Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21378 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21378 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31780/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrenti-
contro
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME domicilio telematico PEC: EMAIL-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 509/2020 depositata il 17/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME aveva agito quale appaltatore nei confronti dei committenti NOME COGNOME e NOME COGNOME per il pagamento del residuo dovutogli per l’esecuzione di un intervento edile, che si prospettava non portato a termine per fatto ascrivibile alle controparti le quali non avrebbero adempiuto regolarmente ai versamenti concordati. I convenuti si erano costituiti contestando la pretesa azionata e chiedendo in via riconvenzionale la corresponsione della penale da ritardo pattuita, per essere stati i lavori eseguiti in ritardo.
Il Tribunale di Terni aveva respinto tutte le domande proposte, rilevando che i committenti risultavano aver pagato più del valore delle opere effettivamente realizzate, tenuto conto dell’identificazione di queste in base alla consulenza tecnica d’ufficio -che aveva quantificato il valore delle opere in € 283.067,63, oltre IVA e oltre € 6.190,83 per il canone di occupazione di suolo pubblico – e delle quietanze prodotte dai convenuti ammontanti a € 322.928,76 -, non disconosciute dall’attore.
Aveva proposto appello NOME COGNOME chiedendo il pagamento della somma residua di € 37.565,22, che riteneva gli fosse ancora dovuta: egli non aveva mai ammesso di aver ricevuto dalle controparti € 322.928,76 ma solo la minor somma di € 280.000,00, e riteneva pertanto di aver diritto alla differenza ancora dovutagli, secondo i calcoli operati dal CTU.
Costituitosi il contraddittorio senza proposizione di appello incidentale, la Corte d’Appello di Perugia aveva accolto l’impugnazione, così motivando: -il confronto tra i documenti prodotti ‘ con la citazione e quelli prodotti con la memoria da parte dei convenuti ‘ rendeva evidente che si trattava, almeno in parte, delle stesse quietanze che, pertanto, non potevano essere sommate tra loro (anzi, la somma delle quietanze prodotte in originale era pari a soli € 110.000,00, inferiore a quanto riconosciuto dall’appellante); NOME COGNOME aveva sì riconosciuto le firme sulle quietanze esibitegli nel corso dell’interrogatorio (libero e non formale) ma non aveva mai riconosciuto l’importo di € 322.000,00 come corrispondente a quanto percepito; ‘ quindi in favore dei convenuti non possono essere riconosciute somme superiori a quelle ammesse dallo stesso attore (attuale appellante) pari ad euro 280.000,00, non avendo essi provato di aver corrisposto somme superiori ‘.
Propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative delle rispettive tesi difensive.
RAGIONI DELLA DECISIONE
il primo motivo NOME COGNOME e NOME COGNOME lamentano ‘l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla produzione documentale della originaria parte convenuta nel giudizio in primo grado, attuale ricorrente, dalla quale emerge il pagamento di euro 322.928,76, in relazione all’art.360 n.5 c.p.c.’
I ricorrenti avrebbero allegato, inizialmente in copia, con la comparsa di risposta, e poi in originale, con le memorie ex art.183 comma VI n.2 c.p.c. -come sarebbe attestato dall’indicazione del depositato apposta dalla cancelleria, in data 8.6.2021, in calce all’elenco dei documenti del fascicolo di parte di primo grado -, certificati e ricevute di pagamento che si affermano tutti quietanzati dalla controparte -riportati in
copia nel corpo del ricorso- attestanti pagamenti per un importo superiore a quanto ammesso da NOME COGNOME. La sommatoria degli importi risultanti da tutti i documenti prodotti darebbe l’importo complessivo di € 322.928,76. NOME COGNOME non avrebbe disconosciuto alcuno dei documenti prodotti anzi in sede di interrogatorio libero egli avrebbe dichiarato espressamente di non disconoscere le sottoscrizioni dei documenti di cui si discute. Il Tribunale, tenuto conto dell’assenza di disconoscimento, effettuati gli ‘opportuni calcoli’ e considerato l’ammontare dei lavori eseguiti quantificato dal CTU, avrebbe respinto la domanda di controparte sul presupposto che avesse ottenuto anche più del dovuto. Ora, dalla sommatoria di tutti i documenti quietanzati, non disconosciuti, emergerebbe il pagamento dell’importo complessivo indicato e ciò renderebbe illogico il percorso argomentativo seguito dal Giudice d’Appello che, anziché tenere conto della somma indicata, affermerebbe che il confronto tra i documenti prodotti con la citazione e quelli prodotti con la memoria da parte dei convenuti renderebbe evidente che si tratti, almeno in gran parte, delle stesse quietanze, per di più prodotte in originale per soli € 110.000,00.
Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe così omesso la considerazione di un fatto storico, costituito dai documenti non disconosciuti, discusso e decisivo, e avrebbe altresì erroneamente apprezzato la prova ‘legale’ costituita dalle quietanze non disconosciute, fondando la sua decisione su una motivazione solo apparente.
Il motivo in esame è infondato.
Si premette che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo perché, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Ne consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, anche se la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n.17005/24, n.27415/18 e S.U. n.8053/14; cfr. ancora, di recente, Cass. n.2961/2025).
Ora, anche a voler considerare come unico fatto storico decisivo il contenuto di tutti i documenti prodotti qualificabili come ‘quietanza’, nella sentenza impugnata non vi è traccia dell’omissione lamentata: la Corte di merito ha infatti espressamente fatto riferimento ai documenti prodotti sia dai ricorrenti che da NOME COGNOME, valutandoli e ritenendo che essi siano ‘almeno in gran parte’ le ‘stesse quietanze’, con esclusione conseguente della possibilità della loro sommatoria.
Come si vede i documenti sono stati esaminati e valutati dal Giudice d’Appello, senza disconoscerne il contenuto di ‘quietanza’ ma ritenendo che la sovrapposizione
di parte delle produzioni dell’appellante appaltatore alle produzione degli appellati committenti dovesse essere considerata ai fini della quantificazione dell’effettivo versato al primo da parte dei secondi: la valorizzazione dell’entità dell’importo che la Corte afferma sia stato riconosciuto da NOME COGNOME è correlata all’interpretazione del materiale probatorio documentale esposta perché rappresenterebbe il limite oltre il quale, in assenza di un riscontro emergente dalle quietanze considerate come detto sopra, non sarebbe possibile riconoscere l’effettività dei pagamenti ricevuti.
Non vi è stata pertanto omissione della verifica del contenuto dei documentiquietanza prodotti, né la decisione sul punto si può affermare solo apparente, perché si svolge attraverso un ragionamento comprensibile che prende a riferimento il materiale probatorio acquisito. Le critiche che i ricorrenti rivolgono alla pronuncia di appello con il motivo sub iudice vanno quindi a colpire l’interpretazione e valutazione delle prove operata dalla Corte di merito, alla quale vorrebbero sostituire la loro ricostruzione alternativa chiedendo al Giudice di legittimità di intervenire in un ambito puramente meritale che gli è precluso.
il secondo motivo i ricorrenti si dolgono della ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art.2697 c.c. in combinato disposto con gli art.1199, 2702, 2733 comma 2 e 2735 comma 1 c.c., in relazione all’art.360 co 1 n.3 c.p.c.’
La Corte di merito avrebbe violato il disposto dell’art.2697 c.c. nel momento in cui avrebbe omesso di esaminare tutte le prove documentali prodotte dai ricorrenti (quietanze), senza tenere conto che la quietanza -non disconosciuta- vale come confessione stragiudiziale ex art.2733 e 2735 c.c., senza apprezzamento libero, e solleva il debitore ‘ dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso ‘.
Anche questo motivo è infondato.
La Corte non ha violato il disposto dell’art.2697 c.c. errando nell’identificazione degli oneri probatori è effettivamente onere del debitore provare l’esistenza ed entità degli importi versati, in acconto o in totale estinzione del debito, a chi si prospetta creditore-, ma ha ritenuto provato il versamento da parte dei ricorrenti del solo importo di € 280.000,00.
Non si possono considerare violati nemmeno gli art.1199 e 2702 c.c., non avendo la Corte messo in dubbio la legittimità e la valenza come quietanze dei documenti prodotti da entrambe le parti, nè gli art. 2733-2735 c.c., non avendo la Corte nemmeno considerato le quietanze in modo diverso da quanto emergente dalle norme richiamate -sulla valenza di confessione rivolta alla parte, di natura stragiudiziale, delle quietanze, cfr. ancora, di recente Cass. n.5945/2023- ma avendo effettuato una valutazione complessiva del materiale documentale all’esito della quale ha ritenuto parte di esse una duplicazione di altre, attraverso una valutazione meritale che (giusta o sbagliata che sia) non può essere riesaminata in sede di legittimità.
Non sono pertanto ipotizzabili nell’operato della Corte violazioni delle norme richiamate dai ricorrenti ma le doglianze articolate sono volte nella sostanza ad ottenere un riesame del materiale istruttorio di esclusiva pertinenza del Giudice di merito.
il terzo motivo NOME COGNOME e NOME COGNOME prospettano la ‘Violazione degli art.115 comma 1, 116 comma 1, 214 comma 1, 215 comma 1 n.2 c.p.c., nonché degli art.74 disp. att. c.p.c. in relazione all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c.’
Tutta la documentazione richiamata sarebbe stata tempestivamente e ritualmente depositata
Questo motivo rimane assorbito per il rigetto dei due precedentemente esaminati.
La Corte di merito non affronta in nessun punto della decisione la questione di una possibile tardività nella produzione dei documenti-quietanze, che esamina nel loro complesso ‘a prescindere’ dalla tempestività.
il quarto motivo di ricorso proposto i ricorrenti prospettano la nullità della sentenza con riferimento all’art.360 comma 1 n.4 c.p.c. per omessa pronuncia sulla richiesta da loro formulata, di condanna della controparte ex art.96 c.p.c.
La Corte avrebbe radicalmente omesso di pronunciare sulla domanda ex art.96 c.p.c., nonostante la condotta abusiva di parte appellante.
Anche questo motivo è all’evidenza assorbito dal rigetto dei primi due, non potendosi porre una questione di responsabilità ex art.96 c.p.c. nei confronti della parte vittoriosa.
conclusione, debbono essere respinti i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo e del quarto.
spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, si pongono a carico dei ricorrenti.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a carico dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione respinge il ricorso.
Condanna NOME COGNOME ed NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità a favore di NOME COGNOME liquidandole in € 2.800,00 oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati;
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.