Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33050 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33050 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32378/2019 R.G. proposto da: NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
ASSOCIAZIONE NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1645/2019 depositata il 04/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Associazione ‘RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME , in persona del legale rappresentante, citava innanzi il Tribunale di Catania NOME COGNOME chiedendo dichiararsi inefficace o invalido l’atto pubblico di compravendita rogato il 4 agosto 2010 con il quale NOME COGNOME COGNOME aveva venduto un fabbricato ed un terreno sito in Belpasso INDIRIZZO alla convenuta per un prezzo irrisorio, qualificandosi falsamente quale legale rappresentante dell’associazione in difetto di qualsiasi nomina o mandato all’alienazione da parte dell’assemblea dei soci.
NOME Reynolds si costituiva in giudizio ed eccepiva il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME sedicente legale rappresentante dell’associazione e deduceva la legittimità e validità della vendita oltre che la congruità del prezzo pattuito.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda attorea e dichiarava l’inefficacia del contratto di compravendita dell’immobile oggetto di causa stipulato il 4 agosto 2010.
3.1 Il giudice di primo grado rilevava che dal certificato di attribuzione del codice fiscale rilasciato dall’agenzia delle entrate risultava che NOME COGNOME fosse il legale rappresentante dell’associazione Chiesa Battista Calvario. Egli, dunque, era legittimato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della convenuta. Inoltre, dalla documentazione prodotta, risultava che all’atto della costituzione dell’associazione, in data 31 gennaio 1984, era stato eletto Pastore e, in data 2 luglio 1999, l’immobile era stato acquistato dall’associazione che appunto nel medesimo
atto era rappresentata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME quest’ultimo delegato dall’assemblea al fine di affiancare il COGNOME legale rappresentante, alla sottoscrizione dell’acquisto in nome dell’associazione.
In base allo statuto dell’associazione l’ampliamento, gli acquisti e le vendite di beni mobili e immobili per conto e a nome della Chiesa dovevano essere effettuati dal Consiglio di Chiesa su approvazione scritta e verbalizzata dell’assemblea dei fedeli a maggioranza di almeno due terzi. Dalla lettura dell’atto oggetto del giudizio risultava che l’associazione, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME autorizzato giusto verbale di assemblea dell’11 Aprile 2010, vendeva alla convenuta l’immobile in oggetto a l prezzo di € 21.000. Tuttavia, non si evinceva dal verbale dell’assemblea da quanti e quali membri fosse composta la medesima assemblea che aveva autorizzato il COGNOME ad alienare l’immobile alla moglie. Non risultava neanche che fosse stata effettuata una votazione e, in ogni caso, in base allo statuto, l’organo deputato a procedere alla vendita era il Consiglio di Chiesa su approvazione scritta e verbalizzata dall’assemblea dei fedeli a maggioranza di almeno due terzi dell’intero.
Di conseguenza NOME COGNOME Provenza aveva agito oltre i limiti del mandato e il contratto concluso non aveva effetti nei confronti dell’associazione ex articolo 1398 c.c.
Peraltro, era configurabile anche un conflitto di interessi ex articolo 1394 c.c. che rendeva il contratto annullabile.
NOME Reynolds proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Resisteva al gravame l’Associazione RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Catania rigettava l’impugnazione. In primo luogo, richiamava il verbale dell’assemblea del 19 Aprile 2009 con il quale i membri dell’Associazione Chiesa Battista Calvario avevano deliberato con 12 voti favorevoli e con l’astensione di NOME COGNOME e NOME COGNOME la nomina a Pastore della Chiesa di NOME COGNOME. Tale delibera non era stata oggetto di impugnazione e non risultava che COGNOME fosse stato costretto a partecipare alla detta riunione senza la sua volontà come genericamente asserito dall’appellante.
Non vi erano altri verbali successivi in cui i membri della associazione avevano proceduto alla revoca dal ruolo di pastore di NOME COGNOME e, ai sensi dello statuto, redatto il 30 maggio 1984 dal notaio NOME COGNOME e allegato all’atto costitutivo dell’associazione, gli organi della associazione erano l’assemblea della Chiesa il consiglio del Diacono e il Pastore.
La tesi dell’appellante secondo cui il nuovo statuto aveva scisso il ruolo del Pastore da quello del rappresentante legale era infondata sulla base dell’articolo 14 dello statuto allegato all’atto costitutivo dell’associazione, secondo cui i cambiamenti dovevano essere approvati con una maggioranza di due terzi dei voti dei membri attivi presenti.
Nella specie, dunque, non era stato provato il difetto di legittimazione attiva di NOME COGNOME per l’intervenuta modifica dello statuto. Dunque, il COGNOME era ancora il legale rappresentanza dell’associazione come risultava anche dal codice fiscale rilasciato dall’agenzia delle entrate. Un’u lteriore conferma di ciò si ricavava
dal fatto che NOME COGNOME deteneva gli originali del libro dei soci, il libro verbale, l’atto costitutivo e lo statuto mentre non vi era mai stata richiesta di consegna di tale documentazione da parte di NOME COGNOME Inoltre, mancava la prova che il Consiglio di Chiesa avesse con la maggioranza qualificata dei due terzi, ai sensi dello statuto e previa convocazione di tutti i membri, autorizzato la vendita delle due unità immobiliari site in Belpasso, oggetto dell’atto rogato il 4 agosto 2010 all’uopo delegando NOME COGNOME Gli unici due soggetti che avevano sottoscritto il verbale erano il marito e il figlio dell’ acquirente degli immobili in questione.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di nove motivi di ricorso.
l’Associazione Chiesa Battista Calvario in persona del legale rappresentante tempore NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento di tutti i motivi di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 360 c.c. comma 1, n. 3, 4 e 5 c.p.c. in relazione all’articolo 112 c.p.c. e 2697 c.c. all’articolo 2909 c.c. in relazione al primo motivo di appello circa la rilevabilità di ufficio del giudicato sulla qualità di legale rappresentante di COGNOME discendente dalla sentenza di primo grado.
A parere di parte ricorrente, la sentenza di primo grado aveva ritenuto che il Parasiliti non avesse ricevuto il mandato a vendere a seguito del verbale di assemblea del 4 agosto 2010 ma la medesima sentenza aveva rigettato l’eccezione di parte attrice circa il fatto che egli non fosse il legale rappresentante dell’associazione al tempo della vendita. Pertanto, tale capo di sentenza secondo cui egli era legale rappresentante, non essendo stato oggetto di impugnazione, doveva dirsi passato in giudicato ex articolo 2909 c.c., quantomeno sotto il profilo del giudicato implicito.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 360 c.p.c. in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione al primo motivo di appello, omesso esame dei documenti prodotti che sarebbero risultati decisivi ed avrebbero condotto a diverse decisione e attribuzione di rilevanza probatoria a documenti viceversa privi di qualsiasi rilevanza, omesso difetto di motivazione, travisamento dei fatti, omessa ed erronea motivazione per omesso esame dei documenti prodotti.
Parte ricorrente evidenzia che, ai sensi dello statuto dell’associazione , il Pastore ed il rappresentante legale sono figure distinte, circostanza neanche contestata dalla controparte come dimostrerebbe la diffida del 22 novembre 2007 nella quale la controparte cita la deliberazione assunta all’unanimità nei nuovi locali. Con tale delibera era stato nominato anche il nuovo legale rappresentante nella persona del COGNOME senza alcuna contestazione. Dunque, la Corte avrebbe dovuto dichiarare il difetto di legittimazione dell ‘I ngoglia e sarebbe incorsa in un grave errore di valutazione non avendo esaminato i suddetti documenti. Allo
stesso tempo avrebbe travisato completamente i fatti sottoposti alla sua attenzione. Peraltro, non esisteva alcun verbale assembleare di revoca del Parasiliti, la cui assenza senza recesso avrebbe dovuto condurre al rigetto delle domande.
La Corte, dunque, avrebbe omesso di esaminare lo statuto e la delibera del 28 Aprile 2006 che lo aveva modificato all’unanimità, mentre i documenti prodotti dalla controparte erano meri fogli senza alcun attestazione di veridicità.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: in relazione all’ art. 112 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo non contestato con conseguente sua pacificità ex articolo 115 c.p.c., omessa motivazione.
La censura attiene sempre al difetto di legittimazione attiva dell’Ingoglia in quanto, in base allo statuto dell’associazione, dopo l’assenza volontaria per il periodo di sei mesi dai servizi della Chiesa, il membro non è più considerato tale ed è escluso dalla possibilità di partecipazione alle riunioni. COGNOME NOME aveva dato le sue dimissioni in data 8 Marzo 2006 e, trascorsi sei mesi senza attività, era decaduto dalla qualità di membro dell’associazione. Inoltre, egli, chiedendo copia di verbali successivi alla sua esclusione, aveva ammesso che il legale rappresentante era il Parasiliti e tale circostanza sarebbe stata omessa dalla Corte d’appello.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione degli articoli 75 e 100 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione al difetto di legittimazione attiva dedotto in appello, illegittima inversione dell’onere probatorio e violazioni di legge.
Secondo la Corte d’Appello, la prova della legittimazione attiva degli RAGIONE_SOCIALE si ricaverebbe dal verbale di assemblea del 19 Aprile 2009 ove era stato eletto Pastore, invece tale figura, a seguito delle modifiche dello statuto, si differenziava dal rappresentante legale. Peraltro, la Corte avrebbe omesso di motivare sulle contestazioni svolte dall’appellante circa il fatto che i soggetti indicati nel verbale non erano soci e che l’onere di provare che lo fossero ricadeva su Ingoglia.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’omesso esame di un punto decisivo della controversia, contraddittorietà e travisamento dei fatti, omesso esame documenti e violazione dell’articolo 112 e 115 c.p.c. omessa pronuncia.
Secondo la Corte d’Appello, il verbale del 2009 non era stato impugnato ma allo stesso modo non lo era stato il verbale del 2006 che nominava legale rappresentante il COGNOME e che modificava lo statuto distinguendo nettamente le figure del Pastore da quella del legale rappresentante.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., omessa pronuncia, contraddittorietà della pronuncia, manifesta illogicità.
La statuizione sarebbe contraddittoria in quanto la Corte d’appello da un lato afferma che il legale rappresentante della COGNOME era NOME COGNOME ma, nel rigettare il secondo motivo di appello relativo all’invalidità dell’assemblea dell’aprile 2010 , non afferma mai che il COGNOME non era il legale rappresentante dell’associazione, di qui la contraddittorietà della decisione in quanto la decisione in ordine alla invalidità dell’assemblea
presupporrebbe che il COGNOME avesse il potere di convocarla e, quindi, fosse il legale rappresentante.
Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 2697 c.c. e degli articoli 115 e 132 c.p.c. omesso esame e omessa pronuncia, nullità della sentenza mancata applicazione norme statutarie.
La Corte d’ appello avrebbe omesso di motivare circa il fatto che dopo il verbale e la delibera dell’8 Marzo 2006 di esclusione dell’Ingoglia, questi era assolutamente estraneo ad ogni attività della Chiesa e non aveva impugnato il verbale di dimissioni e quindi era decaduto ai sensi dello statuto.
L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 115 e 132 c.c., omesso esame, omessa pronuncia, nullità della sentenza mancata applicazione di norme statutarie.
La censura attiene alla omessa pronuncia sulla mancata prova della riammissione de ll’I ngoglia nell’associazione dopo le sue dimissioni e sul fatto che egli era stato semplicemente riconfermato Pastore e non legale rappresentante.
Violazione dell’a rt. 112 c.p.c. nullità della sentenza per mancata omessa pronuncia sul secondo motivo di appello.
La Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare le censure mosse nel secondo motivo di appello con le quali si deduceva che la prova che il soggetto avesse agito in difetto di potere gravava sull’attore che non l’aveva fornita. La censura atteneva comunque al difetto di legittimazione attiva di Ingoglia a chiedere l’annullamento dell’atto ed era egli che doveva fornire la prova della falsa rappresentanza.
Il decimo motivo di ricorso è così rubricato: contrasto tra i motivi di rigetto del motivo di appello ed i motivi di appello in relazione all’ articolo 112 c.p.c. contraddittorietà e illogicità e carenza di motivazione anomalia motivazionale.
La censura attiene sempre alla mancanza di legittimazione dell ‘I ngoglia e della sua qualità di legale rappresentante pro tempore. Infatti, la Corte non ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dell’Ingoglia l ‘ avrebbe dovuta accogliere anche implicitamente quale antecedente logico della sentenza di primo grado.
L’undicesimo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza e del procedimento per nullità ed inesistenza dell’atto di citazione di primo grado, omesso esame e insussistenza della legittimazione in capo all’Ingoglia.
La censura attiene sempre al difetto di legittimazione ad agire dell’Ingoglia autorizzato ad agire senza alcuna delibera assembleare e senza essere il legale rappresentante dell’associazione.
Tutti i motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
In sostanza la ricorrente mette in discussione l’intera ricostruzione operata in prima battuta dal Tribunale e poi confermata dalla Corte d’Appello circa le vicende che hanno contrassegnato la vita dell’associazione ‘Chiesa Battista Calvario’ e, in particolare, con i motivi vuole affermare la qualifica di rappresentante legale dell’associazione in capo al marito che gli aveva venduto l’immobile e la mancanza di legittimazione ad agire
in capo alla controparte a seguito della modifica statutaria in base alla quale la figura del Pastore era stata separata da quella del rappresentante legale della società.
12.1 La Corte d’Appello ha ritenuto non provata la modifica statutaria in quanto, ai sensi dell’articolo 14 dello statuto, allegato all’atto costitutivo dell’associazione, i cambiamenti dovevano essere approvati con una maggioranza di due terzi dei voti dei membri attivi presenti, circostanza non risultante in alcun modo dal verbale del 28 aprile 2006. Dunque, secondo la Corte d’appello, l’Ingoglia rinominato COGNOME era anche il legale rappresentante dell’associazione come risultava anche da altri elementi quali il codice fiscale rilasciato dall’agenzia delle entrate, il possesso degli originali del libro dei soci, del libro verbale, dell’atto costitutivo e dello statuto senza che vi fosse stata alcuna richiesta di consegna di tale documentazione da parte del marito della ricorrente. Mancava anche la prova che il Consiglio di Chiesa avesse, con la maggioranza qualificata dei due terzi richiesta dallo statuto e previa convocazione di tutti i membri, autorizzato la vendita delle due unità immobiliari site in Belpasso, oggetto dell’atto rogato il 4 agosto 2010, all’uopo delegando NOME COGNOME Gli unici due soggetti che avevano sottoscritto il verbale erano il marito e il figlio dell’acquirente degli immobili in questione.
12.2 Sulla base di tale ricostruzione, non sindacabile in fatto, tutte le censure proposte dalla ricorrente risultano inammissibili o infondate.
12.3 In primo luogo, deve evidenziarsi che è del tutto infondata la dedotta violazione del giudicato, anche implicito, formatosi a
seguito della sentenza di primo grado sulla qualità di rappresentante legale dell’Associazione in capo al RAGIONE_SOCIALE
Infatti, si legge nella sentenza impugnata a pag. 3 che il giudice di primo grado aveva rilevato che dal certificato di attribuzione del codice fiscale rilasciato dall’Agenzia delle Entrate il 19 novembre 2011 risultava che il legale rappresentante dell’associazione Chiesa Battista Calvario fosse NOME COGNOME il quale era pertanto legittimato a proporre l’azione giudiziaria nei confronti della convenuta.
Di conseguenza alcun giudicato, tantomeno implicito, si è formato sul la rappresentanza legale dell’Associazione in capo al RAGIONE_SOCIALE. Infatti, la questione della validità delle modifiche dello statuto e della nomina del Parasiliti come legale rappresentante era stata dedotta con l’atto di appello proposto dalla ricorrente ed espressamente rigettata dalla Corte d’Appello.
Il fatto che l’Ingoglia in base allo statuto dell’associazione dopo l’assenza volontaria per un periodo superiore a sei mesi dai servizi della Chiesa fosse decaduto è del tutto irrilevante posto che è pacifico che è stato riammesso e nominato Pastore.
Ciò che la ricorrente contesta è piuttosto che, a seguito delle modifiche dello statuto, la nomina di Pastore non comportava più la rappresentanza legale dell’associazione.
Tale questione, peraltro, rileva al solo fine della legittimazione ad agire dell’Ingoglia nell’interesse dell’associazione, in quanto la successiva statuizione circa l’invalidità del contratto si fonda su un’altra ratio del tutto autonoma circa la mancanza da parte del ricorrente del mandato a vendere il bene immobile di proprietà
dell’Associazione che, ai sensi dello statuto, richiedeva una maggioranza qualificata.
In ogni caso, la questione della sussistenza della legittimazione ad agire in capo all’Ingoglia è stata risolta in senso affermativo dalla Corte d’Appello in quanto non vi era alcuna prova di una valida modifica statutaria che avesse privato il Pastore della rappresentanza legale dell’associazione.
12.4 Ciò premesso quanto alla censura di violazione del giudicato, deve rilevarsi l’inammissibilità di tutte le censure di vizio di motivazione e di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato sia in relazione alla legittimazione ad agire dell’Ingoglia quale legale
rappresentante dell’associazione sia in relazione alla invalidità del mandato a vendere l’immobile da parte del marito della ricorrente che, come rilevato dal primo giudice, lo ha venduto alla moglie in evidente conflitto di interesse.
Allo stesso modo le censure di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti non sono ammissibili in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è del tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’) .
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice. (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
Peraltro, per quanto si è detto in riferimento al primo motivo, l a sentenza impugnata nel rigettare l’appello è del tutto conforme a quella di primo grado il che rende tutte le censure di omesso esame di un fatto decisivo inammissibili.
D’altra parte, deve anche evidenziarsi che il ricorrente, con la censura di omesso esame, tende in realtà ad una rivalutazione in fatto della vicenda mediante una diversa lettura delle fonti di prova complessivamente considerate. Deve richiamarsi in proposito il
seguente principio di diritto: «L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata». (Sez. 1, Sent n. 16056 del 2016).
La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento, non solo sui documenti indicati in sentenza, ma in base ad una complessiva valutazione di tutte le risultanze istruttorie, sicché le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Come si è detto, la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti,
anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).
Le restanti censure di violazione degli artt.115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. sono altrettanto inammissibili in quanto con esse si lamenta soltanto l’erronea valutazione di risultanze probatorie. Deve in proposito ribadirsi che l a violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solo se il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo
maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016, Cass. S.U. n. 16598/2016).
Infine, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
13. Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3400, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione