Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29792 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29792 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21259/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Quistello (MN), alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (EMAIL) che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al ricorso.
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Poggio Rusco (INDIRIZZO), alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente – avverso la sentenza, n. cron. 370/2024, della CORTE DI APPELLO DI BRESCIA depositata in data 08/04/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 7 novembre 2019, NOME COGNOME citò NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di impresa, chiedendo: i ) in via principale, annullarsi il contratto di trasferimento delle quote della società RAGIONE_SOCIALE, intervenuto il 6 settembre 2018 per scrittura privata autenticata a ministero AVV_NOTAIO, tra l’attore (cedente) ed il convenuto (cessionario), e, per l’effetto, disporsi la retrocessione delle quote pari a nominali €. 9.500,00 di detta società nella proprietà, intestazione e disponibilità del primo, con ogni conseguente statuizione per l’iscrizione/trascrizione della emananda sentenza nel competente RAGIONE_SOCIALE Imprese; ii ) in via subordinata, nella denegata ipotesi di rigetto della domanda principale, accertarsi e dichiararsi la risoluzione per inadempimento grave e persistente del cessionario NOME COGNOME rispetto al contratto di trasferimento predetto e, per l’effetto, disporsi la retrocessione delle già menzionate quote sociali nella proprietà, intestazione e disponibilità dell’istante , con ogni conseguente statuizione per l’iscrizione/trascrizione della emananda sentenza nel competente RAGIONE_SOCIALE Imprese.
Costituitosi il COGNOME, che contestò le avverse pretese concludendo per il loro rigetto, l’adito tribunale, espletata l’istruttoria, con sentenza n. 3030/2022 rigettò tutte le domande del COGNOME e lo condannò alla refusione delle spese di lite.
Pronunciando sul gravame promosso da quest’ultimo contro quella decisione, la Corte di appello di Brescia, con sentenza dell’8 aprile 2024, n. 370, resa nel contraddittorio con NOME COGNOME, così dispose: « In parziale riforma dell’impugnata sentenza n. 3030/2022 del Tribunale di Brescia, dichiara la risoluzione per grave inadempimento del cessionario COGNOME NOME del contratto di cessione di quota sociale per cui è causa (art. 1 della scrittura privata in autentica AVV_NOTAIO a repertorio n. 5258 raccolta n.
3605) e per l’effetto dispone il trasferimento, all’atto del passaggio in giudicato della presente sentenza, della quota del 95% della società RAGIONE_SOCIALE dall’appellato COGNOME NOME all’appellante COGNOME NOME; condanna l’appellato a rifondere all’appellante le spese di lite di ambo i gradi di giudizio, liquidate come in parte motiva ».
Per quanto qui ancora di interesse ed in sintesi, quella corte accolse il terzo motivo di gravame proposto dall’appellante e dichiarò risolto, per inadempimento del cessionario all’obbligo di pagamento del corrispettivo, il contratto di cessione concluso fra le parti il 6 settembre 2018. In particolare: i ) ritenne che la dichiarazione resa dal COGNOME in sede di interrogatorio formale, circa l’avere egli consegnato in pagamento del prezzo del trasferimento delle quote un assegno bancario verosimilmente non incassato, poi, dal cedente, « esclude di per sé l’ipotesi del versamento della somma in moneta contante e risulta pertanto incompatibile con la dichiarazione di quietanza di cui alla scrittura privata autenticata, la quale deve ritenersi pertanto superata »; ii ) rilevò, quindi, che la circostanza della consegna dell’assegno non era stata « riconosciuta come vera » dal COGNOME, il quale l’ aveva contestata con note d’udienza e nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1), cod. proc. civ. del giudizio di primo grado, e che il convenuto non era stato a sua volta in grado di provare l’effettiva consegna del titolo al cedente ; iii ) concluse « per l’accertamento del mancato pagamento del prezzo di cessione, costituente obbligazione principale a carico dell’acquirente, senza che lo stesso possa considerarsi quale inadempimento incolpevole, e perciò non imputabile alla parte obbligata »; iv) rimarcò, infine, che l’adempimento tardivo da parte del cessionario nemmeno poteva dirsi ammissibile in ragione della proposizione della domanda di risoluzione da parte del cedente, stante quanto previsto dall’art. 1453, co mma 3, cod. civ., e, pertanto, pronunciò la risoluzione del predetto contratto di cessione di quote della società RAGIONE_SOCIALE « per grave inadempimento del cessionario », disponendo, conseguentemente, il ritrasferimento della quota in favore del cedente.
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi a due motivi. Ha resistito, con controricorso, NOME COGNOME.
In data 18/21 gennaio 2025, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 25 febbraio 2025, il COGNOME ha chiesto la decisione del suo ricorso, altresì depositando memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione e/o errata applicazione degli artt. 1277, 1199, 1362, 1363, 1366, 1367, 2730, 2733, 1453, 1455, 2697 c.c. e artt. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4), c.p.c. ». Si assume che gli assunti con cui la corte distrettuale ha accolto la domanda di risoluzione contrattuale risultano « in contrasto con le norme sopra indicate, in quanto la quietanza rilasciata dal cedente costituisce dichiarazione di scienza che attesta la ricezione dell’assegno bancario da parte del cedente cosicché la dichiarazione resa in sede di interpello dal cessionario non si pone in contrasto ma è anzi confermativa della circostanza già ammessa dal cedente con la quietanza. Conseguentemente, la decisione ha violato le regole in materia di onere della prova, po nendo a carico del cessionario l’onere di fornire la prova dell’avvenuta consegna dell’assegno, a fronte delle mere contestazioni della circostanza effettuate dalla parte cedente, mentre invece sarebbe stato onere di quest’ultima provare la mancata traditio del titolo (onere che tuttavia non è stato assolto). Facendo scorretta applicazione delle regole in materia di adempimento, di quietanza e di prova, la decisione ha quindi qualificato come colpevole e grave l’inadempimento del cessionario, mentre lo stess o avrebbe dovuto essere qualificato come del tutto incolpevole, essendo dipeso integralmente dal comportamento non collaborativo e contrario a buona fede e correttezza del cedente »;
II) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 2730, 2733, 2734, 2697, 1453 e 1455 c.c., 115, 116, 228 e 230 c.p.c., in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3) e 4), c.p.c. ». Si sostiene che, « anche qualora la dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale dal cessionario COGNOME, di avere corrisposto il prezzo di cessione a mezzo di assegno consegnato al cedente in presenza del
notaio autenticante la scrittura, potesse essere ritenuta integrare una confessione infirmante l’efficacia della quietanza contenuta nell’atto di cessione delle quote, la dichiarazione del cessionario stesso avrebbe dovuto essere considerata nella sua integralità ai sensi dell’art. 2734 c.c. Poiché, da un canto, il COGNOME ha bensì ammesso di non avere corrisposto denaro contante e che l’assegno non gli risulta sia stato incassato dal cedente, ma ha anche affermato di aver consegnato un assegno bancario al cedente in pagamento del prezzo di cessione, e, dall’altro, il procuratore della parte cedente, presente all’interrogatorio, non ha tempestivamente contestato la verità di tale circostanza aggiunta, la dichiarazione aggiunta del cessionario deve ritenersi costituire piena prova della circostanza della consegna dell’assegno. Anche in caso di contestazione, trattandosi di confessione qualificata, il Giudicante non avrebbe potuto scindere la dichiarazione e considerare provato soltanto il mancato pagamento ma no n la dazione dell’assegno. Facendo scorretta applicazione delle regole in materia di confessione e di onere della prova, la decisione ha quindi qualificato come colpevole e grave l’inadempimento del cessionario, mentre lo stesso avrebbe dovuto essere qualificato come del tutto incolpevole, essendo dipeso integralmente dal comportamento non collaborativo e contrario a buona fede e correttezza del cedente ».
Va rilevato, in primis , che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. I due formulati motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili.
1.1. Invero, è utile ricordare che, giusta la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’interrogatorio formale è un mezzo diretto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli all’autore della confessione, ad esclusivo vantaggio del soggetto deferente, mentre non può costituire prova di fatti favorevoli alla parte che lo rende (cfr., ex aliis , Cass. n. 29472 del 2023; Cass. n. 5725 del 2019; Cass. n. 13212 del 2006).
1.2. Nella specie, per quanto si legge nella sentenza oggi impugnata, il COGNOME, rispondendo all’interrogatorio formale deferitogli dalla controparte,
ebbe chiaramente ad affermare che il prezzo convenuto per il trasferimento della partecipazione sociale oggetto di causa era stato da lui pagato mediante la consegna di un assegno bancario, ma aggiunse, pure, che gli risultava che quest’ultimo non fosse st ato incassato.
1.3. La circostanza dell’avvenuta consegna di detto assegno, tuttavia, è stata ritenuta dalla corte distrettuale sfornita di adeguata dimostrazione, del cui onere era gravato il medesimo odierno ricorrente (art. 1218 cod. civ.).
1.4. Fermo quanto precede, e ricordato, altresì, che l’effetto estintivo di un’obbligazione pecuniaria che si assume essere stata adempiuta mediante la consegna di un assegno bancario si realizza soltanto con l’effettiva riscossione della somma portata da quest’ultimo, le doglianze oggi formulate hanno entrambe come loro logico presupposto l’avvenuta consegna dell’assegno bancario suddetto, vale a dire un fatto contrario a quanto accertato (con valutazione qui non ulteriormente sindacabile, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ma nessuna puntuale censura è stata prospettata in tal senso) dalla corte distrettuale.
1.5. Ne consegue, allora, che le odierne doglianze si rivelano complessivamente inammissibili perché, sotto la formale egida del vizio di violazione di legge, sono sostanzialmente volte ad ottenere una nuova valutazione degli accertamenti fattuali compiuti dalla corte d’appello, non consentita, però, in sede di legittimità.
1.6. Pertanto, resta solo da aggiungere che: i) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (specificamente invocato dal COGNOME nelle doglianze in esame) può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr., tra le più
recenti, Cass. n. 1166/2025; Cass. nn. 27328, 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. nn. 5490, 3246 e 596 del 2022; Cass. nn. 40495, 28462, 25343, 4226 e 395 del 2021). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente (cfr., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: i -a) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; i-b) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); i-c) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015); ii) un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27328, 25376, 19371, 15032 e 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn.
19064 e 2395 del 2006), ove concretamente esperibile e da rapportarsi – in thesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa l’8 aprile 2024; iii) il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come ancora ribadito da Cass. n. 35006 del 2024 (cfr. in motivazione) – un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può porsi, rispettivamente, solo allorché si alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che «è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.»); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, «ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione»; Cass. n. 27000 del 2016); iv) affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016); v) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un
nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. n. 1166 del 2025) ».
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, in quanto conformi anche alla successiva giurisprudenza di questa Corte pronunciatasi sui medesimi profili sostanziali e processuali rimarcati nella descritta proposta.
Né, in contrario, persuadono gli assunti del COGNOME rinvenibili nella sua memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 21 ottobre 2025.
Invero, la corte distrettuale ha motivato, affatto correttamente, che il valore della quietanza, quale dichiarazione di scienza del creditore assimilabile alla confessione stragiudiziale del ricevuto pagamento, può essere superata dall’opposta confessione giudiziale del debitore ( cfr . Cass. n. 19283 del 2022), come accaduto, appunto, nel l’odierna vicenda, caratterizzata dal fatto che, come si legge nella sentenza impugnata il COGNOME, rispondendo all’interrogatorio formale deferitogli dalla controparte, ebbe chiaramente ad affermare che il prezzo convenuto per il trasferimento della partecipazione sociale oggetto di causa era stato da lui pagato mediante la consegna di un assegno bancario , sicché ciò escludeva l’ipotesi del versamento di quel prezzo in moneta contante.
La medesima corte, poi, dopo aver rimarcato che la consegna di detto assegno era stata specificamente contestata dal COGNOME, ha ritenuto la corrispondente circostanza (cioè la menzionata consegna) sfornita di adeguata dimostrazione, del cui onere era gravato l’ odierno ricorrente ex art. 1218 cod. civ.
Orbene, entrambe le doglianze di quest’ultimo presuppongono, logicamente, l’avvenuta consegna dell’assegno bancario suddetto, vale a dire un fatto contrario a quanto accertato (con valutazione -giova ribadirlo -qui non ulteriormente sindacabile, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., ma nessuna puntuale censura è stata prospettata in tal senso) dalla corte distrettuale. In esse, peraltro, si insiste nel sostenere che, nelle obbligazioni pecuniarie, il debitore è libero di adempiere con moneta legale o assegno circolare (nella specie, peraltro, il titolo è un assegno bancario), ma si tratta di elementi e circostanze che, nella specie, evidentemente non interessano posto che, come si è detto, la ratio della decisione impugnata, in parte qua , è, chiaramente, quella per cui l’avvenuta consegna dell’assegno bancario suddetto è rimasta sfornita di prova.
Allo stesso modo, il tema del valore della quietanza di pagamento, pure copiosamente esaminato dal COGNOME, postula, logicamente, la prova della consegna dell’assegno de quo e, pertanto, la validità della quietanza, mentre, come si è già riferito, la corte bresciana ha opinato, del tutto condivisibilmente ( cfr . Cass. n. 19283 del 2022), che il valore probatorio della quietanza è stato superato dall’esito dell’interrogatorio formale dell’odierno ricorrente , il quale aveva dichiarato di non aver corrisposto il prezzo della cessione dovuto ma consegnato un assegno di conto corrente, peraltro mai giunto all’incasso, salvo poi nulla provare in merito alla reale avvenuta consegna del titolo, sempre contestata dal COGNOME.
Resta solo da aggiungere, dunque, che: i ) la valutazione della corte territoriale di quanto dedotto dal COGNOME si rivela conforme al disposto dell’art. 2734 cod. civ., nella misura in cui, a fronte dell ‘avvenuta sua contestazione da parte del COGNOME, è rimessa all’apprezzamento del giudice ; ii ) è manifestamente irrilevante la circostanza di fatto enunciata nella richiesta di decisione e richiamata nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. (concernente il fatto che il notaio rogante l’atto di cessione, sentito nel corso di un procedimento penale originato da una querela del COGNOME per i medesimi fatti di cui oggi si discute, aveva dichiarato alla Guardia di Finanza:
” che il pagamento della somma di €. 9.500,00, riferita al pagamento della quota societaria da COGNOME NOME a favore di COGNOME NOME è avvenuta con assegno bancario, mentre la somma di €. 500,00 da COGNOME NOME a favore di COGNOME NOME è avvenuta in contanti …) “, oltre che inammissibile, perché fuori dal perimetro di cui all’art. 372 cod. proc. civ., la documentazione ad essa allegata; iii ) che come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022 e da Cass. nn. 8671, 20895, 25907 e 27478 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal costituitosi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal
menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024). Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’ del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), il ricorrente suddetto va condannato, nei confronti del costituitosi controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 3.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e lo condanna al pagamento, in favore del costituitosi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna il medesimo ricorrente al pagamento della somma di € 3.000,00 in favore della costituitasi controricorrente e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del COGNOME, nella indicata qualità, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME