Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15488 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26728-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa d all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
nonchè contro
Con l’intervento di
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-interveniente –
avverso la sentenza n. 1245/2020 della CORTE DI APPELLO di FIRENZE, depositata in data 06/07/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Prato, chiedendo accertarsi la nullità, o dichiararsi l’annullamento, ovvero disporre la rescissione, del contratto di compravendita per atto del notar COGNOME in data 5.8.2010, con il quale la società attrice aveva ceduto ad RAGIONE_SOCIALE la proprietà di un compendio immobiliare in territorio del Comune di Gavorrano, per il prezzo convenuto di € 2.000.000, dei quali € 1.540.000 regolati con assegni bancari non trasferibili già consegnati alla venditrice ed € 460.000 regolati invece con assegni bancari non trasferibili consegnati contestualmente al rogito. L’attrice sosteneva di aver rilasciato quietanza salvo il buon fine dei titoli, e di avere effettivamente ricevuto soltanto la minor somma di € 441.000. Esponeva poi di aver inizialmente concordato la vendita del cespite al Petracchi Vinicio, per far fronte ad alcune difficoltà finanziarie, sottoscrivendo con il predetto un contratto preliminare di compravendita in data 24.5.2010, e che questi aveva poi ceduto il predetto preliminare ad RAGIONE_SOCIALE L’accordo, tuttavia, sarebbe stato concluso a garanzia di un finanziamento erogato dall’acquirente alla
venditrice, tanto è vero che la prima si sarebbe contestualmente impegnata e retrocedere la proprietà del bene a NOME Gianni, socio di RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE resistendo alla domanda, la quale chiamava in giudizio il COGNOME, che le aveva ceduto il preliminare del 24.5.2010 sottoscritto con la società attrice, nei cui confronti spiegava domanda di manleva.
Con sentenza n. 650/2016 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo provato che RAGIONE_SOCIALE aveva quietanzato il pagamento della somma pattuita per la compravendita oggetto di causa. Riteneva inoltre non conseguita la prova della frode alla legge, ed escludeva quindi anche la configurabilità di una ipotesi di patto commissorio.
Con la sentenza impugnata, n. 1245/2020, la Corte di Appello di Firenze rigettava il gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale rigettava il primo motivo di appello, con il quale si censurava la condanna alle spese anche nei confronti del terzo chiamato COGNOME, ritenendo che la sua evocazione in giudizio fosse dipesa dalla prospettazione della domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE Rigettava poi il secondo motivo di appello, evidenziando che il mancato pagamento di alcuni degli assegni bancari indicati in atto di compravendita avrebbe dovuto essere dimostrato dall’appellante per via documentale, confermando, quindi, sul punto, il rigetto dell’istanza di esibizione che RAGIONE_SOCIALE aveva proposto già in prime cure per l’acquisizione della documentazione bancaria comprovante la circostanza dedotta. Inoltre, il giudice di merito rilevava che il procuratore dell’appellante aveva, con missive del
5.2.2013 e del 15.2.2013, sollecitato il saldo di soli € 120.000, e da ciò inferiva la conferma che nessun’altra somma era dovuta.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOMECOGNOME parte del giudizio di seconda istanza, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con atto in data 16.5.2025, notificato il 16.5.2025, ha spiegato intervento volontario ad adiuvandum nel presente giudizio di legittimità COGNOME NOME, legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE oggi fallita, aderendo alla posizione della società ricorrente.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte interveniente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, quanto all’intervento ad adiuvandum spiegato da NOME assumendone l’ammissibilità ex art. 43 L.F, ora 143 codice della crisi d’impresa, per essere stata legale rappresentante della Polar, successivamente fallita, a cui è stata contestata la bancarotta, lo stesso va ritenuto inammissibile, dato che detta parte non ha partecipato al giudizio di merito in proprio, né essendo l’intervento nel giudizio di legittimità previsto dalla legge.
Il precedente di questa Corte, richiamato dalla COGNOME, è chiaramente inapplicabile nella specie (ed infatti, la pronuncia 25423/2019,seguita dalla successiva sentenza 6774/22, ha affermato che nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale
facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa).
La documentazione allegata all’atto di intervento ed i fatti ivi esposti, di conseguenza, devono essere dichiarati inammissibili.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato la condanna di RAGIONE_SOCIALE alla refusione delle spese di lite anche nei confronti del COGNOME, terzo chiamato in giudizio da RAGIONE_SOCIALE, nei cui confronti essa attrice non aveva svolto alcuna domanda.
Con il secondo motivo, invece, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 1362, 1439, 1453 c.c., 115 c.p.c. e 119 T.U.B., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente confermato l’inammissibilità della prova testimoniale e dell’ordine di esibizione che RAGIONE_SOCIALE aveva formulato in primo grado e riproposto in appello, così impedendole di fatto di dimostrare la fondatezza della propria tesi difensiva, fondata in ultima analisi sulla circostanza che il corrispettivo indicato in atto di compravendita, e quietanzato salvo buon fine degli assegni bancari consegnati dall’acquirente, fosse stato effettivamente ed integralmente corrisposto.
Per ragioni di ordine logico va esaminato innanzitutto il secondo motivo, che è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In particolare, deve innanzitutto osservarsi che, con detta censura, la parte ricorrente lamenta, inter alia , la violazione dell’art. 1453 c.c., che, come osservato correttamente dalla parte controricorrente, introduce per la prima volta, in sede di legittimità, il tema della risolubilità per inadempimento del contratto di compravendita oggetto
di causa, che non risulta mai sollevato, prima d’ora, nel corso del giudizio di merito. Per questo specifico profilo, quindi, la censura è inammissibile.
Per il resto, con il motivo in esame viene denunciata la violazione dell’ art. 1362 c.c., per aver la Corte di Appello erroneamente interpretato il contenuto del contratto di cui anzidetto, dell’art. 1439 c.c., per non aver ravvisato la sussistenza del dolo dell’acquirente, e dell’art. 115 c.p.c., perché nel confermare il rigetto delle istanze istruttorie proposte da RAGIONE_SOCIALE in prime cure e reiterate in appello si sarebbe impedito alla stessa di provare la propria tesi difensiva.
Le istanze istruttorie di cui si discute, che la stessa parte controricorrente riproduce testualmente a pag. 4 del controricorso, erano dirette a dimostrare, da un lato, che il contratto preliminare di compravendita concluso tra RAGIONE_SOCIALE e COGNOME era in realtà finalizzato a garantire un finanziamento che il secondo avrebbe dovuto erogare alla prima (a tal fine, era stato chiesto di ascoltare a testimonio COGNOME NOME, che aveva assistito la RAGIONE_SOCIALE nella suindicata vicenda contrattuale e l’aveva sconsigliata di procedere alla firma del predetto accordo, ancorché corredato da un contestuale preliminare con il quale il promissario acquirente si obbligava a sua volta a retrocedere il cespite ad un socio della società promittente venditrice); e, dall’altro lato, a conseguire la prova che gli assegni bancari consegnati all’atto dell’acquisto non erano, in realtà, mai stati pagati (a tal fine, era stato chiesto un ordine di esibizione rivolto alle banche sulle quali detti titoli erano stati tratti, o in caso contrario, la prova testimoniale del direttore della filiale presso la quale era attivo il conto corrente dal quale le somme portate dai detti titoli avrebbero dovuto essere prelevate).
La Corte distrettuale, come detto, ha confermato il rigetto di dette istanze istruttorie, ritenendo che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto fornire la prova del mancato pagamento dei titoli di cui si discute per via documentale.
In proposito, va osservato che è pacifico, perché la stessa parte ricorrente lo conferma, che in atto di compravendita era stata rilasciata quietanza per il pagamento del prezzo, salvo il buon fine degli assegni bancari con i quali lo stesso era stato regolato. Ne consegue che, almeno sino a prova contraria, i titoli predetti erano stati consegnati a RAGIONE_SOCIALE, in parte prima del rogito, ed in parte all’atto della firma del contratto definitivo di compravendita del bene immobile di cui è causa. La società ricorrente, dunque, avrebbe potuto, secondo la prospettazione della Corte di Appello, fornire prova documentale del mancato incasso di detti titoli, depositandoli in atti, ove ancora essi fossero in suo materiale possesso, o in alternativa provando che essi erano stati passati per l’incasso ed erano risultati impagati o erano stati protestati. Detta prova, che oggettivamente RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto agevolmente fornire, non è stata offerta (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
La Corte di Appello, inoltre, aggiunge l’ulteriore considerazione che l’assegno di pagamento costituisce ‘notoriamente’ un mezzo di pagamento che sostituisce il denaro contante (cfr. sempre pag. 9 della sentenza impugnata): tale affermazione non è condivisibile, posto che essa si fonda sulla confusione tra assegno bancario -che contiene un ordine di pagamento rivolto dal traente alla banca- ed assegno circolare -che invece, mediante il preventivo accantonamento della provvista in sede di emissione, assicura la disponibilità del denaro occorrente ad assicurare il pagamento della somma in esso portata, e dunque assume la medesima funzione solutoria assicurata dal denaro
contante-. L’errore di diritto in cui è incorsa la Corte distrettuale, tuttavia, risulta ininfluente ai fini della decisione, poiché esso non incide sulla rilevata carenza di prova circa il mancato incasso degli assegni bancari con i quali era stato regolato il corrispettivo pattuito per la compravendita, dei quali, come già detto, l’odierna ricorrente aveva rilasciato quietanza, sia pure salvo buon fine, confermando in tal modo di aver ricevuto detti titoli, in parte prima e in parte contestualmente alla firma del rogito.
Sul punto, va precisato che, se da un lato non è consentito, in linea di principio, richiedere alla parte di fornire una prova negativa, né una prova positiva di una circostanza negativa, poiché la mancata verificazione di un determinato evento o la verificazione di un fatto negativo non può materialmente essere fornita per via documentale, mancando proprio il supporto fisico a conferma di un evento mai verificatosi, va tuttavia considerato che, nel caso di specie, RAGIONE_SOCIALE avendo quietanzato i titoli con i quali era stato regolato il corrispettivo della compravendita, aveva dichiarato, almeno sino a prova contraria, di averli materialmente ricevuti. Anche in funzione del principio della cd. ‘vicinanza della prova’ , dunque, l’odierna ricorrente era pienamente in condizione di dimostrare, mediante la produzione degli assegni non pagati, il mancato saldo, totale o parziale, del corrispettivo pattuito per la vendita di cui è causa.
La mancata ammissione, da parte del giudice di merito, dell’ordine di esibizione rivolto alla banca presso la quale RAGIONE_SOCIALE aveva tratto gli assegni bancari di cui si discute, dunque, si giustifica in funzione del fatto che RAGIONE_SOCIALE era in condizione di provare la circostanza del mancato pagamento dei titoli per via documentale.
Del resto, al riguardo, non può non rilevarsi una certa ambiguità della prospettazione difensiva di RAGIONE_SOCIALE, la quale, pur
avendo dedotto il mancato saldo del corrispettivo pattuito, non ha mai precisato, nei propri scritti difensivi, se gli assegni bancari consegnati da RAGIONE_SOCIALE fossero stati portati all’incasso, e se essi fossero risultati scoperti o fossero stati protestati.
Va ulteriormente considerato che, nella specie, non ostava alla prova del mancato pagamento del prezzo la circostanza che la quietanza fosse stata inserita in un atto pubblico, da un lato perché trattavasi, come già evidenziato, di quietanza ‘salvo buon fine degli assegni’ e, dall’altro lato, in quanto essa si riferiva, almeno in parte (per la precisione, relativamente ai titoli che RAGIONE_SOCIALE aveva dichiarato di aver ricevuto da RAGIONE_SOCIALE prima del rogito) ad una circostanza avvenuta prima dell’intervento del notaio e dunque non assistite dalla fede rafforzata che copre quanto direttamente verificato, o ricevuto, dal pubblico ufficiale rogante. Sotto questo profilo, va data continuità al principio secondo cui ‘L’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti o degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, ma non prova la veridicità e l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, le quali possono essere contrastate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza ricorrere alla querela di falso’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 22903 del 29/09/2017, Rv. 645568; conf. Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 20214 del 25/07/2019, Rv. 654964; nello stesso senso, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11012 del 09/05/2013, Rv. 626337, secondo la quale ‘L’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico è limitata ai fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza e alla provenienza delle dichiarazioni, senza implicare l’intrinseca veridicità di esse o la loro rispondenza all’effettiva intenzione delle parti’ ).
Da quanto precede deriva che, nel caso specifico, la società odierna ricorrente avrebbe ben potuto dimostrare il mancato incasso di tutti o parte dei titoli di cui si discute, anche a prescindere dall’ordine di esibizione che era stato formulato, evidentemente per superare la mancata offerta della prova documentale del fatto anzidetto.
Per quanto invece attiene al diniego della prova testimoniale articolata da parte ricorrente, va osservato che, mediante la stessa, RAGIONE_SOCIALE si proponeva di dimostrare il contesto nel quale il trasferimento immobiliare oggetto di causa si è collocato, con particolare riferimento alla posizione dissenziente assunta dal suo consulente riguardo all’opportunità di concludere la compravendita. Trattasi tuttavia di una circostanza irrilevante ai fini della decisione della controversia, in quanto quel che avrebbe dovuto essere dimostrato era il mancato pagamento, totale o parziale, del prezzo pattuito per il trasferimento del cespite di cui è causa, cosa che, come rilevato, non è avvenuta.
Va, infine, esclusa la sussistenza di una violazione dell’art. 119 T.U.B., che RAGIONE_SOCIALE deduce, per la prima volta, in sede di legittimità, pur non introducendo, in tal modo, una questione nuova. La norma, infatti, si limita a prevedere l’obbligo dell’istituto di credito di conservare le scritture contabili inerenti ai rapporti intrattenuti con i propri clienti e a regolare le modalità con cui questi ultimi (e, dunque, non i terzi) possono ottenere dalla propria banca copia dei documenti afferenti alle movimentazioni operate sui rapporti bancari a loro intestati o dei quali comunque essi hanno la disponibilità. Ne consegue che il richiamo alla stessa non appare decisivo, trattandosi, come detto, di disposizione che regola il rapporto tra banca e cliente, e non anche tra banca e terzo. La parte ricorrente, in altri termini, fa riferimento all’art. 119 T.U.B. a sostegno della sua richiesta di esibizione, diretta
nei confronti dell’istituto di credito sul quale RAGIONE_SOCIALE aveva tratto gli assegni bancari consegnati a saldo del prezzo della compravendita di cui è causa, al fine di dimostrare che la detta banca aveva disponibilità della documentazione oggetto della richiesta predetta. Tuttavia, una volta confermata la statuizione del giudice di merito con la quale si era rilevata la possibilità, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di provare il mancato incasso dei titoli per via documentale, ed il conseguente rigetto dell’istanza di esibizione di cui si discute, la circostanza che l’istituto di credito sia tenuto a conservare i documenti concernenti i movimenti operati dai suoi clienti sui conti correnti a loro intestati, o comunque nella loro disponibilità, diviene del tutto irrilevante.
Il primo motivo è a sua volta infondato, poiché la Corte di Appello ha rilevato che la chiamata in causa del COGNOME, operata da RAGIONE_SOCIALE, era diretta conseguenza della domanda spiegata, nei confronti di quest’ultima società, dall’odierna ricorrente. Di conseguenza, il giudice di merito ha posto a carico della parte soccombente anche le spese nei confronti del terzo chiamato, con statuizione coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘ Attesa la lata accezione con cui il termine soccombenza è assunto nell’art. 91 c.p.c., il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda, mentre il rimborso rimane a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23948 del 25/09/2019, Rv. 655358; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7431 del 14/05/2012, Rv. 622605; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 31889 del
06/12/2019, Rv. 655979; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18710 del 01/07/2021, Rv. 661752; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10364 del 18/04/2023, Rv. 667650).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, quanto al rapporto intercorrente tra ricorrente e controricorrente. Nulla invece in relazione all’intervento spiegato dalla COGNOME, in conseguenza della sua inammissibilità e comunque non rivestendo la parte la qualità di contraddittore della ricorrente.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 15.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 06 giugno 2025.
LA PRESIDENTE NOME COGNOME