Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1480 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
R.G.N. 32346/19
C.C. 9/01/2025
ORDINANZA
Vendita -Rescissione del contratto concluso in stato di pericolo -Risoluzione per inadempimento -Nullità
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 32346/2019) proposto da: COGNOME NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 563/2019, pubblicata il 9 luglio 2019, notificata a mezzo PEC il 17 luglio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 gennaio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 25 settembre 2002, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Sezione distaccata di Lipari), COGNOME NOME, al fine di sentire pronunciare la rescissione del contratto di vendita immobiliare concluso il 21 settembre 2001 e del preliminare di vendita immobiliare concluso in pari data per stato di pericolo o per lesione e, in via subordinata, per sentire pronunciare la risoluzione di tali contratti per grave inadempimento dell’acquirente e promissario acquirente, in ordine al mancato pagamento del corrispettivo pattuito, con la conseguente rimessione dell’alienante nella piena titolarità dei beni immobili e con la condanna, in ogni caso, del convenuto al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva in giudizio COGNOME Domenico, il quale contestava, in fatto e in diritto, la fondatezza delle avversarie domande, di cui chiedeva il rigetto.
Nel corso del giudizio era assunta la prova testimoniale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio estimativa.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 243/2016, depositata il 28 aprile 2016, pronunciava la rescissione del contratto di compravendita di unità immobiliare per atto pubblico
del 21 settembre 2001, rep. n. 60.132, racc. n. 15.685, registrato in Messina l’8 ottobre 2001, al n. 4.220, e del preliminare di vendita di terreno, stipulati tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, e -per l’effetto condannava COGNOME NOME al risarcimento dei danni, in favore di COGNOME NOME nella misura di euro 20.000,00, oltre interessi dalla domanda al soddisfo.
2. -Con atto di citazione notificato il 13 maggio 2017, COGNOME Domenico proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) il difetto dei presupposti di legge per l’accoglimento della domanda di rescissione; 2) l’erronea interpretazione delle risultanze istruttorie; 3) l’erronea decisione di non acquisire le testimonianze richieste ai sensi dell’art. 257, primo comma, c.p.c.; 4) l’erronea liquidazione equitativa del danno.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione NOMECOGNOME la quale instava per la declaratoria di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi ovvero per il suo rigetto, con la conferma della decisione impugnata, riproponendo -per l’ipotesi di accoglimento del gravame -la domanda di risoluzione per inadempimento dei contratti non esaminata nel giudizio di prime cure e chiedendone la dichiarazione di nullità.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Messina, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell’impugnazione spiegata e in totale riforma della pronuncia appellata, rigettava le domande proposte da COGNOME NOME e la condannava alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., doveva essere disattesa, poiché l’impugnazione proposta conteneva le argomentazioni che si intendevano contrapporre a quelle esposte nella sentenza di primo grado, in modo tale da inficiarne il fondamento logico-giuridico e da fornire al giudice di secondo grado gli elementi necessari per ripercorrere l’ iter logico seguito dal Tribunale nonché per rivisitare le ragioni poste a base della sua motivazione; b ) che non sussistevano i presupposti per l’accoglimento della domanda di rescissione dei contratti, alla stregua dell’erronea interpretazione delle risultanze dell’istruttoria espletata; c ) che, sul piano probatorio, era irrilevante la pendenza del procedimento penale e, a maggior ragione, la proposizione della querela sporta nei confronti di COGNOME NOME e altri, poiché avevano efficacia nel giudizi civili le sole sentenze penali irrevocabili; d ) che carenti erano anche le deposizioni rese dai testi Di Pietro Antonio, padre dell’attrice, e NOME Amelia, dichiaratasi amica dell’attrice e del di lei padre, poiché dal loro tenore non poteva evincersi che i contratti fossero stati conclusi in stato di pericolo attuale, tale da aver indotto l’alienante all’assunzione delle obbligazioni di vendita degli immobili a condizioni inique per la necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, dovendosi, per converso, escludere la ricorrenza della fattispecie della rescissione per lesione, difettando del tutto la prova dello stato di bisogno della parte contraente, neppure allegato; e ) che, infatti, entrambi i testi avevano riferito di ‘minacce’ del tutto genericamente, senza
richiamare fatti specifici e senza collocarli temporalmente, essendosi limitati, il COGNOME, a riferire che le minacce si protrassero fino al giorno della stipula e, la COGNOME, che le minacce si erano protratte dall’estate 2001 sino all’autunno, con l’evidente contraddizione tra tali dichiarazioni; f ) che, d’altronde, che si fosse trattato effettivamente di ‘minacce’ o ‘pressioni’ sembrava escluderlo lo stesso COGNOME, che inizialmente aveva dichiarato di essere stato ‘invitato’ più volte da tale COGNOME, soggetto diverso dal convenuto, a convincere la figlia a cedere gratuitamente al COGNOME degli immobili, aggiungendo che le minacce lo costringevano a far cedere gratuitamente al COGNOME gli immobili e a versare al Battaglia circa lire 200.000.000, riscossi solo in parte; g ) che tali dichiarazioni sembravano contrastare con lo stesso contenuto degli atti firmati dalla COGNOME, nei quali era stabilito il prezzo delle vendite; h ) che la teste COGNOME aveva riferito di aver assistito a chiamate telefoniche ricevute da COGNOME NOME impaurita per le pressioni che riceveva per restituire gli immobili, circostanza, questa, di cui non aveva parlato l’altro testimone; i ) che la stessa COGNOME aveva affermato di aver assistito alle telefonate ricevute dal COGNOME, senza alcuna precisazione sulle date e sui luoghi in cui si sarebbero verificate tali telefonate (se dal telefono fisso o dal cellulare) e di avere appreso dal COGNOME che era minacciato da tale Battaglia per la restituzione della casa e che in tali occasioni lo stesso chiamava la figlia, chiedendole di rimanere a casa e poi precipitandosi presso la stessa, circostanza, quest’ultima, anch’essa non riferita dal Di COGNOME; l ) che l’unica circostanza direttamente appresa dalla teste riguardava la ricezione di
telefonate fatte da soggetto alla stessa ovviamente sconosciuto e le cui generalità aveva saputo de relato dal COGNOME; m ) che al rigetto delle domanda di rescissione conseguiva la fondatezza anche dell’ulteriore motivo con cui era censurata la liquidazione del danno in misura equitativa, risultando, di conseguenza, infondata anche la domanda risarcitoria; n ) che la domanda di risoluzione per inadempimento riproposta in appello era infondata, poiché dall’atto pubblico di compravendita risultava che l’acquirente aveva pagato, prima della stipula, in favore della venditrice -che lo confermava e ne rilasciava ampia e liberatoria quietanza -, il prezzo della vendita concordato in complessive lire 92.000.000, e così pure dal preliminare di compravendita risultava che la parte promissaria compratrice aveva pagato alla parte promittente venditrice -che, ricevendola, lo confermava e rilasciava ampia e liberatoria quietanza -la somma di lire 5.000.000, obbligandosi a versare la differenza di lire 5.000.000 alla stipula dell’atto pubblico di trasferimento; o ) che le suddette risultanze documentali non potevano essere inficiate da quanto, secondo l’assunto dell’appellata, aveva affermato, nell’atto di costituzione, il COGNOME, secondo cui si era giunti alla redazione di due diversi atti, perché si doveva raggiungere la restituzione dell’intero maltolto alla Pajno; p ) che doveva essere altresì rigettata la domanda di nullità per assoluta genericità del relativo motivo.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi, NOMECOGNOME
Ha resistito, con controricorso, l’intimato COGNOME Domenico LeonardoCOGNOME
4. -La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., come modificato dal d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, per avere la Corte di merito disatteso l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata da parte appellata per difetto di specificità dei motivi, nonostante l’appellante non avesse sviluppato adeguate motivazioni critiche in ordine alla sentenza impugnata, indicando, per ciascuna delle ragioni esposte nella stessa, le contrarie ragioni di fatto e di diritto.
Obietta l’istante che tale carenza sarebbe precipuamente indirizzata verso il secondo e il terzo motivo dell’atto di appello, rispettivamente dedicati alla contestazione dell’accoglimento della domanda di rescissione e alla deduzione dell’erronea interpretazione delle risultanze istruttorie.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., come modificato dal d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012, sempre in ragione del rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, non avendo l’appellante indicato le parti del provvedimento che si intendevano appellare e le modifiche richieste rispetto alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, mancando altresì di indicare le circostanze da cui
sarebbe derivata la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
2.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto evidentemente connessi -sono infondati.
E tanto perché, secondo la stessa ricostruzione resa dalla ricorrente, COGNOME, attraverso l’atto introduttivo dell’appello, ha specificamente censurato con il secondo motivo -la decisione di primo grado, nella parte in cui ha ritenuto fondata la domanda di rescissione, contestando che i relativi presupposti fossero stati dimostrati in giudizio, e ha specificamente confutato -con il terzo motivo -l’interpretazione offerta delle risultanze istruttorie, alla stregua: A) dell’inattendibilità della testimonianza di COGNOME NOME, padre dell’attrice, il che avrebbe imposto il prudente apprezzamento nella valutazione della sua deposizione, e del riferimento di tale testimonianza a comportamenti di soggetti terzi estranei al giudizio; B) della non concludenza dell’altra testimonianza resa da NOME COGNOME, in quanto mera testimonianza de relato , basata su quanto riferito da COGNOME NOME e COGNOME NOME; C) dell’impossibilità di pervenire a qualsiasi conclusione probatoria per effetto della mera sussistenza di un procedimento penale nei confronti del convenuto, nascente da querela di parte, profilo, questo, che non avrebbe potuto giustificare il convincimento del giudice circa la sussistenza del pericolo idoneo alla rescissione ex art. 1447 c.c., trattandosi di processo ancora all’inizio della fase dibattimentale, senza che dal suo svolgimento potesse ritenersi raggiunta la prova della colpevolezza nei
confronti di alcuno degli imputati; D) dell’acritico riferimento alle risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, che avrebbe sovrastimato il bene oggetto di consulenza, non tenendo debito conto delle deduzioni offerte dal consulente tecnico di parte, relative alla circostanza che i beni in contestazione fossero gravati da ipoteca iscritta precedentemente al compimento degli atti di alienazione e di promessa, il che avrebbe inciso fortemente sul valore del cespite, tanto che all’iscrizione ipotecaria era seguita la trascrizione di pignoramento immobiliare, cosicché le somme sborsate dal compratore per l’acquisto non avrebbero garantito l’effettiva acquisizione del bene, sulla scorta del rischio concreto che lo stesso venisse venduto nella procedura esecutiva promossa da terzi.
Per l’effetto, l’appellante ha puntualmente richiesto che la decisione di accoglimento della domanda di rescissione venisse riformata, ossia rigettata.
Ora, gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla legge n. 134/2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle
impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 2320 del 25/01/2023; Sez. U, Ordinanza n. 36481 del 13/12/2022; Sez. 6-3, Ordinanza n. 13535 del 30/05/2018; Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017).
Nella specie, alla luce della natura di mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno dell’appello, il principio della necessaria specificità dei motivi è stato, per quanto anzidetto, soddisfatto, poiché al giudice d’appello sono state esposte le ragioni di fatto e di diritto su cui si fondava l’impugnazione ovvero, in relazione al contenuto della sentenza appellata, sono stati indicati, oltre ai punti e ai capi contestati, anche le ragioni per cui è stata chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, così restando esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 14471448 c.c. nonché dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1447 e 1448 c.c., per avere la Corte territoriale riformato la decisione di accoglimento della domanda di rescissione: 1) non tenendo conto della corrispondenza tra il capo di imputazione e i fatti esposti nell’atto di citazione, coincidenza che avrebbe rafforzato il convincimento sull’attendibili tà dei testi escussi nel corso del giudizio; 2) indebitamente deducendo la carenza probatoria con riferimento alle testimonianze rese da COGNOME Antonio e COGNOME NOME COGNOME, rispettivamente padre e amica dell’attrice, pur non essendo stata eccepita l’incapacità a deporre e pur essendo indiscutibile che raramente le minacce, le
estorsioni e in genere i fatti costituenti reato si manifestano platealmente; 3) non operando il necessario collegamento tra le dichiarazioni dei predetti testi; 4) reputando generiche le minacce riferite da tali testi, pur avendo l’ ‘invito’ a cui si era riferito il teste COGNOME Antonio forza coercitiva; 5) non essendovi alcuna contraddizione significativa tra le deposizioni rese dai due testimoni; 6) avendo la deposizione resa dalla testimone COGNOME Franco COGNOME una precisa portata probatoria diretta.
Osserva l’istante che, ove gli elementi probatori acquisiti fossero stati congruamente apprezzati, l’accoglimento della domanda di rescissione avrebbe dovuto essere confermato.
4. -Con il quarto motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., in riferimento agli artt. 1447 e 1448 c.c., per avere la Corte distrettuale, con motivazione apparente, riformato la decisione di accoglimento della domanda di rescissione, non valutando congruamente le risultanze probatorie acquisite.
4.1. -I due motivi -che possono essere trattati congiuntamente, in quanto connessi -sono inammissibili.
Nella parte motiva della sentenza impugnata si è dato conto, con specifiche argomentazioni, delle ragioni per le quali, all’esito delle deposizioni rese dai testi escussi COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, non potesse reputarsi assolto l’onere probatorio in ordine alla circostanza che l’atto di vendita di unità immobiliare e il preliminare di vendita di terreno del 21 settembre 2001 fossero stati conclusi a condizioni inique a causa delle minacce di un danno attuale alla persona paventato nei confronti della alienante
e promittente alienante, negando, quindi, che vi fossero i presupposti per la rescissione dei negozi conclusi in stato di pericolo ex art. 1447 c.c.
Segnatamente sono state argomentate le ragioni della genericità, contraddittorietà, inconcludenza delle predette deposizioni testimoniali, anche alla luce della mera pendenza di un procedimento penale in ordine agli stessi fatti contestati in sede civile.
Orbene, in questa sede, non può essere sindacata la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa (nella specie, dello stato di pericolo idoneo a giustificare la rescissione), ove essa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, come tale estraneo al giudizio di legittimità (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 25166 del 08/10/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014).
Al riguardo, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento.
È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il ‘peso probatorio’ di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.
Quanto al rigetto dell’azione generale di rescissione per lesione, è stata evidenziata la carenza di alcuna allegazione e di alcun elemento probatorio circa l’integrazione dello stato di bisogno dell’alienante e promittente alienante, di cui la controparte avesse inteso approfittare per trarne vantaggio.
5. -Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2045 e 2043 c.c., in riferimento agli artt. 1447 e 1448 c.c., per avere la Corte del gravame, all’esito del rigetto della domanda di rescissione, ritenuto infondata la domanda risarcitoria, infondatezza che sarebbe travolta dalla cassazione della sentenza gravata, nella parte in cui ha disatteso la domanda di rescissione.
5.1. -Il motivo è inammissibile.
In realtà si tratta di ‘un non motivo’, in quanto la doglianza è prospettata quale mero effetto riflesso dell’accoglimento dei precedenti motivi.
6. -Con il sesto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., della violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., per avere la Corte d’appello reputato infondata la domanda di risoluzione per inadempimento, negando la sussistenza del dedotto inadempimento, in quanto dall’atto pubblico di vendita sarebbe risultato il pagamento del corrispettivo pattuito, con ampio rilascio di quietanza liberatoria, e così con riferimento alla connessa stipula del preliminare di vendita.
E ciò senza valorizzare l’assunto della parte appellata che avrebbe sostanzialmente affermato, nell’atto di costituzione, di
non aver corrisposto alcun importo a fronte dei predetti contratti, né avrebbe in alcun modo contestato l’esistenza delle dette pressioni e minacce, né avrebbe provato di aver corrisposto le somme di cui ai contratti indicati.
7. -Il settimo motivo investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in ordine al mancato pagamento del corrispettivo della vendita, come confessato dall’acquirente (in ordine al riferimento alla ‘restituzione dell’intero maltolto alla Pajno’).
7.1. -I due motivi -che, in quanto connessi, possono essere esaminati unitamente -sono inammissibili.
Infatti, correttamente la prova del pagamento è stata desunta dalle quietanze contenute nell’atto di vendita e nel preliminare, le cui dichiarazioni -con cui il venditore ha riconosciuto di aver incassato il prezzo -hanno effetti confessori. Ne consegue che tale dichiarazione, anche nell’ipotesi in cui sia inserita in un contratto dichiarato nullo, può costituire prova dell’avvenuto pagamento (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9719 del 26/05/2020).
Ebbene il creditore che, rilasciando quietanza al debitore, ammette il fatto del ricevuto pagamento rende confessione stragiudiziale alla parte, con piena efficacia probatoria ex artt. 2733 e 2735 c.c., sicché non può impugnare l’atto se non dimostrando, a norma dell’art. 2732 c.c., che esso è stato determinato da errore di fatto o violenza, essendo insufficiente la prova della non veridicità della dichiarazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5945 del 28/02/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 32458
del 14/12/2018; Sez. 2, Sentenza n. 4196 del 21/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 26325 del 31/10/2008).
Dimostrazione dell’errore di fatto o della violenza che, nella specie, non è stata offerta.
Per le medesime ragioni non vi è stata alcuna omissione di un fatto rilevante.
8. -L’ottavo motivo concerne, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418-1421 c.c., per avere la Corte di merito rigettato la domanda di nullità del contratto di compravendita e del contratto preliminare di vendita conclusi il 21 settembre 2001 per assoluta genericità della relativa domanda, come riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c., avendo invece dedotto tale nullità per contrarietà a norme imperative o per frode alla legge o in ragione della causa illecita o per motivo illecito, tanto che pendeva procedimento penale, in modo da giustificare il rilievo della nullità anche d’ufficio.
8.1. -Il motivo è inammissibile.
Infatti, la ricorrente non ha specificato le ragioni della nullità genericamente dedotta, non essendo sufficiente a rendere puntuale la deduzione di tale nullità il generico richiamo alla contrarietà a norme imperative o alla frode alla legge o alla causa illecita o ai motivi illeciti, senza argomentare i termini concreti di tale dedotta invalidità.
9. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5.800,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda