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Rapporto di lavoro in cooperativa: la subordinazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una società cooperativa, confermando la corretta qualificazione del rapporto di lavoro dei soci come subordinato. La decisione si basa sull’analisi degli indici fattuali, come l’assenza di rischio d’impresa e l’eterodirezione, che prevalgono sulla qualificazione formale data dalle parti. Di conseguenza, la cooperativa è tenuta al versamento dei contributi previdenziali per il Fondo di solidarietà residuale.

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Socio di cooperativa o lavoratore subordinato? La Cassazione fa chiarezza

La distinzione tra socio lavoratore di cooperativa e lavoratore subordinato è una questione complessa con importanti implicazioni contributive e normative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per la qualificazione del rapporto di lavoro, ciò che conta è la sostanza delle modalità di esecuzione della prestazione, non la forma contrattuale scelta dalle parti. Questa decisione offre spunti cruciali per le cooperative e i loro soci.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di addebito emesso da un ente previdenziale nei confronti di una società cooperativa. L’ente contestava il mancato versamento dei contributi per il finanziamento del Fondo di solidarietà residuale, sostenendo che il rapporto tra la cooperativa e i suoi soci lavoratori dovesse essere inquadrato come lavoro subordinato. La cooperativa, operante nel settore delle pulizie, del facchinaggio e della movimentazione merci, si era opposta, rivendicando la natura autonoma del rapporto, tipica del socio lavoratore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’ente previdenziale, accertando la natura subordinata del rapporto. La cooperativa ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, la violazione delle norme sul lavoro subordinato e sulle cooperative, nonché un’errata valutazione delle prove.

L’Ordinanza della Cassazione e la qualificazione del rapporto di lavoro

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il punto centrale della pronuncia è che la qualificazione del rapporto di lavoro non può fermarsi al nomen iuris (cioè il nome dato al contratto dalle parti), ma deve basarsi su un’attenta analisi delle concrete modalità di svolgimento della prestazione.

I giudici hanno sottolineato che neppure il legislatore può qualificare come autonomo un rapporto che, nei fatti, presenta le caratteristiche della subordinazione. Questo principio tutela il lavoratore, garantendo che non venga privato delle protezioni legali e previdenziali tipiche del lavoro dipendente attraverso una mera finzione contrattuale.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto corretta e ben motivata l’analisi della Corte d’Appello, la quale aveva individuato una serie di ‘indici di subordinazione’ decisivi. Questi elementi, considerati nel loro complesso, delineavano un quadro inequivocabile di eterodirezione:

* Inserimento stabile nell’organizzazione aziendale: I soci non agivano come imprenditori autonomi, ma erano inseriti in modo continuativo nell’organizzazione della cooperativa per eseguire gli appalti da questa acquisiti.
* Mancanza di rischio d’impresa: I soci non partecipavano al rischio economico dell’attività. La loro retribuzione era oraria e prestabilita, non legata ai risultati economici della cooperativa.
* Natura delle prestazioni: Le mansioni svolte (pulizia, facchinaggio) erano elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, senza margini di autonomia per il lavoratore.
* Assenza di apporto di mezzi propri: I soci non utilizzavano attrezzature o materiali propri, ma si limitavano a fornire la propria energia lavorativa.

La Cassazione ha chiarito che elementi come la facoltà dei soci di rifiutare una proposta di lavoro non sono sufficienti, da soli, a escludere la subordinazione, se tutti gli altri indici puntano in direzione opposta. L’effettivo atteggiarsi del rapporto prevale su ogni pattuizione formale.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: nella qualificazione del rapporto di lavoro all’interno delle cooperative, la realtà fattuale prevale sempre sulla forma giuridica. Le cooperative devono prestare la massima attenzione a come strutturano concretamente il rapporto con i propri soci lavoratori. Se i soci operano in condizioni di eterodirezione, senza autonomia organizzativa e senza partecipare al rischio d’impresa, il rapporto sarà considerato subordinato a tutti gli effetti, con le conseguenti responsabilità in materia contributiva e previdenziale. Per le aziende, questo significa che il modello cooperativo non può essere utilizzato come uno schermo per eludere gli obblighi derivanti da un effettivo rapporto di lavoro dipendente.

Quando il rapporto di lavoro di un socio di cooperativa viene considerato subordinato?
Il rapporto viene considerato subordinato quando, al di là del contratto formale, le modalità concrete di esecuzione della prestazione rivelano l’assoggettamento del socio al potere direttivo e organizzativo della cooperativa, l’assenza di un reale rischio d’impresa a suo carico e un inserimento stabile nella struttura aziendale.

La qualificazione formale data dalle parti al contratto è sufficiente per escludere la subordinazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il ‘nomen iuris’ (la qualificazione formale) non è vincolante. Il giudice deve sempre indagare il comportamento complessivo delle parti e le reali modalità di esecuzione del rapporto per determinarne la vera natura giuridica.

Quali sono gli elementi principali che indicano un rapporto di lavoro subordinato in una cooperativa?
Gli elementi principali (o ‘indici di subordinazione’) includono: l’inserimento stabile del socio nell’organizzazione d’impresa, lo svolgimento di mansioni elementari e ripetitive con modalità predeterminate, la mancanza di rischio d’impresa, l’assenza di apporto di materiali o attrezzature proprie e l’erogazione di una retribuzione fissa (es. oraria) non legata ai risultati economici.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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