Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30518 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 30518 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1640/2021 R.G. proposto da :
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME, in virtù di procura speciale in calce al ricorso e con elezione di domicilio digitale all’indiritto PEC indicato ;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio materialmente allegato al controricorso;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1105/2020, pubblicata il 20/10/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
sentito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME , che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentito il difensore del controricorrente, che ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso e condannare il ricorrente per responsabilità
aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedeva e otteneva un decreto con il quale veniva ingiunto a NOME COGNOME il pagamento in proprio favore della somma complessiva di euro 4.646,28, per l’esecuzione di lavori di finitura di un locale deposito di proprietà dell’ingiunto. Nel ricorso monitorio la ricorrente specificava che tali lavori non erano coperti dal contributo statale che era stato concesso ai sensi delle leggi 219/1981 e 32/1992 per la ricostruzione del fabbricato proprietà
condominiale nel quale si trovava l’immobile di dell’ingiunto.
COGNOME proponeva opposizione, deducendo di avere pagato i lavori in questione, così come risultante da una quietanza liberatoria sottoscritta da COGNOME, e aveva quindi chiesto la revoca del decreto. Con comparsa depositata il giorno dell’udienza si costitui va la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che deduceva di avere eseguito lavori di ricostruzioni dell’intero fabbricato condominiale, nel quale era compresa l’unità immobiliare di proprietà di COGNOME che aveva successivamente commissionato lavori di finitura interna di un locale deposito ai quali era riferita la fattura posta alla base della domanda monitoria. COGNOME contestava, quindi, l’eccezione di estinzione dell’obbligazione in quanto la dichiarazione prodotta dall’opponente riguarda va soltanto le somme dovute da COGNOME a titolo di accollo per le opere contabilizzate dal direttore dei lavori di ristrutturazione del fabbricato.
Con la sentenza n. 3173/2014 il Tribunale di Salerno accoglieva l’opposizione e revoca va il decreto ingiuntivo.
Il Tribunale riteneva che la contestazione inerente all’esclusione dei lavori oggetto del processo dalla quietanza prodotta integrasse un ‘eccezione non rilevabile d’ufficio dalla quale l’opposta era decaduta, trattandosi di eccezione che doveva essere fatta valere nel termine di decadenza di cui all’art. 167 c.p.c.
La sentenza veniva impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Con la sentenza n. 1105/2020 la Corte d’appello di Salerno accoglieva il gravame e rigettava, quindi, la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE, condannando COGNOME al pagamento in suo favore della somma di euro 3.667,27.
Il giudice d’appello riten eva che la specificazione dell’opposta – che la fattura posta alla base della domanda monitoria attenesse a crediti relativi a lavori non ricompresi nella quietanza prodotta – integrasse una mera difesa, che era pertanto proponibile alla prima udienza, e aveva ammesso la prova testimoniale, nonché nominato un consulente tecnico d’ufficio; a veva quindi, sulla base dell’istruttoria e della interpretazione della quietanza liberatoria, ritenuto provato il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME, quale titolare della omonima RAGIONE_SOCIALE individuale, che ha depositato memoria prima dell’udienza. Il controricorrente, anche in udienza, ha chiesto a questa Corte di condannare il ricorrente al pagamento di una somma equitativa mente determinata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.
RAGIONI COGNOMEA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sei motivi.
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 167, comma 2, 183, comma 6, c.p.c. e degli artt. 2907 e 2697 c.c. in relazione ai nn. 2, 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Si sostiene che l’eccezione di controparte che i lavori oggetto dell’opposto decreto ingiuntivo sono diversi da quelli oggetto di quietanza è eccezione di merito non rilevabile d’ufficio che è stata dedotta tardivamente; la deduzione della diversità dei lavori, nel suo s copo di precludere l’effetto estintivo dell’eccepito pagamento, integra la pretesa azionata e, quindi, involge la domanda giudiziale che preclude conseguentemente la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione; si tratta di eccezione che non poteva essere rileva ta d’ufficio se non violando il principio della domanda; la quietanza di pagamento avrebbe dovuto essere valutata non solo come dichiarazione di scienza, ma anche come negozio di accertamento per la dichiarazione dell’appaltatore di non avere altro da pretendere per i lavori eseguiti al fabbricato, cosicché la deduzione difensiva della diversità dei lavori assume la fisionomia e la consistenza dell’eccezione di merito non rilevabile d’ufficio; l’inammissibilità dell’eccezione avrebbe comportato l’inammissib ilità degli inerenti mezzi di prova, invece illegittimamente disposti.
Il motivo è infondato.
Il COGNOME, costituendosi nel giudizio ex art. 645 c.p.c., ha opposto all’eccezione di COGNOME dell’avvenuto pagamento della somma richiesta con il ricorso monitorio una mera difesa, ossia ha negato che l’eccepito pagamento riguardasse la somma richiesta, contestando che la quietanza da egli sottoscritta avesse ad oggetto tali lavori. Il COGNOME si è, quindi, limitato a negare il fatto posto alla base de ll’eccezione di controparte.
Nell’ambito delle argomentazioni difensive delle parti, genericamente qualificabili come eccezioni, vanno infatti distinte quelle che consistono nella semplice negazione del fatto costitutivo – ovvero del fatto estintivo, modificativo o impeditivo – del diritto esercitato dalla controparte (mera difesa), quelle che consistono nella contrapposizione di un fatto impeditivo o estintivo, tale da escludere gli effetti giuridici del fatto costitutivo ex adverso
affermato (eccezioni in senso lato) ed, infine, quelle che consistono in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo affermato dall’attore (eccezioni in senso proprio); per tale classificazione si veda, ad es., Cass. n. 6272/1998.
L e mere difese sono rilevabili d’ufficio e sono sottratte al regime delle preclusi oni di cui all’art. 167 c.p.c. (cfr. Cass. n. 8525/2020 e Cass. n. 35042/2023), cosicché legittimamente il COGNOME poteva proporre alla prima udienza la difesa in oggetto.
Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1199, 2697, 2733, 2735 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Con esso si sostiene che la quietanza era onnicomprensiva e liberator ia in quanto la dichiarazione secondo la quale ‘il sottoscritto non ha più nulla a pretendere per i lavori sopra indicati’ ineri va ai ‘lavori di costruzione di un fabbricato sito in Buccino alla località San Paolo’ e non era circoscritta all’accollo di spesa scaturita dalla contabilità redatta dal direttore dei lavori; la quietanza ha valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento e ha natura confessoria, vincolando così il giudice circa la verità del fatto stesso; la quietanza, oltre ad essere stata liberamente apprezzata in spregio al suo rango di prova legale, è stata inammissibilmente ibridata con una testimonianza.
Il motivo è infondato.
È vero che la quietanza sottoscritta ha l’efficacia di cui all’art. 2702 c.c., ma tale efficacia è limitata al titolo del pagamento (v. Cass. n. 19034/2024). Nel caso in esame, la quietanza porta la data del 3 marzo 2004 e ha il seguente tenore: ‘ il sottoscritto COGNOME NOMENOME titolare dell’impresa omonima appaltatrice dei lavori di costruzione di un fabbricato, sito in Buccino alla località San Paolo, ai sensi della l. 32/1992 … dichiara che il signor COGNOME NOME NOME di un’unità abi tativa e di un deposito … ha pagato per intero l’accollo di spesa scaturito dalla contabilità redatta dal direttore dei lavori ‘.
La domanda monitoria, come si legge a pag. 1 dell’atto introduttivo, aveva invece ad oggetto l’esecuzione di ‘lavori di finitura di un locale deposito di proprietà esclusiva del condomino COGNOME NOME, lavori non coperti dal contributo statale concesso ex legge 219/1981 e legge 32/1992 per la ricostruzione del fabbricato emettendo fattura n. 4/2007′. L’epoca di realizzazione dei lavori in oggetto è stata accertata dal giudice di merito e identificata nell’anno 2006 (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che la quietanza, di due anni precedente ed espressamente riferita al pagamento dell’accollo di spesa scaturito dalla contabilità del direttore dei lavori, non facesse riferimento ai lavori di finitura del locale deposito oggetto di causa, circostanza confermata dalla prova testimoniale (il teste COGNOME aveva infatti dichiarato che i lavori di finitura interna del locale deposito erano stati commissionati da COGNOME successivamente alla ultimazione dei lavori realizzati con il contributo statale).
Il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2907 c.c., 112, 633, 638, 125, 163, 164 e 167 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Si afferma che il preteso pagamento ineriva ai lavori relativi al deposito e non al garage e la fattura posta alla base del ricorso monitorio aveva ad oggetto lavori di finitura interna eseguiti nel vano deposito; in sede di primo accesso ai lavori disposto dal consulente tecnico d’ufficio, e quindi solo in grado d’appello, era sorta tra le parti discussione sull’unità immobiliare oggetto della controversia e il ricorrente aveva rilevato l’esistenza di due locali, uno posto al piano seminterrato e l’altro s ovrastante il precedente, e come dalle planimetrie del progetto approvato risultassero espressamente le destinazioni d’uso e le ubicazioni del garage al piano seminterrato e del deposito al piano terra; il consulente tecnico di controparte aveva dedotto che il vano oggetto di causa era il locale deposito posto al piano terra mentre, in deroga al principio della domanda, il giudice
d’appello ha ritenuto che il consulente d’ufficio abbia chiarito che il locale oggetto dei lavori è quello ubicato al piano seminterrato; solo alla parte spetta determinare il contenuto della domanda, cosicché la Corte d’appello, avendo fatto riferimento a l locale seminterrato e non al locale del piano terra, ha violato il principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello non ha violato il principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, essendosi limitata a chiarire, sulla base delle indagini svolte dal consulente tecnico d’ufficio, che il locale oggetto dei la vori era quello ubicato al piano seminterrato del fabbricato condominiale, motivando tale convincimento con la coincidenza tra le categorie di opere, la misurazione presente nel computo metrico in atti e le caratteristiche tipologiche e di consistenza del locale.
Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2907, 1657 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione ai nn. 3, 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Si evidenzia che per talune categorie di lavori sono stati applicati prezzi unitari maggiori di quelli chiesti dall’appaltatore, in violazione dell’art. 2907 c.c., 112 c.p.c. e 1657 c.c.; se i prezzi indicati nel computo metrico prodotto dall’appaltatore sono minori di qu elli previsti dalla tariffa vanno applicati i minori prezzi da lui pretesi in ossequio al principio della domanda; il consulente d’ufficio sulla questione aveva sostenuto che non è corretto utilizzare passivamente per le valutazioni di merito i prezzi risultanti dal computo metrico COGNOME, dal momento che il medesimo aveva ricevuto incarico di procedere a una quantificazione delle opere eseguite da COGNOME, con lo specifico compito di verificare l’attendibilità del computo metrico; la Corte d’appello ha omesso l’esame della rilevante questione.
Anche questo motivo è privo di fondamento.
Con la domanda monitoria il COGNOME aveva chiesto la condanna del ricorrente a pagare la somma complessiva di 4.646,28 euro. La Corte d’appello ha accolto per quanto di ragione la domanda, condannando il ricorrente al pagamento di un importo inferiore, ossia euro 3.667,27 oltre IVA, non riconoscendo, perciò, alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un importo superiore a quello da lei richiesto. Va poi considerato che la Corte d’appello ha precisato sul punto che l’epoca di realizzazione dei lavori oggetto del processo risale al l’anno 2006, cosicché correttamente le opere sono state contabilizzate utilizzando il prezzario della Regione Campania per l’anno 2006.
5) Il quinto motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1, lett. c, del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 2, comma 1, lett. e) ed f), della legge della Regione Campania n. 29/2001, dell’art. 29 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 1346 c.c. e dell’art. 1418 c.c., in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.
Si rappresenta che il progetto predisposto ai sensi della legge n. 219/1981, approvato dal Comune, era stato modificato con l’esecuzione di lavori di demolizione del tramezzo posto a delimitazione del vuoto tecnico nonché di ricostruzione onde delimitare il locale garage, il che era stato confermato dal testimone COGNOME; tali lavori, che avevano riguardato l’inglobamento del volume tecnico e l’esecuzione in esso dei lavori che comporta vano incremento di volume e di superficie nonché mutamento di destinazione d’uso, avrebbero dovuto essere subordinati al permesso di costruire e all’appaltatore incombeva l’ob bligo di verificarne la conformità alla normativa urbanistica; il ricorrente ha quindi eccepito la nullità del contratto d’appalto per i lavori per cui è causa e, conseguentemente, che l’appaltatore non ha diritto al compenso preteso; la Corte d’appello ha invece ritenuto infondato tale assunto, in quanto i lavori in esame avevano riguardato le sole finiture interne del locale e non vi era prova in atti che la dedotta difformità al progetto assentito fosse stata realizzata con
l’esecuzione dei lavori in questione; l’affermazione della Corte è errata in quanto deve ritenersi illecita ogni altra opera costruita non compresa nel contratto d’appalto e non assentita dall’atto amministrativo.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha accertato che i lavori in esame hanno riguardato le sole finiture interne del locale, finiture che non necessitano di autorizzazioni, e che non vi era prova che la dedotta difformità al progetto, concernente l’inglobamento di un vuoto tecnico, sia stata realizzata con l’esecuzione dei lavori in questione. L’accertamento della Corte d’appello è contestato dal ricorrente sulla base di valutazioni di elementi della relazione del consulente tecnico d’ufficio e della dichiarazione del test imone COGNOME: si chiede, quindi, a questa Corte una inammissibile rival utazione dell’accertamento in fatto posto in essere dal giudice di merito, che l’ha appunto portato a ritenere provato che i lavori oggetto del processo abbiano riguardato solo finiture interne del locale e non provato, invece, che la dedotta difformità al progetto sia stata realizzata con l’esecuzione dei suddetti lavori.
6) Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., in quanto la condanna al pagamento di una somma minore, euro 3.667,27, rispetto a quella pretesa di euro 4.646,28 avrebbe dovuto comportare la compensazione parziale delle spese di entrambi i gradi di giudizio e della consulenza d’ufficio, cosicché ha errato la Corte d’appello a condannare il ricorrente al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio e della consulenza te cnica d’ufficio.
Il motivo non può essere accolto.
Le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che ‘in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza
di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.’ (in tal senso Cass., sez. un., n. 32061/2022), compensazione che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito disporre (v., per tutte, Cass. n. 11329/2019).
In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Va accolta la richiesta del controricorrente di condannare il ricorrente per responsabilità aggravata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.
Come ha precisato questa Corte, la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96, terzo comma c.p.c., va disposta ‘nel caso di insistenza colpevole in tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice, ovvero in censure della sentenza impugnata la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata dall’appellante in modo da evitare il gravame, nonché in ipotesi di abuso del processo, di proposizione di una impugnazione dai contenuti estremamente distanti dal diritto vivente e dai precetti del codice di rito e, ancora, in ipotesi di errori grossolani nella redazione dell’impugnazione’ (cfr. in tal senso Cass. n. 34429/2024).
Nel caso in esame, la tesi del ricorrente, secondo la quale la quietanza comprendeva i lavori oggetto della domanda monitoria, è stata ritenuta manifestamente infondata dal giudice d’appello sulla base del tenore letterale degli atti (in particolare della quietanza e del ricorso monitorio), nonché della testimonianza assunta, cosicché la riproposizione della tesi nel presente giudizio va considerata insistenza colpevole e va, pertanto, sanzionata ai sensi del citato
terzo comma dell’art. 96 c.p.c. , con condanna al pagamento dell’ulteriore somma pure specifica ta in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, nonché al pagamento, sempre in favore del controricorrente, di euro 1.000,00 ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla pubblica udienza della sezione seconda civile, in data 16 ottobre 2025.
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME