Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8121 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 8121 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 3226/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME
ricorrenti
contro
NOME COGNOME c.f. CODICE_FISCALE COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME controricorrenti, ricorrenti in via incidentale nonché contro
NOME COGNOME
intimato avverso la sentenza n. 1689/2019 della Corte d’ appello di Torino, depositata il 18-10-2019,
OGGETTO:
contratto preliminare- rappresentanza apparente
RG. 3226/2020
P.U. 13-3-2025
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13-32025 dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, nonché per il rigetto del ricorso incidentale,
udita l’avv. NOME COGNOME per i ricorrenti, udita l’avv. NOME COGNOME in sostituzione del difensore per i controricorrenti e ricorrenti incidentali
FATTI DI CAUSA
1.Con atto di citazione del 13-3-2009 i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto avanti il Tribunale di Torino NOME COGNOME vedova COGNOME, i suoi figli NOME COGNOME e NOME COGNOME da un lato e NOME COGNOME dall’altro, deducendo quale titolo un contratto preliminare di compravendita immobiliare da loro stipulato il 26-9-2006 con il geom. COGNOME quale rappresentante dei coniugi COGNOME e COGNOME, nonché il connesso contratto di appalto, stipulato con il geom. COGNOME in proprio per la ristrutturazione degli immobili promessi in vendita. I beni promessi in vendita erano un’ unità al piano terreno e al piano interrato di un fabbricato di proprietà Carpegna e Dogliani a Torino, INDIRIZZO, che il geom. COGNOME aveva promesso in vendita con scrittura del 26-9-2006, dichiarando di agire in nome e per conto dei proprietari, in forza di procura speciale a vendere a lui rilasciata ‘quale parte acquirente (con preliminare di compravendita stipulato il 23-12006) ‘. Gli attori hanno lamentato di avere saputo solo dopo il versamento della caparra e di vari acconti sul prezzo che gli immobili promessi erano affetti da vizi per abusi edilizi insanabili derivanti da modifiche interne, oggetto di domande di sanatoria non accoglibili dal
Comune di Torino e che il 13-2-2008 il geom. COGNOME si era reso acquirente della proprietà dell’unità abitativa al piano terreno, utilizzando specifica procura a contrarre con sé stesso rilasciatagli dai proprietari. Quindi hanno dichiarato di esercitare il diritto di recesso dal preliminare ai sensi e per gli effetti dell’art. 1385 co. 2 cod. civ., chiedendo l’accertamento dell’inadempimento dei coniugi COGNOME e del geom. COGNOME alle obbligazioni derivanti dal preliminare, nonché la condanna dei convenuti in solido alla restituzione del doppio della caparra e degli acconti sul prezzo pagati al geom. COGNOME con la prima memoria ex art. 183 cod. proc. civ. hanno allegato la responsabilità dei promittenti venditori per avere ingenerato l’apparenza del diritto e avere indotto in errore i promissari acquirenti, a titolo di responsabilità extracontrattuale o con dolo rilevante al fine dell’annullamento del contratto, in relazione all’occultamento del reale stato dell’immobile.
Si sono costituiti tanto i convenuti COGNOME e COGNOME tanto il convenuto COGNOME proponendo domande nei confronti degli attori e tra loro e il Tribunale di Torino con sentenza n. 6860/2013 depositata il 18-11-2013 ha accertato la legittimità del recesso dei promissari acquirenti e ha condannato i convenuti in solido a corrispondere agli attori Euro 100.000,00 pari al doppio della caparra ed Euro 490.000,00 pari agli acconti versati, con gli interessi.
La sentenza è stata appellata dai convenuti COGNOME e COGNOME ed è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino con sentenza n. 1788/2014 depositata il 10-10-2014 ; la sentenza ha interpretato l’atto denominato ‘procura speciale’ sottoscritto il 22 -9-2006 dai coniugi COGNOME e COGNOME come un mandato senza rappresentanza e ha dichiarato che il mandatario COGNOME aveva stipulato il contratto preliminare del 26-9-2006 con i coniugi COGNOME e Vicario non solo per conto ma anche in nome dei mandanti COGNOME e Dogliani, rendendosi inadempiente al mandato ricevuto; ha dichiarato che il preliminare del
26-9-2006 aveva diretta efficacia nei confronti dei Carpegna e Dogliani e pertanto ha dichiarato che questi ultimi erano tenuti alle conseguenti restituzioni in favore dei coniugi COGNOME salvo il dato che era coperta dal giudicato l’affermazione del Tribunale sulla responsabilità solidale del geom. COGNOME
2.NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, che la Suprema Corte ha deciso con sentenza n. 3353/2018 depositata il 12-2-2018.
La sentenza ha rigettato il primo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano censurato l’interpretazione della scrittura 22 -9-2006 eseguita dalla Corte d’appello, rilevando che il sindacato di legittimità non poteva investire il risultato interpretativo in sé, che apparteneva all’ambito del giudizi o di fatto riservato al giudice di merito e il motivo si risolveva nel contrapporre alla plausibile interpretazione eseguita dalla Corte d’appello l’interpretazione proposta dai ricorrenti. Ha rigettato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale i ricorrenti avevano censurato la sentenza impugnata per avere ritenuto che i Carpegna e Dogliani avevano conferito ad Audero un mandato senza rappresentanza per la stipula del preliminare 26-9-2006.
La sentenza ha accolto il terzo motivo, proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1398, 1399, 1705, 1710, 1711 e 1478 cod. civ., con il quale i ricorrenti avevano sostenuto che, essendo il patto relativo al versamento della caparra un contratto reale, esso non poteva che essere concluso solo tra chi aveva versato e chi aveva ricevuto la caparra, per cui solo il geom. COGNOME poteva ritenersi tenuto alla restituzione. La sentenza ha dichiarato: «Se, come afferma la corte torinese (con un giudizio di fatto che, come visto sopra, resiste all’impugnazione dispiegata con i primi due mezzi del ricorso in esame), il mandato conferito all’Audero dai Carpegna-Dogliani era un mandato senza rappresentanza, la spendita
del nome dei mandanti effettuata dall’COGNOME nel contratto preliminare da lui concluso con i coniugi COGNOME era inidonea a vincolare i mandanti medesimi, avendo l’COGNOME agito come falsus procurator; le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito, con la sentenza n. 11377/15, che, in tema di contratto stipulato da falsus procurator, la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte.
La corte subalpina è dunque incorsa nel denunciato errore di diritto là dove ha ritenuto che il contratto preliminare concluso il 26-9-2006 tra il geom. COGNOME e i coniugi COGNOME da essa stessa qualificato come mandato senza rappresentanza, spiegasse effetti nella sfera giuridica degli pseudo rappresentati sigg. COGNOME nonostante che il geom. COGNOME proprio in quanto mandatario senza rappresentanza, fosse privo di poteri rappresentativi».
Quindi la sentenza ha dichiarato che l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, caducando la statuizione della Corte territoriale che aveva ritenuto opponibile ai consorti Dogliani e Carpegna il contratto concluso il 26-9-2006 tra il geom. COGNOME e i coniugi COGNOME determinava l’assorbimento degli altri motivi e ha cassato la sentenza in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Torino «che si atterrà al principio che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato.»
3.Sia NOME COGNOME e NOME COGNOME da una parte, sia NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche in qualità di eredi di NOME COGNOME dall’altra, hanno riassunto il giudizio e, riunite le cause, nella contumacia di NOME COGNOME, la Corte
d’appello di Torino ha deciso con sentenza n. 1689/2019 pubblicata il 18-10-2019.
La sentenza ha dichiarato che, in forza della pronuncia della Cassazione, era acquisito e passato in giudicato che la scrittura del 229-2006 era mandato senza rappresentanza e di conseguenza non potevano essere imputati ai COGNOME i profili di inadempimento contrattuale per la mancata attuazione del preliminare, in quanto esclusi dall’insussistenza del potere rappresentativo dei COGNOME in capo a NOME COGNOME e con riguardo al quale la pronuncia di condanna era invece passata in giudicato. Ha dichiarato che doveva essere esaminata la domanda proposta in via subordinata dai coniugi COGNOME sulla base della rappresentanza apparente, che era rimasta assorbita nei precedenti gradi ed era stata svolta deducendo la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. dei venditori sotto il profilo dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole del terzo contraente e chiedendo la restituzione delle somme pagate nel senso della restitutio in integrum della perdita patrimoniale patita; ha ravvisato gli estremi della rappresentanza apparente e di conseguenza ha condannato NOME e NOME COGNOME al risarcimento del danno subito dai consorti RAGIONE_SOCIALE, pari agli acconti versati di Euro 540.000,00, escludendo invece che spettasse loro il doppio della caparra versata.
4.Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso, nel quale hanno proposto anche ricorso incidentale affidato a un motivo.
I ricorrenti principali hanno resistito con controricorso al ricorso incidentale.
NOME COGNOME COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 13-3-2025 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni ed hanno depositato memoria illustrativa entrambe le parti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti COGNOME deducono ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 346, 347, 167, 352, e 189 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.’; lamentano che la sentenza impugnata abbia rigettato la loro eccezione, con la quale avevano sostenuto che la domanda proposta dai coniugi COGNOME e Vicario nell’atto di riassunzione sulla base dell’asserita apparenza del diritto era preclusa, per il fatto che in appello gli stessi non avevano riproposto la pretesa formulata a tale titolo in primo grado, con conseguente implicita rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ.; sostengono che la sentenza impugnata non avrebbe potuto limitarsi a osservare che la tematica dell’apparenza del diritto era stata trattata dai coniugi COGNOME nell’atto di costituzione in appello, ma avrebbe dovuto accertare se emergesse l’espressa volont à di riproporre le domande fondate sull’apparenza del diritto; dichiarano che tale volontà non emergeva, in quanto gli appellati, dopo essersi limitati nell’atto di appel lo a copiare le loro deduzioni difensive sull’istituto dell’apparenza del diritto, avevano formulato le conclusioni chiedendo il mero rigetto dell’appello, senza richiamo alle domande restitutorie e risarcitorie formulate in primo grado.
1.1.Il motivo, in via assorbente sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dai controricorrenti, è infondato.
La sentenza impugnata ha considerato che i coniugi COGNOME avevano riproposto la tesi della c.d. apparenza del diritto, affermando la responsabilità degli originari proprietari dell’immobile per avere
ingenerato, colposamente, il loro affidamento sulla reale natura di procura speciale ad agire in loro nome dell’atto conferito al geom. COGNOME il quale aveva agito come falsus procurator, nonché ingenerando il loro affidamento sulla volontà di trasferire a loro favore l’immobile e comunque di approvare e ratificare l’operato del geometra, salvo poi sottoscrivere altre procure al geom. COGNOME contenenti anche la facoltà di intestare a se stesso il medesimo immobile, come era poi avvenuto. La sentenza ha esattamente dichiarato che la domanda non era stata tardiva, in quanto proposta nella prima memoria ex art. 183 co.6 cod. proc. civ. in primo grado ed era direttamente conseguente alle eccezioni sollevate dai convenuti sull’insussistenza dei poteri di rappresentanza in capo all’Audero ; correttamente richiamando i principi posti da Cass. Sez. U 12310/2015, secondo cui la modificazione della domanda poteva riguardare anche petitum o causa petendi, purché la domanda modificata rimanesse nell’ambito della vicenda sostanziale dedotta in giudizio, senza compromissione delle difese della controparte e senza allungamento dei tempi processuali, la sentenza ha evidenziato come la vicenda sostanziale rimanesse la medesima, l’ affermata responsabilità extracontrattuale fosse una conseguenza diretta dell’esclusione del potere di rappresentanza, la domanda reintegratoria era già stata formulata in primo grado e tutti i fatti allegati a sostegno della domanda erano già contenuti negli atti e sviscerati dalle parti, mentre il petitum era lo stesso.
La sentenza ha anche esattamente rigettato la tesi secondo la quale la domanda era preclusa in quanto non riproposta nel precedente giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata; ha rilevato che i coniugi COGNOME in quanto pienamente vittoriosi in appello, non avevano l’onere di proporre appello incidentale e nella loro comparsa di costituzione in appello avevano richiamato tutte le circostanze e
illustrato le loro difese circa gli elementi in fatto dai quali essi avevano tratto il convincimento del reale coinvolgimento dei Carpegna e Dogliani nella vendita immobiliare e quindi ha concluso che la domanda doveva essere esaminata.
1.1.1.La pronuncia si sottrae in primo luogo alle critiche Pubblico Ministero, in quanto non può essere condivisa la sua tesi, secondo la quale nella fattispecie si tratterebbe di riproposizione di domanda alternativa, incompatibile con la domanda principale accolta, che avrebbe imposto la proposizione di appello incidentale condizionato.
E’ acquisito il principio secondo il quale la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per fare valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 cod. proc. civ., può limitarsi a riproporle, mentre la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione a una domanda o a una eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa (Cass. Sez. 1 6-4-2021 n. 9265 Rv. 661062-01, Cass. Sez. 1 13-5-2016 n. 9889 Rv. 639809-01, Cass. Sez. 3 14-3-2013 n.6550 Rv. 625499-01). Inoltre, allorché la parte abbia proposto nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due o più domande tra loro concettualmente incompatibili, la sentenza con la quale il giudice di merito abbia accolto la domanda subordinata non implica soltanto la pronuncia favorevole sulla qualificazione giuridica esposta dall’attore a sostegno della stessa, ma comporta anche un preciso accertamento dei fatti, alternativo a quello posto a fondamento della domanda principale; ne consegue che l’attore parzialmente vittorioso, per evitare la formazione del giudicato, deve formulare impugnazione avverso l’accoglimento d ella domanda subordinata, condizionandola all’accoglimento del gravame sulla domanda principale, in quanto solo in tal modo può ottenere la revisione dell’accertamento compiuto dal
giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti le ragioni della pretesa subordinata accolta, incompatibile con quella principale (Cass. Sez. 1 14-12-2022 n. 36572 Rv. 666258-01, Cass. Sez. 2 30-5-2013 n. 13602 Rv. 626287-01, Cass. Sez. 3 16-6-2003 n. 9631 Rv. 564305-01). Nello stesso senso è anche Cass. Sez. 3 4-4-2017 n. 8674 (Rv. 643705-01) valorizzata dal Pubblico Ministero, perché vi si legge (a pag. 8) che ciò che rileva è il tipo di rapporto che esiste tra le domande cumulativamente proposte dalla stessa parte in primo grado: quando si tratta di domande alternative compatibili o di domande legate da rapporto di subordinazione, l’accoglimento della domanda principale o della domanda alternativa compatibile non obbliga l’attore, che voglia insistere sulle altre domande, a proporre appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ex art. 346 cod. proc. civ.; invece, quando si tratta di domande incompatibili o sia accolta la subordinata, l’attore che voglia insistere nella domanda a lternativa incompatibile non accolta o nella domanda principale ha l’onere di riproporla con appello incidentale, eventualmente condizionato all’accoglimento dell’appello principale, in quanto solo in tal modo può evitare la formazione del giudicato sull’a ccertamento dei fatti posti a fondamento della pretesa accolta e incompatibili con quella disattesa. Nella fattispecie non si verte in ipotesi di domande incompatibili formulate in via alternativa -così che si possa ritenere gli attori solo parzialmente vittoriosi per essersi visti accogliere una delle due domande-, perché la domanda principale fondata sull’esistenza del potere di rappresentanza non era incompatibile con la domanda fondata sull’apparenza : tale seconda domanda era logicamente subordinata e in tali termini è stata proposta, per il caso in cui si fosse escluso il titolo della rappresentanza posto a fondamento della domanda principale. Quindi, essendo stata accolta la domanda principale -senza alcuna disamina della domanda subordinata-, la parte
attrice era risultata totalmente vittoriosa ed era per questa parte sufficiente la riproposizione della domanda subordinata ex art. 346 cod. proc. civ., così che, nell’ipotesi in cui, in forza dell’accoglimento dell’appello principale, si escludesse l’esistenza del potere di rappresentanza, si potesse esaminare la questione dell’esistenza dell’apparenza. In altri termini, l’accoglimento della domanda principale fondata sull’esistenza del potere di rappresentanza non comportava alcuna valutazione di infondatezza della domanda basata sull’apparenza della rappresentanza, così da ritenere che quella domanda fosse stata implicitamente rigettata e da obbligare a proporre appello incidentale condizionato l’attore che voleva devolvere al giudice di appello la cognizione sull’esistenza dell’apparenza per il caso di accoglimento dell’appello principale.
1.1.2.La pronuncia impugnata si sottrae anche a tutte le critiche dei ricorrenti in quanto, come enunciato da Cass. Sez. U 25-5-2018 n. 13195 (Rv. 648680-01), per richiamare in discussione in appello le proprie domande superate o non esaminate perché assorbite, la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello, in modo da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la riproposizione nella comparsa di costituzione in appello delle deduzioni volte a sostenere i presupposti della rappresentanza apparente non aveva ragione di essere eseguita se non per riproporre la relativa domanda in appello; quindi quella riproposizione era in sé sufficiente a superare la presunzione di rinuncia a quella domanda. La circostanza valorizzata dai ricorrenti, riferita al fatto che i coniugi COGNOME si erano limitati nelle loro conclusioni a chiedere il rigetto dell ‘appello , non consentiva al giudice di merito di giungere ad altra conclusione, in quanto insufficiente a ritenere rinunciata ex art. 346 cod. proc. civ. la
domanda, dopo che la stessa era stata illustrata nella comparsa di costituzione e risposta. Infatti, è evidente che gli appellati non avevano ragione di svolgere le loro deduzioni sull’esistenza dei presupposti per ritenere la rappresentanza apparente se non al fine di chiedere e ottenere, anche sulla base di quel titolo -diverso da quello ritenuto dalla sentenza impugnata, ma oggetto di loro domanda ritualmente introdotta in giudizio- la conferma della sentenza impugnata e perciò ottenere lo stesso bene della vita riconosciuto dalla sentenza di primo grado; ciò, in presenza del principio secondo il quale la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 cod. proc. civ., riguarda il petitum che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l’attore intende conseguire e alle eccezioni che in proposito siano sollevate dal convenuto (Cass. Sez. 2 10-5-2018 n. 11289 Rv. 648503-01, Cass. Sez. L 24-3-2011 n. 6757 Rv. 616454-01, Cass. Sez. L 11-1-2011 n. 455 Rv. 616369-01). Del resto, è altresì acquisito il principio secondo il quale l’oggetto della domanda de ve essere individuato attraverso l’esame complessivo dell’atto, non limitato alla parte destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva, costituendo il relativo apprezzamento una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, neppure censurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata (Cass. Sez. 2 7-3-2006 n. 4828 Rv. 587526-01, Cass. Sez. L 19-3-2001 n. 3911 Rv. 544888-01). Nella fattispecie la conclusione della Corte d’appello si sottrae a tutte le critiche dei ricorrenti, in quanto la riproposizione delle deduzioni relative alla rappresentanza apparente non poteva neppure avere altro significato se non quello di manifestare la volontà di chiedere l’esame di quelle deduzioni e della domanda fondata su quelle deduzioni al fine di ottenere il rigetto dell’appello. In tale prospettiva, neppure il
mancato deposito della comparsa conclusionale poteva avere il significato sostenuto dai ricorrenti, di conferma della presunzione di abbandono, ma indicava soltanto che gli appellanti non avevano ritenuto necessario svolgere quella difesa.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 384 e 394 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.’ e richiamano i principi posti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo i quali il giudice del rinvio, in caso di annullamento con rinvio per violazione di norme di diritto, deve non solo uniformarsi alla regola giuridica enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti compresi nell’ambito di tale enunciazione, con preclusione di qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato sulla scorta di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione del rapporto controverso. Evidenziano che la sentenza che aveva disposto il rinvio aveva rigettato i primi due motivi di ricorso relativi alla qualificazione del documento denominato ‘procura speciale’ come mandato senza rappresentanza; quindi rilevano che tale presupposto, relativo al fatto che sussisteva mandato senza rappresentanza, non poteva più essere posto in discussione, essendo il presupposto sul quale era fondato il principio di diritto, ed era anche coperto dal giudicato endoprocessuale; lamentano che il giudice del rinvio abbia ritenuto il documento una procura speciale apparente, utilizzando più volte il termine ‘procura speciale’ e richiamando la pronuncia del Tribunale che aveva qualificato il documento come procura speciale. Lamentano che la sentenza impugnata si fondi su un presupposto di diritto -apparenza del diritto sulla base della riqualificata ‘procura speciale apparente’ -in geometrico contrasto con la sentenza che ha disposto il rinvio, mentre
il documento doveva essere considerato come mandato senza rappresentanza in relazione a tutte le domande proposte.
2.1.Il motivo è infondato.
E’ acquisito il principio secondo il quale i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine ai punti decisivi della controversia ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve solo uniformarsi ex art. 384 co.1 cod. proc. civ. al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti nel processo, mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre a estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. Sez. 2 14-1-2020 n. 448 Rv. 656830-01, Cass. Sez. 1 7-8-2014 n. 17790 Rv. 632551-01).
Distinto tema è quello delle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito e non riproposte in sede di legittimità; a riguardo è acquisito il principio secondo il quale nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell’art . 346 cod. proc. civ. relativo alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado e quindi sulle questioni assorbite non si forma il giudicato implicito e ben possono tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nel giudizio di
rinvio, avendo per oggetto la forza preclusiva della sentenza di cassazione soltanto le questioni che costituiscono il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronuncia cassata (Cass. Sez. 5 26-5-2023 n. 14813 Rv. 667877-01, Cass. Sez. 2 24-1-2011 n. 1566 Rv. 615963-01, Cass. Sez. 1 2-12-2005 n. 26264 Rv. 58724301).
Facendo applicazione dei principi esposti alla fattispecie, si osserva che la sentenza n. 3353/2018 ha rigettato i motivi di ricorso per cassazione con i quali era stata censurata la qualificazione della scrittura denominata ‘procura speciale’ quale mandato senza rappresentanza e ha disposto il rinvio in ragione dell’accoglimento del motivo di ricorso proposto esclusivamente ex art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ.; ciò in quanto, essendo il mandato conferito ad Audero dai Carpegna e Dogliani un mandato senza rappresentanza, la spendita del nome dei mandanti da parte di COGNOME non era idonea a vincolare i mandanti, e quindi ponendo il principio di diritto secondo il quale la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi aveva speso il nome altrui era elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del terzo rappresentato.
Il giudice del rinvio con la sentenza impugnata si è uniformato ex art. 384 co.1 cod. proc. civ. al principio di diritto enunciato dalla sentenza della Suprema Corte , senza modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti nel processo; quindi, preso atto che Audero non aveva potere rappresentativo dei venditori Carpegna e Dogliani, ha dichiarato che l’inadempimento di Audero non si rifletteva sui mandanti, i quali perciò non erano obbligati alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria e degli acconti sul prezzo ricevuti da Audero. Di seguito, la sentenza ha esaminato la domanda di risarcimento del danno fondata sulla c.d. apparenza del diritto che, come sopra esposto nel rigettare il primo motivo di ricorso, era stata
ritualmente riproposta nel primo giudizio di appello e non era stata esaminata, essendo stato rigettato l’appello e confermata la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda principale; quella domanda, non applicandosi nel giudizio di cassazione l ‘art. 346 cod. proc. civ., poteva essere riproposta nel giudizio di rinvio e non trovava ostacolo nell’accertamento dei fatti sulla base dei quali è stato enunciato il principio di diritto. I fatti accertati in via definitiva erano esclusivamente quelli della mancanza del potere di rappresentanza in capo ad Audero e quelli riferiti al dato che lo stesso aveva agito quale falsus procurator; invece i promittenti acquirenti, al fine di supportare la loro domanda risarcitoria, avevano evidenziato, proprio sulla base del presupposto di tale mancanza del potere di rappresentanza, gli altri presupposti della rappresentanza apparente, come emergenti dalle risultanze probatorie già acquisite in causa. Quindi la sentenza impugnata, accogliendo la domanda dei promittenti venditori, senza incorrere in violazione del principio posto dalla Cassazione con la sentenza n. 3353/2018, ha accertato i dati che avevano ingenerato l’erroneo e incolpevole convincimento di chi invocava l’accertamento della situazione apparente, consistenti nel l’erronea opinione del terzo non determinata da una condotta contraria alla normale diligenza e nel comportamento colposo del falso rappresentato, tale da ingenerare la convinzione che il potere di rappresentanza fosse stato effettivamente e validamente conferito all’agente .
Infatti, diversamente da quanto dedotto dai ricorrenti, la sentenza impugnata ha accertato l’esistenza d ei presupposti perché operasse il principio della rappresentanza apparente esaminando tutte le risultanze probatorie, con riguardo non solo alla scrittura privata 22-92006 denominata ‘procura speciale’ e di contenuto tale da ingenerare l’erronea convinzione nei promissari acquirenti che quell’atto conferisse al geom. Audero i poteri di rappresentanza dei proprietari
dell’immobile , ma con riguardo anche alla deposizione del notaio e agli altri elementi emersi in causa ; all’esito della complessiva disamina è giunta alla conclusione che gli acquirenti in modo incolpevole e per colpa dei venditori avevano confidato sull’esistenza del potere di rappresentanza in capo ad Audero. Nessuna affermazione della sentenza è nel senso che la scrittura conferisse il potere di rappresentanza ad Audero, e quindi non vi è stato nessun accertamento confliggente con la pronuncia di legittimità che aveva disposto il rinvio; vi è stata da parte della Corte d’appello la disamina della domanda non esaminata nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e riproposta nel giudizio di rinvio, che ha comportato l’accertamento dell’esistenza di una situazione di rappresentanza apparente in termini che rimangono estranei al giudizio di legittimità, in quanto l’accertamento è stato eseguito con pronuncia immune da vizi logici e giuridici. Infatti, l’accertamento degli elementi richiesti perché si possa attribuire rilevanza alla situazione di rappresentanza apparente è riservato istituzionalmente al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per i vizi di motivazione (Cass. Sez. 3 12-1-2006 n. 408 Rv. 586204-01).
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 1351, 2043, 1392, 1398, 1399 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.’ e rilevano di avere espressamente eccepito nel giudizio di rinvio l’inapplicabilità dell’istituto della rappresentanza apparente, trattandosi di contratto preliminare per il quale è richiesta la forma scritta a pena di nullità; lamentano che l’eccezione no n sia stata accolta e richiamano l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo il quale nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam non può essere invocato il prin cipio dell’apparenza del diritto in assenza di procura rilasciata in forma scritta; evidenziano che la scrittura 22-9-2006 non
era una procura, ma un semplice mandato senza rappresentanza e quindi non poteva esaurire l’onere legale di documentazione della procura, né fondare alcun affidamento dei promissari acquirenti; aggiungono che il riferimento eseguito dalla sentenza alle valutazioni del notaio si pone in contrasto con quanto effettivamente dichiarato dal notaio testimone, che aveva attestato che la ‘procura’ allegata al preliminare era un testo atecnico.
3.1.Il motivo è infondato.
E’ stato enunciato il principio secondo il quale, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il principio dell’apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, in assenza di una procura rilasciata in forma scritta, giacché per il contratto preliminare è richiesta la stessa forma scritta ad substantiam stabilita per il contratto definitivo (Cass. Sez. 2 21-4-2010 n. 9505 Rv. 612580-01, Cass. Sez. 6 25-6-2015 n. 13180, non massimata, Cass. Sez. 6-2 18-1-2017 n. 1192 Rv. 642563-01 ). L’indirizzo, come già chiaramente evidenziato in Cass. 1192/2017 (in motivazione pag. 4) rileva sul piano della vincolatività ed efficacia del contratto preliminare, necessario per la pronuncia ex art. 2932 cod. civ. e non sul diverso piano della responsabilità risarcitoria: si esclude secondo il costante orientamento di questa Corte che il preteso rappresentato possa essere vincolato in forza di una apparente e presunta procura per la quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam. Però, altra questione è quella se, ai fini della responsabilità del falsus procurator e dello stesso soggetto falsamente rappresentato, possa essere meritevole di tutela la protezione dell’affidamento del terzo contraente in presenza di elementi esteriori e obiettivi atti a giustificare la sua convinzione che l’altro contraente fosse un sog getto che agiva in forza di poteri di
rappresentanza a lui conferiti ritualmente. In questa prospettiva, già Cass. Sez. 3 19-4-2010 n. 9268, non massimata, in caso di preliminare di vendita stipulato dal falsus procurator, in una situazione nella quale il soggetto falsamente rappresentato e il falso rappresentante avevano ingenerato nel promissario acquirente la ragionevole convinzione sulla sussistenza di un rapporto di rappresentanza, non solo ha ribadito il principio secondo il quale , in tema di rappresentanza, l’applicabilità del principio dell’apparenza del diritto richiede che il rappresentato abbia tenuto un comportamento colposo tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento che al rappresentante apparente fosse stato effettivamente conferito il relativo potere e che il terzo abbia in buona fede fatto affidamento sull’esistenza di tale potere ; ha anche ritenuto che, in tale ipotesi, era stata correttamente accolta la domanda risarcitoria nei confronti del soggetto falsamente rappresentato che aveva ingenerato nel terzo, mediante il proprio comportamento, la ragionevole convinzione d ell’esistenza di un rapporto di rappresentanza.
In definitiva, sul piano della responsabilità risarcitoria in ipotesi di rappresentanza apparente non ha ragione di essere applicato il disposto dell’art. 1392 cod. civ., secondo il quale la procura deve avere la forma prescritta per il contratto che il rappresentante deve concludere in quanto, per definizione, si verte in ipotesi in cui la procura è mancante. Invece, la disposizione rileva al fine della valutazione dell’affidamento incolpevole del terzo, in quanto la mancanza della procura scritta in ipotesi in cui il rappresentante debba concludere contratto per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam, può costituire un indice del fatto che il terzo abbia colposamente omesso di verificare l’esistenza dei poteri di rappresentanza in capo al soggetto con il quale ha agito. Però nella fattispecie il giudice del rinvio, svolgendo l’accertamento in fatto che gli spettava ed estraneo al
sindacato di legittimità, ha dichiarato che la scrittura 22-9-2006 aveva contenuto tale da ingenerare nei consorti Aresu l’incolpevole convinzione che COGNOME agisse in nome e per conto dei venditori; è evidente che tale valutazione non contrasta con il dato, coperto dal giudicato interno, che quella scrittura non conferiva il potere di rappresentanza.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1350, 1398, 1399 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.’ e lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto sussistente un’ipotesi di rappresentanza apparente in ragione del tenore letterale della procura scritta, delle valutazioni del notaio Prevete e della presenza di almeno uno dei Carpegna al momento della firma del preliminare nello studio del notaio. Sostengono che, in questo modo, il giudice del rinvio abbia falsamente applicato i principi sull’apprezzamento delle prove, in quanto ha attribuito al documento ‘procura speciale’ un valore probatorio diverso e in contrasto rispetto a quanto accertato dalla sentenza che aveva disposto il rinvio; lamentano altresì che il giudice del rinvio abbia ritenuto la presenza di un COGNOME al momento della sottoscrizione del contratto preliminare, che non era stata dimostrata, e abbia attribuito arbitrariamente valore probatorio alle dichiarazioni del notaio. Aggiungono che l’accertamento della rappresentanza apparente in contratti con forma scritta ad substantiam possa fondarsi soltanto su prove scritte, nella fattispecie mancanti in quanto il documento 22-9-2006 era mandato senza rappresentanza e perciò escludeva il conferimento di poteri rappresentativi; lamentano che anche la deposizione del notaio sia stata valutata contraddittoriamente e ritenuta in modo immotivato attendibile, in quanto o il notaio aveva curato la redazione del contratto e aveva verificato la regolarità della procura e quindi era responsabile
nei confronti dei coniugi COGNOME o non aveva verificato la procura e quindi la circostanza che non avesse avuto nulla da ridire non aveva alcun valore probatorio.
4.1.Il motivo è inammissibile.
E’ acquisito che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione con la disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggiore forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre prove, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 30 -9-2020 n.20867 Rv. 659037-01). A sua volta, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo se si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa- secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce a una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, il valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta a una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile ai sensi dell’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. solo nei limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U 30-9-2020 n. 20867 Rv. 659037-02).
Nella fattispecie nessuna delle deduzioni dei ricorrenti è utile a fare emergere la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., mentre le argomentazioni sono finalizzate a criticare la complessiva ricostruzione del quadro probatorio eseguita dal giudice del rinvio, in termini inammissibili nel giudizio di legittimità. Quindi, richiamato quanto già esposto in ordine al fatto che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la scrittura 22-9-2006 non è stata ritenuta fonte della rappresentanza apparente, ma elemento che ha contribuito a ingenerare l’affidamento inco lpevole degli acquirenti, non rilevano le deduzioni dei ricorrenti in ordine alla mancanza di prova della presenza di uno dei COGNOME nell’occasione della stipula del contratto preliminare, così come non rilevano le censure alla valutazione della testimonianza del notaio; ciò in quanto gli argomenti rimangono nell’ambito della critica, in quanto tale inammissibile nel giudizio di legittimità, all’interpretazione e alla valutazione del materiale probatorio. Del resto, così come non è possibile escludere a priori, per le ragioni sopra esposte, che sussista ipotesi di rappresentanza apparente, ai fini risarcitori, nel caso di conclusione di contratto avente forma scritta ad substantiam, ugualmente nessuna disposizione impone la prova scritta ad probationem della rappresentanza apparente.
5.Con il quinto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223 e 1227 cod. civ., 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ. e 111 Cost. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. ‘; dichiarano che la sentenza, pur richiamando alcune circostanze che ha ritenuto configurassero ipotesi di rappresentanza apparente, poi ha del tutto omesso di motivare su due profili fondamentali della domanda ex art. 2043 cod. civ., e cioè sia riguardo l’imputabilità del fatto -evento a una condotta riconducibile ai Carpegna e Dogliani, sia riguardo la risarcibilità del danno ex art. 1223 cod. civ. Lamentano che la Corte d’appello abbia trattato, senza alcuna motivazione, i tre apparenti rappresentati come un unicum, senza
neppure spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che l’asserita mera presenza al momento della firma del preliminare di uno dei COGNOME possa avere comportato l’accertamento di una condotta colposa in capo ai soggetti assenti, in violazione del principio secondo il quale è necessario accertare un comportamento colposo dell’apparente rappresentato. Aggiungono che la stessa carenza di motivazione vi è nell’individuazione dei danni risarcibili, in quanto la situazione di apparenza si sarebbe verificata con riguardo alla stipulazione del contratto preliminare, senza potere riguardare la successiva fase di incasso delle somme pagate dai coniugi COGNOME in esecuzione del contratto preliminare medesimo, con pagamenti eseguiti direttamente ad Audero; quindi rilevano che il giudice del rinvio avrebbe dovuto verificare se la situazione di apparenza avesse creato un legittimo affidamento anche sul potere di incassare il prezzo o se, sotto questo profilo, sussistesse comportamento colposo dei medesimi COGNOME.
5.1.Il motivo è infondato, in quanto si basa su una lettura della sentenza impugnata parziale e non corrispondente al suo complessivo contenuto.
La sentenza, dopo avere esposto le ragioni per le quali ha ritenuto l’affidamento incolpevole dei coniugi COGNOME sull’esistenza del potere di rappresentanza in capo ad Audero, ha dichiarato (pag. 16) che le medesime circostanze dalle quali emergeva l’affidamento incolpevole degli COGNOME denotavano altresì il comportamento colposo dei rappresentati; ha evidenziato che i rappresentati avevano firmato l’att o denominato ‘procura speciale’, non avevano mai disconosciuto prima del giudizio il contratto preliminare, nel quale risultava che COGNOME agiva in nome loro, avevano preso parte alle successive trattative per la modifica o reiterazione formale dell’accordo negli stessi termini della procura speciale; ha dichiarato che tutte tali condotte erano significative di un loro ruolo sostanziale nella trattativa e della volontà
di vendere per mezzo del loro rappresentante, salvo poi rilasciare altra successiva procura in data 18-7-2007 con la quale avevano conferito ad COGNOME mandato a vendere ‘a chiunque crederà e per il prezzo che riterrà più opportuno anche a se stesso’ l’immo bile promesso agli COGNOME; ha considerato che in pari data i Dogliani e COGNOME gli avevano ceduto restanti parti del fabbricato, mentre con atto pubblico del 13-2-2008 COGNOME, in qualità di procuratore speciale dei Dogliani e COGNOME, invece di vendere l ‘unità immobiliare del piano terra agli COGNOME, l’aveva intestata a se stesso, al prezzo di Euro 500.000,00 ; ha aggiunto che, in tale contesto, tenuto conto del fatto che COGNOME era noto come promissario acquirente dell’intero stabile, il pagamento di caparra e acconti fatto direttamente a lui non era affatto eccentrico. Quindi ha dichiarato che i Dogliani e Carpegna erano tenuti a risarcire, a titolo extracontrattuale, agli incolpevoli COGNOME i danni conseguenti a tale situazione di apparenza colposamente ingenerata, in solido ex art. 2055 cod. civ. con COGNOME, per il quale la condanna era già definitiva. Di seguito (pag. 17) la sentenza ha individuato i danni risarcibili con riferimento alla perdita costituita dalle somme corrisposte inutilmente, sia a titolo di caparra, sia a titolo di acconti sul prezzo.
Con questo contenuto la motivazione ampiamente soddisfa il minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità, per cui non sussistono la violazione dell’art. 132 co.2 n. cod. proc. civ. e la relativa nullità della sentenza sostenute con il quinto motivo di ricorso; infatti la motivazione non è né mancante, né meramente apparente, né affetta da manifesta e irriducibile contraddittorietà, né perplessa o incomprensibile, mentre rimane estranea al sindacato di legittimità la mera insufficienza della motivazione (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte).
Infatti, risulta pienamente comprensibile il ragionamento svolto dalla Corte d’appello, che non ha individuato la responsabilità dei COGNOME e COGNOME nel fatto che uno di loro fosse presente al momento della sottoscrizione del contratto preliminare, così da dover spiegare come questa condotta potesse interessare anche gli altri, come sostengono i ricorrenti. La presenza di uno dei COGNOME al momento della sottoscrizione del contratto preliminare era, nel ragionamento svolto dalla Corte d’appello, un elemento che ha contribuito a ingenerare l’affidamento dei coniugi COGNOME; invece, la condotta colpevole dei Carpegna e Dogliani è stata individuata nella sentenza in condotte poste in essere da entrambi i comproprietari, non solo relativamente al rilascio del mandato 22-9-2006 che aveva contenuto tale da fare ritenere agli COGNOME che COGNOME avesse i poteri di rappresentanza, ma anche relativamente alla condotta posta in essere successivamente, come descritta in sentenza, fino al rilascio della successiva procura a vendere anche a se stesso da loro rilasciata il 187-2007 ad Audero con riguard o all’immobile già promesso agli Aresu.
Ritenuta in capo ai COGNOME e COGNOME la condotta fonte di loro responsabilità nei confronti dei coniugi COGNOME per avere colposamente ingenerato la situazione di apparenza, la sentenza ha dichiarato la loro responsabilità in solido con il falso rappresentante COGNOME per tutti i danni subiti. Dichiarando che sussisteva ipotesi di responsabilità in solido ex art. 2055 cod. civ., alla cui applicazione non ostava il diverso titolo di responsabilità, la sentenza non aveva ragione di individuare i danni direttamente ascrivibili alla responsabilità dei COGNOME e Dogliani, in quanto l’intero danno deve essere risarcito dai responsabili in solido; nella fattispecie il danno subito dagli COGNOME è stato individuato nella perdita di tutte le somme inutilmente pagate per l’acquisto dell’immobile , anche se di fatto corrisposte a uno dei responsabili in solido. Per di più, la Corte d’appello si è preoccupata di evidenziare che
non sussisteva alcuna colpa in capo agli COGNOME, neppure nella fase in cui avevano eseguito i pagamenti al falso rappresentante, evidenziando che COGNOME era conosciuto come promissario acquirente dell’intero stabile e perciò considerando tale ulteriore dato a fondamento del loro incolpevole affidamento nel momento in cui eseguivano a lui i pagamenti.
6. Con il sesto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 1223, 1227, 2697 cod. civ. e artt. 40 e 41 cod. pen . in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ.’; ulteriormente lamentano che la sentenza impugnata, condannando i Carpegna e Dogliani a risarcire i danni con riferimento alle somme pacificamente pagate ad Audero mediante assegni circolari e da lui trattenute, abbia violato i principi consolidati in materia di nesso di causalità, senza accertare né se l’ipotetico illecito potesse essere imputato ai COGNOME e Dogliani, né se dalla situazione di apparenza asseritamente accertata potessero essere derivati i danni liquidati a favore dei coniugi COGNOME. In sostanza i ricorrenti ripropongono, sotto il profilo della violazione di legge, gli argomenti già svolti con il quinto motivo, evidenziando come ad Audero non fosse stato conferito alcun potere di incassare somme e come lo stesso, nell’incassare le somme, non avesse speso il nome dei COGNOME e Dogliani.
6.1.Il motivo è infondato per le medesime ragioni svolte nella disamina del terzo motivo.
Come già esposto, la Corte d’appello ha individuato la condotta illecita dei Carpegna e Dogliani, che aveva determinato una situazione di rappresentanza apparente e determinava la responsabilità in solido dei falsi rappresentati con il falso rappresentante; quindi ha applicato il principio della responsabilità solidale, escludendo anche qualsiasi colpa in capo agli COGNOME per avere eseguito i pagamenti in capo al
soggetto che appariva falsamente rappresentante. I ricorrenti non solo non adducono alcun elemento utile a escludere la responsabilità solidale, ma non cercano neppure di dare una qualche spiegazione al fatto, pure accertato dalla sentenza impugnata, che, in forza di successiva procura speciale poi a lui rilasciata, lo stesso COGNOME aveva acquistato per sé l’immobile già promesso in vendita agli consorti Aresu, per il prezzo di Euro 500.000,00; si tratta di dato che evidenzia come i venditori abbiano ottenuto il corrispettivo -o almeno il diritto al pagamento del corrispettivoper la vendita proprio dell’immobile con riguardo al quale gli COGNOME avevano eseguito i pagamenti ad Audero, per cui neppure sotto questo profilo di fatto le loro doglianze hanno una giustificazione.
7.Con il settimo e ultimo motivo i ricorrenti deducono ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ.’ e lamentano che non siano stati considerati i fatti pacifici, dedotti dagli stessi Aresu, riferiti al dato che la proposta di acquisto degli COGNOME era stata indirizzata a NOME COGNOME quale rappresentante dei proprietari e al dato che tutti i pagamenti erano stati eseguiti a NOME COGNOME; sostengono che tali circostanze di fatto siano decisive, in quanto elidono ogni nesso di causalità tra il fatto illecito asseritamente imputabile ai Carpegna e Dogliani e il danno subito dai coniugi COGNOME; evidenziano che vi è assegno non trasferibile emesso in data 26-72006 e perciò prima della ‘procura apparente’ datata 22 -92006, per cui non si vedeva come il danno subito dagli COGNOME potesse essere conseguenza della presunta situazione di apparenza; aggiungono che neppure i pagamenti successivi, a partire da ottobre 2006, si ponevano in qualche rela zione con l’asserita situazione di apparenza e sostengono che la condotta degli COGNOME, i quali hanno continuato a corrispondere acconti a mani di Audero, ha interrotto il
nesso di causalità tra l’asserita situazione di apparenza e il danno subito. Ulteriormente ripropongono le questioni della necessità della forma scritta, anche con riguardo alle modifiche apportate ai termini di pagamento, nonché gli argomenti riferiti al fatto che la rappresentanza apparente non era estesa al potere di incassare e al fatto che i pagamenti erano eseguiti con assegni non trasferibili a favore di Audero; aggiungono che non vi sia prova che l’assegno di Euro 70.000,00 di data 12-7-2007 sia stato effettivamente versato e sostengono che tutte le circostanze da loro esposte avrebbero dovuto portare a escludere il nesso di causalità tra la condotta attribuita ai Carpegna e Dogliani e il danno lamentato dagli COGNOME.
7.1.Il motivo è inammissibile, in quanto nessuna delle deduzioni svolte nel motivo individua un qualche fatto del quale sia stato omesso l’ esame dalla sentenza impugnata, ma tutti gli argomenti sono volti a sostenere che il giudice del rinvio avrebbe dovuto trarre dai fatti emersi in causa la diversa conseguenza di escludere qualsiasi responsabilità risarcitoria in capo ai Carpegna e Dogliani.
Neppure la deduzione in ordine alla mancanza di prova del pagamento dell’importo di Euro 70.000,00 può essere esaminata, in quanto sotto questo profilo il motivo è proposto in modo inammissibile; ciò in quanto non è rispettata la previsione dell’art. 366 co. 1 n.6 cod. proc., non essendo indicato neppure dove, tra gli atti di causa, potrebbe essere ricercato l’assegno bancario al fine di verificare quanto deducono i ricorrenti in ordine al fatto che tale assegno, a differenza degli altri, non fosse corredato da quietanza.
8.Con il loro motivo di ricorso incidentale, intitolato ‘ la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1388, 1393, 1398, 1399 e 1385 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.’, NOME COGNOME e NOME COGNOME censurano la sentenza impugnata per non avere loro riconosciuto il doppio della caparra. Lamentano che la sentenza non
abbia tratto tutte le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata ricorrenza della fattispecie della rappresentanza apparente, sostenendo che la giurisprudenza di legittimità affermi che l’apparente rappresentato sia tenuto a fare fronte agli obblighi assunti a suo nome, in modo assolutamente coincidente con gli effetti giuridici che sarebbero derivati dal conferimento di una procura; quindi, rilevano che la Corte d’appello , traendo tutte le dovute conseguenze dall’accertata creazione di una situazione di rappresentanza apparente, avrebbe dovuto prendere atto dell’efficacia del contratto preliminare direttamente nella sfera giuridica dei falsi rappresentati e, in ragione del loro inadempimento a tale preliminare, per essere l’immobile gravato da vizi di natura edilizia-urbanistica e per essere stato l’immobile venduto ad Audero, avrebbe dovuto condannare i Dogliani e Carpegna anche al pagamento del doppio della caparra.
8.1.Il motivo è infondato.
Si richiama quanto già esposto sopra al par. 3.1. in ordine al fatto che, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, il principio dell’apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato sulla sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, pur in assenza di una procura rilasciata in forma scritta, al fine di ottenere che il contratto preliminare produca direttamente effetti nei confronti del falso rappresentato, giacché per il contratto preliminare è richiesta la stessa forma scritta ad substantiam stabilita per il contratto definitivo. Nessuno dai precedenti richiamati dai ricorrenti incidentali afferma alcunché di diverso, trattandosi di precedenti non riferiti a contratti preliminari di compravendita immobiliare. Quindi, secondo quanto sopra già esposto, in capo al falso rappresentato è ravvisabile esclusivamente responsabilità risarcitoria, per i danni subiti dal terzo a causa della situazione di rappresentanza
apparente sulla quale abbia incolpevolmente confidato; sulla base di questi dati, esattamente la sentenza impugnata ha escluso il diritto a ottenere il doppio della caparra che, in quanto tale, non era importo corrispondente a esborso eseguito dai coniugi COGNOME e quindi non rientrava nelle perdite da loro subite.
9.In conclusione sono interamente rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Considerata parziale la reciproca soccombenza in ragione del diverso valore delle rispettive pretese, si compensano le spese del giudizio di legittimità per la quota di un terzo, mentre per i residui due terzi le spese sono poste a carico dei ricorrenti principali maggiormente soccombenti.
In considerazione dell’esito del ricorso principale e del ricorso incidentale , ai sensi dell’art. 13 co . 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa per la quota di un terzo le spese del giudizio di legittimità e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione a favore dei controricorrenti dei residui due terzi delle spese medesime, liquidate per l’intero in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 12.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e dei ricorrenti incidentali di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello rispettivamente previsto per il ricorso
principale e per il ricorso incidentale ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione