di ratifica. Posto che la clausola compromissoria richiede la forma scritta ad substantiam (cfr. l’art. 808 c.p.c. con il rinvio all’art. 8 07 c.p.c.), il principio di diritto poc’anzi menzionato è da concretizzare quindi in questi termini: « la ratifica di una clausola compromissoria stipulata da falsus procurator non richiede che il dominus manifesti per iscritto espressamente la volontà di far propria la convenzione arbitrale, potendo la ratifica essere anche implicita. Tuttavia, il rispetto della forma scritta esige che la ratifica risulti da un atto scritto, che sia redatto per fini che sono conseguenziali alla stipulazione della clausola compromissoria e che quindi manifesti così in modo inequivoco la volontà del dominus di fare proprio l’operato del rappresentante senza potere specificamente concernente tale convenzione arbitrale », come potrebbe essere, ad esempio, l’atto di nomina d i un arbitro. Si confronti infatti Cass. 17935/2009: « l’istituto della ratifica è applicabile anche alla clausola compromissoria inserita in un contratto da un soggetto che non ne aveva il potere, costituendo espressione di autonomia negoziale, in quanto tale meritevole di tutela, atteso che comporta, sul piano funzionale, la valutazione positiva da parte dell’ordinamento dell’interesse del soggetto legittimato a recuperare, nella propria sfera giuridica, il risultato dell’attività da altri compiuta senza esserne legittimato, così realizzando anche un’esigenza di economia giuridica, salvi i limiti desumibili dal sistema a tutela delle parti originarie e dei terzi ». Saliente è il rilievo che, in quel caso di specie, la ratifica della clausola era stata desunta dal comportamento della parte che, dopo la stipula della scrittura, aveva promosso il giudizio arbitrale, provvedendo personalmente alla nomina del proprio arbitro .
Trova così conferma nella valutazione giuridica appena condotta che la ragione del rigetto del motivo in esame risiede nel fatto che nessuno dei documenti riprodotti a sostegno del motivo di ricorso ha una finalità consequenziale alla stipulazione della clausola
compromissaria e non manifesta così in modo inequivoco la volontà del dominus di fare proprio l’operato del rappresentante senza potere concernente la clausola compromissoria.
Il primo motivo è rigettato.
– Il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che la Corte di appello avrebbe pronunciato oltre i limiti delle domande proposte, individuando l’esistenza di un inverosimile contratto orale tra le parti, circostanza che non sarebbe stata dedotta in giudizio. Inoltre, denuncia errori nella valutazione delle prove e nell’efficacia attribuita alla scrittura privata, in violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2702 c.c., poiché ritiene che la Corte abbia ignorato i documenti che comprovano l’esistenza di un contratto scritto, mentre nel corso dell’istruttoria non è emersa alcuna prova di un contratto orale.
Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello ha operato una valutazione delle prove e delle circostanze emerse nel corso del giudizio. Ha rilevato che, non essendo stato ratificato il contratto sottoscritto dal falsus procurator, le attività svolte da Petra per RAGIONE_SOCIALE dovevano essere ricondotte a un accordo verbale tra le parti. Tale accordo presentava gli stessi elementi essenziali del contratto scritto non ratificato, ossia le prestazioni professionali e il corrispettivo pattuito, ma non poteva essere considerato identico ad esso. Non sussiste violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte di appello non ha pronunciato ultra petita, ma ha semplicemente qualificato giuridicamente i rapporti tra le parti sulla base delle prove disponibili, come le fatture e le condotte tenute da entrambe.
Nondimeno, l’argomentazione che ha sorretto il rigetto del primo motivo, impone di correggere la motivazione della Corte di appello nel senso che la valutazione giuridica delle prove e delle circostanze emerse nel corso del giudizio conduce a ritenere che ci si trovi di fronte non già ad un accordo orale che ricalchi il contenuto della
scrittura contrattuale del 16 ottobre 2006, ma che si tratti della ratifica del contratto di appalto (con esclusione della clausola compromissoria: cfr. il rigetto del primo motivo di ricorso).
Il secondo motivo è rigettato.
3.- Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1218, 1453, 1454 e 1456 c.c., nonché degli artt. 116 c.p.c., 2697 e 2702 c.c., e dell’art. 112 c.p.c. Si sostiene che la Corte d’appello abbia erroneamente omesso di considerare le inadempienze, le quali avrebbero giustificato la risoluzione del contratto e, conseguentemente, l’esonero dal pagamento del corrispettivo dovuto per le prestazioni eseguite. In particolare, in base al contratto stipulato nel 2006, Petra avrebbe dovuto eseguire determinati lavori entro gennaio 2007. QPM ha sempre negato di essere debitrice di NOME per le prestazioni eseguite, sostenendo che il contratto era stato risolto per inadempimento di NOME, ai sensi delle clausole contrattuali e delle disposizioni del codice civile sulla risoluzione. La decisione del giudice di appello non ha considerato le inadempienze di NOME, che avevano portato QPM a risolvere il contratto con comunicazione scritta nel 2007. Tali inadempienze comprendevano il mancato rispetto dei termini contrattuali, l’obbligo di eseguire i lavori a regola d’arte, l’impiego di personale qualificato e la stipula di una polizza assicurativa, come previsto dagli articoli 1, 3, 11, 13, 14, 15, 16 e 19 del contratto. Il motivo critica la sentenza impugnata per non aver applicato le norme sulla risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453, 1454 e 1456 c.c., sostenendo che era intervenuta una risoluzione di diritto, per cui nessun corrispettivo era dovuto a Petra. Inoltre, si lamenta la violazione dell’art. 1218 c.c., poiché, di fronte alla contestazione dell’inadempimento, spettava a NOME dimostrare il proprio corretto adempimento o l’impossibilità della prestazione per causa a lei non imputabile, cosa che non è avvenuta. Infine, si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte di appello non ha esaminato le deduzioni di QPM relative all’inadempimento di NOME, limitandosi
a ritenere che, non essendo dimostrata l’esistenza del contratto, non poteva essere considerata una violazione dello stesso, ma valutando comunque che nessun inadempimento era addebitabile a NOME per mancata osservanza delle regole della buona tecnica.
Il terzo motivo è infondato.
La Corte territoriale ha condiviso le conclusioni del Tribunale di Padova, il quale, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha escluso qualsiasi inadempimento da parte di NOME, rilevando che i lavori erano stati eseguiti correttamente e nel rispetto delle regole della buona tecnica. Quanto alla lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., va rilevato che il giudice di merito ha esaminato le deduzioni di QPM relative all’inadempimento di NOME, valutando le contestazioni mosse e rigettandole sulla base delle risultanze istruttorie (p. 8 s.: « Non sono emersi elementi che potessero far propendere per l’accoglimento della domanda riconvenzionale diretta alla declaratoria della intervenuta risoluzione di diritto, ovvero alla risoluzione ex art. 1453 c.c., alternativamente invocate dalla appellante RAGIONE_SOCIALE con l’opposizione al decreto ingiuntivo. Tali richieste sono state ragionevolmente disattese in prime cure »). Non sussiste, pertanto, alcuna omessa pronuncia né violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. In riferimento alla presunta violazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 e 2702 c.c., la ricorrente sollecita sic et simpliciter, una rivalutazione del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso è rigettato.
4. – Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 342 e 348 c.p.c. In particolare, si contesta la sentenza della Corte d’appello per aver aderito senza critica alle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, nonostante presunte lacune e contraddizioni. Il motivo trae origine dai danni subiti da RAGIONE_SOCIALE in seguito a lavori di scavo eseguiti da Petra. Il c.t.u. nominato nel corso del giudizio aveva concluso che i danni non erano imputabili a
una non corretta esecuzione, ma a cause preesistenti di cedimento. Sulla base di tali conclusioni, sia il Tribunale di Padova sia la Corte di appello hanno escluso la responsabilità di Petra. La sentenza della Corte di appello è criticata per aver accolto acriticamente le conclusioni del c.t.u. Si sostiene che la c.t.u. è nulla poiché mancano i verbali delle operazioni peritali, rendendo ignote le modalità con cui il c.t.u. ha operato (art. 115 c.p.c.). Inoltre, il c.t.u. avrebbe coinvolto il geom. COGNOME senza autorizzazione, rendendo invalide le operazioni peritali. Si contesta che il c.t.u. non abbia valutato gli obblighi contrattuali di Petra, né abbia considerato la contabilità di cantiere, fondamentale per comprendere l’effettiva esecuzione dei lavori e l’uso di mezzi meccanici come la pala meccanica. L’uso di tale mezzo avrebbe potuto causare i danni denunciati, ma il c.t.u. avrebbe omesso di esaminare questa circostanza. Si lamenta la violazione degli artt. 342 e 348 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe ignorato le specifiche censure mosse alla sentenza di primo grado, ritenendo inammissibile l’appello. Si sostiene che la Corte non abbia adeguatamente considerato le contraddizioni e le illogicità della c.t.u., avallando una decisione ingiusta. A sostegno di tali argomentazioni, si richiamano sentenze che stabiliscono la censurabilità dell’errore di percezione del giudice sulle risultanze della c.t.u. e l’importanza di formulare critiche specifiche alla consulenza tecnica.
Il quarto motivo è infondato.
Conviene riportare la parte della sentenza censurata dal quarto motivo: « La mancata allegazione alla relazione di consulenza tecnica del verbale delle operazioni svolte dal c.t.u., la cui finalità è quella di registrarne le attività, non induce nullità della stessa ove da tale omissione non sia derivato, in concreto, un pregiudizio al diritto di difesa della eccipiente, la quale, oltre ad essere intervenuta alle operazioni medesime, cui ha presenziato il proprio consulente di parte, non lamenta, col motivo di gravame in scrutinio, la sussistenza di alcuna divergenza o incongruenza tra le operazioni svolte
dall’ausiliare e quelle riferite riassuntivamente nella consulenza » (p. 9). Si constata poi sulla scorta della giurisprudenza di legittimità: « Nessun rilievo rispetto alla validità della c.t.u. assume, dal canto suo, la circostanza che il consulente tecnico di ufficio si fosse avvalso, senza esserne autorizzato dal giudice, di un prestatore d’opera per l’esecuzione di attività strumentale allo svolgimento dell’incarico ».
Tali valutazioni della Corte di appello sono ineccepibili in questa sede. Quanto al le censure che s’indirizzano al recepimento acritico di una c.t.u. lacunosa e contraddittoria esse sono inammissibili, poiché consistono in un tentativo di sovrapporre l’ apprezzamento di parte della situazione rilevante all’accertamento che la Corte di appello ha compiuto ed espresso in una motivazione che è esente da censure spendibili in sede di giudizio di legittimità.
Il quarto motivo è rigettato.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 7.500 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27/11/2024.