Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27721 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27721 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18165-2020 proposto da:
INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 274/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/10/2019 R.G.N. 241/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Ancona con la impugnata sentenza ha rigettato l’appello principale proposto da COGNOME NOME
Oggetto
R.G.N. 18165/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 09/09/2025
CC
ed in accoglimento dell’appello incidentale ha dichiarato che nulla dovesse corrispondere RAGIONE_SOCIALE in favore del COGNOME in relazione al rapporto di lavoro dedotto in causa, in qualità di collaboratore-agente, condannando l’appellante principale al pagamento delle spese del doppio grado.
A fondamento della pronuncia la Corte d’appello ha sostenuto che ai fini della decisione della domanda svolta dal COGNOME fosse determinate la scrittura liberatoria, non impugnata e non contestata circa la sua paternità, del 20 gennaio 2015, con la quale aveva dichiarato di aver ricevuto euro 10.000 e di ricevere a saldo, euro 17.000 dal AVV_NOTAIO NOME “a chiusura dei conti”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME con venticinque motivi ai quali ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE. Le parti hanno depositato memorie prima della udienza. Il collegio ha riservato il deposito della motivazione entro il termine di 60 giorni dalla decisione.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360, numero cinque c.p.c.) in ordine alla prosecuzione del rapporto di lavoro oltre le date del 31/10/2014 (scadenza formale del contratto di consulenza) e del 20/1/2015 (sottoscrizione della quietanza liberatoria) cessazione del rapporto lavorativo in data 12-16/03/2015. Tale fatto storico era ricavabile dalle allegazioni delle parti, dalla documentazione in atti prodotta dalle medesime parti, dal capo della sentenza di primo grado non specificamente impugnata sul punto.
2.- Col secondo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2113, comma 1 in relazione all’articolo
113 c.p.c. (articolo 360, numero tre c.p.c.) con riferimento alla pretesa validità della rinuncia del 20/1/2015 perché riguardante diritti futuri, per la genericità, per il fatto che fosse rivolta a tale COGNOME.
3.- Con il terzo motivo si sostiene la violazione e o falsa applicazione degli articoli 1418, 1324 e 1325 c.c. in relazione all’articolo 113 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento alla dichiarazione liberatoria del 20/1/2015, avente per oggetto diritti retributivi futuri, incerti e indeterminati.
4.- Con il quarto motivo si sostiene la violazione e o falsa applicazione dell’articolo 2113, 2° comma c.c. in relazione agli articoli 113,115 e 116 c.p.c. per aver ritenuto non impugnata la scrittura privata del 20 gennaio 2015, nonché l’omesso esame di una circostanza oggetto di contraddittorio tra le parti con riferimento alla impugnazione della scrittura del 20/1/2015 (articolo 360, numero 5 c.p.c.)
5, 6 e 7.- Con il quinto, sesto e settimo motivo, unitariamente dedotti, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1364 e 1366 c.c. e ss., in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) per avere interpretato la scrittura del 20/1/2015 nonché gli atti del 19/2/2018 e del 4/3/2015 in maniera difforme da quella desumibile dal tenore letterale e complessivo.
Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2727 2729 c.c. in relazione all’articolo 115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero tre c.p.c.) con riferimento al rilievo istruttorio della scrittura del 20/1/2015 nonché degli atti del 19/2/2018 e del 4/3/2015.
Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto discussione delle parti con riferimento all’accordo di cessione di quote del 18-19/2/2013 firmato dal COGNOME.
8.- Con l’ottavo motivo si sostiene la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362, 1366, 1176 e 2727-2729 c.c. in relazione agli artt. 113,115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) per aver interpretato la scrittura del 20/1/2015 senza valutare il comportamento complessivo del dichiarante.
9-10. Con il nono e decimo motivo, si afferma la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1362, comma due, 1366, 1176 e 2727-2729 in relazione all’articolo 115 e 116 c.p.c.(360 numero 3 c.p.c.) per aver interpretato la scrittura del 20.1.15 senza valutare il comportamento complessivo del debitore RAGIONE_SOCIALE.
Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1749, 1988 e 2735 c.c., 2727- 2729 c.c. e 1175-1176 c.c. in relazione all’articolo 115 e 116 c.p.c. (360 numero 3 c.p.c.), nonché omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di contraddittorio tra le parti (articolo 360, numero 5 c.p.c.), consistente nel comportamento ricognitivo di debito da parte di RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME per compensi provvigionali successivi al 20/1/2015.
11.- Con l’undicesimo motivo violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 2726 e 2735 c.c. in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c. ) con riferimento alla portata dismissiva della quietanza a saldo dei compensi spettanti al lavoratore.
12-13-14Con i motivi dodici, tredici e quattrodici, unitariamente dedotti, si afferma la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 2702, 2726 c.c. in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.), con riferimento alla prova del pagamento dei compensi spettanti al lavoratore.
Nullità della sentenza (360, numero 4 c.p.c.), anche in relazione all’articolo 132, n. 4, 115 e 116 c.p.c. per essere
incorsa in motivazione apparente circa la prova del pagamento delle provvigioni del COGNOME e del prezzo di cessione delle quote. Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1199 c.c. in relazione all’articolo 113,115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.), con riferimento alla scrittura del 20/1/2015.
15.- Con il quindicesimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1236 e 1334 c.c., in relazione agli articoli 113,115 e 116 c.p.c.(articolo 360, numero 3 c.p.c.) sotto il profilo della portata recettizia della dichiarazione di remissione del creditore nei confronti del debitore.
16-17. Con i motivi sedicesimo e diciassettesimo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 2726, 2727 e 2729 c.c. nonché degli articoli 1703, 1700, 1708 e 2204 c.c. in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero tre c.p.c.) con riferimento alla prova circa la sussistenza della delega al pagamento da COGNOME in capo al COGNOME.
Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1703, 1706 e 1708 c.c. nonché degli articoli 2204 e 2206 c.c. in relazione agli articoli 113,115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento al ruolo di solvens attribuito al signor COGNOME.
18.- Con il diciottesimo motivo di censura la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1362, degli articoli 2697, 2727, 2729 c.c. e degli articoli 2468, 2470 c.c., in relazione agli articoli 113,115 e 116 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.), con riferimento alla circostanza dell’avvenuta adesione del signor NOME COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE come desumibile dall’intesa del 9/7/2007.
19-20 Con i motivi diciannove e venti si sostiene la nullità della sentenza per vizio di ultra petizione (articolo 360, numero quattro c.p.c.), avendo statuito su un punto della domanda non
devoluta al suo esame avente per oggetto l’onere della prova in ordine al pagamento del prezzo di cessione delle quote sociali. Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. anche in relazione agli articoli 329 e 434/436 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento alla statuizione -contenuta nella sentenza di primo grado-circa l’onere della prova facente capo al debitore sul pagamento del prezzo di cessione delle quote sociali.
21-22 Con i motivi ventuno e ventidue si afferma la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 1218 e 1453 (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento all’onere della prova circa l’adempimento delle obbligazioni economiche legate al contratto di lavoro.
Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697, 1218 e 1453 c.c. nonché degli articoli 1193-1195 c.c. in relazione all’articolo 113 c.p.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento all’onere della prova circa l’adempimento delle obbligazioni economiche legate al contratto di lavoro ed alla cessione di quote.
23.- Con il motivo ventitreesimo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. anche in relazione agli articoli 115, 137, comma 2e c.p.c.( articolo 360, numero tre c.p.c.) con riferimento all’omessa ammissione del ricorrente alla prova della diversa imputazione del titolo giuridico del pagamento con riferimento alla scrittura del 20/1/2015.
24-25 Con i motivi ventiquattro e venticinque si afferma la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 pc (360, numero 3 c.p.c.) in relazione alla dedotta mancata produzione di documentazione da parte del ricorrente a supporto del diritto di percepire ulteriori provvigioni attinente ai 18 mesi successivi alla cessazione del rapporto.
Violazione dell’articolo 116, comma 2, c.p.c. e articolo 11751176 c.c., in relazione agli articoli 118 c.p.c., 1749, comma due e 2697 c.c. (articolo 360, numero 3 c.p.c.) con riferimento al rifiuto del debitore di produrre gli ulteriori estratti provvigionali successivi alla cessazione del rapporto lavorativo.
26. Tanto premesso sui motivi ( trascritti nel testo contenuto in ricorso), va richiamato, in sintesi, il percorso logico-giuridico che ha condotto la Corte di appello alla decisone di cui alla impugnata sentenza.
27.- La Corte di appello ha affermato anzitutto che, secondo la condivisa ricostruzione operata dal giudice di primo grado, era corretto sostenere che tra le parti fossero intervenuti due rapporti: uno di natura societaria che vedeva COGNOME nella veste di socio amministratore della RAGIONE_SOCIALE (nel corso del quale egli in vari momenti e con scritture separate rispetto alla regolamentazione negoziale disciplinante l’altro rapporto, aveva ceduto parte delle sue quote sociali, fino all’ultima cessione datata 4 marzo 2015); ed un altro rapporto di natura lavorativa instaurato con il primo contratto del 18 giugno 2007, qualificato di collaborazione e consulenza, che aveva visto lo stesso COGNOME nella veste di collaboratore-agente remunerato con compensi provvigionali determinati sugli affari procacciati, e che nel corso del tempo era andato trasformandosi in un vero e proprio contratto di agenzia con le modifiche integrazioni avvenute in data 19.2.2013 e in data 1.11.2013.
Ciò posto, secondo la Corte, come già ricordato in premessa, ai fini del decidere era essenziale l’interpretazione della scrittura liberatoria, non impugnata e non contestata circa la sua paternità, del 20 gennaio 2015, con la quale il COGNOME aveva dichiarato di aver ricevuto euro 10.000 e di ricevere a saldo, euro 17.000 dal AVV_NOTAIO NOME “a chiusura dei conti”.
Sul punto, però, la Corte d’appello, in contrario avviso rispetto all’interpretazione adottata dal tribunale, ha affermato che la richiamata quietanza avesse piena valenza liberatoria e fosse preclusiva di ogni indagine in ordine alle pretese creditorie dell’appellante posto che l’imputazione dei pagamenti menzionati andava fatta senz’altro ai crediti maturati nell’espletamento dell’incarico di collaboratore-procacciatore dedotto in causa.
In tal senso deponeva anzitutto la lettura combinata della quietanza del 20 gennaio 2015 e del nuovo accordo intervenuto tra le parti in data 19 febbraio 2013; con detto accordo erano state negoziate le condizioni contrattuali ad integrazione del primo accordo di collaborazione ed era stata inserita la specifica clausola in forza delle quali le parti convenivano che “il signor COGNOME renderà nota la propria attività e programmazione, mediante indicazione nell’agenda consultabile dal direttivo RAGIONE_SOCIALE, attraverso l’account EMAIL, oltre che con relazione scritta da recapitare settimanalmente al signor NOME COGNOME“; ed inoltre, che “il signor COGNOME, rendiconterà al signor COGNOME settimanalmente il fatturato conseguito nella relativa settimana, anche attraverso la consegna dei contratti conseguiti, rendicontando, altresì, le spese sostenute per l’attività.”
Secondo la Corte in base all’univoco tenore letterale della clausola contrattuale, risultava che le parti avessero voluto assegnare al signor NOME COGNOME, il ruolo di unico referente della rendicontazione dell’attività svolta dal COGNOME nonché delle spese sostenute ; risultava cioè il ruolo di solvens del signor COGNOME nell’ambito dei rapporti dare-avere specificamente nascenti dall’incarico professionale conferito all’appellante; ne derivava che i conti, cui faceva riferimento la quietanza e di cui
ivi si dichiarava la definitiva chiusura, fossero proprio le debenze vantate dal COGNOME a titolo di residui compensi provvigionali maturati e non riscossi relativi al compenso per la collaborazione e la consulenza svolte.
Non avendo l’odierno appellante principale fornito la prova a suo carico circa la riferibilità dei conti in discorso ad altro e diverso titolo, alla luce delle suesposte considerazioni si doveva presumere che i conti chiusi afferissero a crediti relativi alla vicenda lavorativa del COGNOME qualificata in termini di collaborazione e riconducibile allo schema del contratto di agenzia. Oltre a ciò vi era la produzione della società appellata di documentazione da cui si evinceva che le fatture del COGNOME erano state regolarmente pagate dalla società, e che anche il corrispettivo delle quote societarie cedute fosse stato interamente versato, la qualcosa consentiva di formulare anche un giudizio di congruità del compenso che il collaboratore, in via definitiva, aveva ritenuto satisfattivo di ogni sua spettanza, tanto da rilasciarne quietanza liberatoria.
In conclusione, secondo la Corte territoriale, non vi era in atti alcun elemento dal quale si potesse evincere che le somme quietanzate fossero riferite al credito del COGNOME relativo alla cessione delle quote sociali; al contrario vi era la prova che la vicenda societaria, intercorsa parallelamente al rapporto di collaborazione professionale, fosse stata definita con separata scrittura del 4 marzo 2015 registrata l’1 aprile 2015 .
Come risultava pure dal documentato saldo del corrispettivo versato integralmente il 4 marzo 2015 per la compravendita delle quote sociali, era il COGNOME stesso, cedente, che infatti ivi dichiarava “di aver ricevuto prima di questo atto dalla cessionaria, alla quale rilascia ampia quietanza di saldo” il corrispettivo della cessione delle quote di partecipazione.
28.- Alla luce dei contenuti, logici ed articolati, della sentenza impugnata le censure sollevate nel ricorso devono essere disattese .
29.- Ed invero deve essere in primo luogo ricordato che quello di legittimità è un giudizio a critica vincolata e non un terzo grado di giudizio in cui sia possibile veicolare una generica critica alla sentenza impugnata. Il ricorrente ha invece riproposto in questa sede, attraverso ben 25 motivi, una sorta di impugnativa a carattere generale della sentenza di secondo grado ripresentando tutte le questioni di fatto già sollevate nei gradi precedenti e richiedendo un nuovo e completo riesame dei documenti e delle prove, tutte riprodotte in ricorso, attraverso censure che travalicano il controllo ed i compiti che sono istituzionalmente demandati alla Corte di cassazione nel giudizio di legittimità.
30.Ciò posto, quanto alla pretesa impugnazione dell’interpretazione operata dalla Corte di appello sui contenuti delle quietanze intervenute tra le parti è opportuno evidenziare che l’interpretazione del contratto, come del negozio giuridico unilaterale (atteso il rinvio operato dall’art. 1324 cod. civ.), traducendosi in una operazione di accertamento della volontà delle parti o dell’autore dell’atto unilaterale (Cass. n. 9127 del 06/05/2015), si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 14355/2016; Cass. n. 10745/2022).
Sul punto però il ricorso in esame si rivela meramente assertivo, posto che con esso -a fronte dell’approfondita e articolata ricostruzione operata dalla Corte di appello circa il
contenuto delle quietanze, anche alla stregua del comportamento complessivo delle parti – il ricorrente non censura realmente una errata applicazione dei criteri interpretativi negoziali previsti dalla legge, quanto piuttosto il risultato dell’attività ermeneutica in quanto tale, siccome non rispondente a quello desiderato dalla parte. Ma, come noto, anche l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006); tali valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei contratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n. 22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053 del 2000).
Nella specie, al cospetto dell’approdo esegetico cui è pervenuta la Corte distrettuale, la parte ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione più favorevole; ma per sottrarsi al sindacato di legittimità quella data dal giudice al testo negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di un testo negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 10131 e 18735 del 2006).
28.Quanto alle censure sollevate ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. va rilevato che non sussistono gli elementi costitutivi relativi nè alla decisività delle circostanze dedotte a fondamento del vizio (posto che, ad es., non può neppure escludersi, in fatto, che la chiusura dei conti e dei rapporti dare-avere possa tener conto anche di periodi di lavoro successivi); né alla necessaria discussione tra le parti dei fatti in questione; e nemmeno dell’omessa valutazione dato che la Corte di appello, come risulta dalla sintesi riportata, ha pure scrutinato tutte le circostanze rilevanti e l’attività svolta nei periodi successivi, non rinvenendo prova di residue provvigioni a favore del ricorrente. 29.- La Corte ha pure richiamato a fondamento della pronuncia la tesi della società controricorrente la quale aveva affermato che la somma di euro 27000 complessivamente erogata al ricorrente fosse comprensiva delle provvigioni calcolate sui ristorni maturati nei diciotto mesi successivi alla scadenza del contratto ( 31 ottobre 2014 all’aprile 2016), con logica coerenza pertanto con la valenza liberatoria attribuita alla precedente quietanza.
30.Inoltre va pure evidenziata l’infondatezza delle censure sollevate ex art. 2113 c.c., sotto il profilo dell’invalidità delle rinunce a diritti futuri, atteso che come già detto nella presente fattispecie la Corte, con autonoma ratio, non ha individuato la prova di diritti futuri.
31.- Per il resto le censure sollevate sono, come già detto, sostanzialmente rivolte, aldilà dell’apparente rubrica e della loro reiterazione sotto diverse ipotesi normative, ad una rivisitazione degli accertamenti di merito e dei fatti sottesi all’individ uazione della volontà dismissiva e del contenuto della quietanza liberatoria.
32.Esse sono quindi inammissibili perché, sotto l’apparente deduzione di error in procedendo o in iudicando, denunciano vizi relativi all’accertamento dei fatti, alla valutazione delle prove ed alla individuazione delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione che la Corte ha effettuato motivatamente valutando le emergenze probatorie prodotte dalle parti, sottoponendole al proprio prudente e discrezionale vaglio critico e respingendo richieste probatorie prive di rilevanza.
Si aggiunga che la deduzione della violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. proprio per tale ragione risulta esorbitare dalle modalità che la giurisprudenza di questa Corte ha assegnato ad esso statuendo che la violazione di tale norma si configura solo quando il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basata sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni (v. anche Cass n. 26739 del 15/10/2024).
33.- Questa Corte di legittimità non potrebbe mai sostituirsi al giudice di appello e valutare diversamente i fatti dichiarati esistenti dalla Corte di appello ai fini dell’integrazione della fattispecie giuridica posta a base della decisione; né quindi potrebbe ripetere le valutazioni delle circostanze di fatto, o riesaminare il materiale probatorio o il contenuto degli atti già valutati in maniera motivata dalla Corte d’appello, attraverso una sequenza logica articolata che non ha trascurato alcun elemento decisivo relativo ai complessi rapporti intervenuti tra le parti .
34.Fatta salva l’omessa valutazione di un fatto decisivo, il potere di selezionare e valutare le prove idonee ai fini della
dimostrazione del fatto appartiene infatti al giudice di merito e non può essere sindacato in questa sede di legittimità.
35.- Nel caso in esame peraltro, i medesimi motivi, sono del pari inammissibili laddove denunciano la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. Innanzitutto perché, come già detto, la scelta dei mezzi istruttori utilizzabili per il doveroso accertamento dei fatti rilevanti per la decisione è rimessa all’apprezzamento discrezionale, ancorché motivato, del giudice di merito, ed è censurabile, quindi, in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione e non della violazione di legge (Cass. n.21603 del 2013).
Ed inoltre perché in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti, già evidenziati, consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (in termini: Cass. 23940 del 2017; v. più in generale:
Cass. n. 25192 del 2016; Cass. n. 14267 del 2006; Cass. n. 2707 del 2004).
Per di più, la denunciata violazione dell’art. 115 c.p.c. non è dedotta in conformità dell’insegnamento nomofilattico (v. Cass. n. 11892 del 2016) che, a proposito dell’articolo 115 c.p.c., indica che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre’.
Non esiste perciò alcuna violazione artt. 115 e 116 c.p.c. posto che ( Cass. n. 1229 del 17/01/2019) ‘In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione’.
35.- Non esistono poi vizi di motivazione di alcuna natura nella sentenza impugnata posto che nell’attuale assetto ordinamentale il vizio di motivazione può essere censurato in Cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. solo nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o
manifestamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico della impugnata pronuncia.
37.- Sulla scorta di tali considerazioni il ricorso in oggetto deve essere quindi complessivamente rigettato.
38.- – Le spese di lite da liquidarsi seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in euro 5000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie oltre accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 9.9.2025
La presidente AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME