Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8688 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 8688 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9937/2020 R.G. proposto da:
NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE di SIRACUSA, NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1926/2019 depositata il 6/9/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/3/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo di dichiararsi la cessazione della materia del contendere con integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio;
udito per la ricorrente l ‘ AVV_NOTAIO:
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1926/2019, ha respinto appello proposto da NOME COGNOME avverso sentenza del Tribunale di Siracusa n. 613/2015, che aveva rigettato sia una domanda di querela di falso in relazione al verbale di un accertamento riguardante una veranda eseguito presso l’abitazione attorea, sia una domanda di accertamento della illegittimità dell’ordinanza comunale di demolizione di tale veranda emessa in data 17/18 dicembre 2009, sia una domanda di risarcimento dei danni, domande tutte proposte da NOME COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di Siracusa, di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME; condannava quindi l’appellante a rifondere le spese al RAGIONE_SOCIALE e al COGNOME, gli altri appellati essendo rimasti contumaci.
NOME COGNOME ha proposto ricorso, articolato in cinque motivi.
Nessuno degli intimati si è difeso.
In data 24 marzo 2023 la ricorrente ha depositato atto di richiesta ‘di dichiarare cessata la materia del contendere ‘ ma ‘ altresì di valutare la questione della responsabilità delle spese processuali, sotto il profilo della soccombenza virtuale,
ai fini della revoca delle condanne alle spese a carico dell’attuale ricorrente ‘ per le sentenze di primo e di secondo grado ‘ ed ai fini della condanna alle spese di tutte le parti resistenti/intimate di tutti e tre i gradi di giudizio in favore della ricorrente ‘.
Il 24 settembre 2023 la ricorrente ha depositato memoria, insistendo in sostanza per quanto chiesto nell’atto del 24 marzo 2023.
La causa, chiamata all’adunanza camerale del 6 ottobre 2023, con ordinanza interlocutoria del 4 dicembre 2023 è stata rimessa in pubblica udienza, tenuta il 25 marzo 2024, dopo rituale deposito di memoria da parte del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e di ulteriore memoria da parte della ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il primo motivo denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 115, 183, 189 e 221 c.p.c., violazione del diritto alla prova e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonché nullità del procedimento.
Si rileva che il giudice d’appello ‘ sostiene che la parte attrice non avrebbe reiterato la sua richiesta di prove testimoniali all’udienza di precisazione delle conclusioni ‘ , da intendersi l’udienza di precisazione del giudizio di primo grado. In tale udienza il difensore attoreo ‘ non risulta presente … perché … arrivò in ritardo ‘ ; peraltro il G.I. lo avrebbe rassicurato che questo non gli avrebbe procurato alcuna decadenza.
Nell’udienza di precisazione delle conclusioni del secondo grado lo stesso difensore sarebbe stato presente e non si sarebbe formata alcuna decadenza, dandosi infatti ‘ per sottointeso ‘ che tutte le precedenti richieste erano state reiterate come all’origine. Si invoca al riguardo Cass. 5018/2014, per cui in caso di assenza della parte all’udienza di precisazione delle conclusioni valgono le conclusioni formulate in precedenza.
4. Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 115, 183 e 189
c.p.c., violazione del diritto alla prova e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonché nullità del procedimento.
La sentenza d’appello ha rigettato la domanda di querela di falso sulle misurazioni e sulla descrizione della veranda installata nell’appartamento di NOME, dichiarando in sintesi che l’errore da un lato sarebbe evidente e dall’altro lato irrilevante per l’aggiunta dell’avverbio ‘ circa ‘ . In tal modo avrebbe disatteso la giurisprudenza di legittimità, sia quella che distingue tra situazioni dinamiche e statiche – che comportano distinzione tra possibili errori valutativi/percettivi e situazioni che non li comportano in quanto statiche -, sia quella per cui il querelante di falso non è assoggettato ad alcun limite di prova. Nel caso in esame, infatti, si tratterebbe di un’azione di mero accertamento, il cui petitum non potrebbe dunque essere disatteso, come invece avrebbe fatto il giudice d’appello ‘ affermando che si tratti di errori irrilevanti o evidenti, o che consistano in mere valutazioni ‘, così non tenendo conto dell’interesse ad agire.
Nell’atto d’appello si sarebbe rimarcato che ‘ il concetto di rilevanza o irrilevanza del falso attiene soltanto ai procedimenti incidentali ‘ , e che SS.U.U. 17355/2009 e 12545/1992 distinguono tra fatti dinamici e fatti statici; per questi ultimi ‘ non si possono avere margini di errore e quindi di apprezzamento soggettivo ‘ . Nel caso de quo i verbalizzanti avrebbero descritto l’immobile con dati erronei, come dimostrerebbero pure ‘ una CTU del 1971 ‘ e una perizia di parte. Sarebbe stata chiesta una consulenza tecnica d’ufficio, però ‘ negata con la motivazione o che si tratti di dati irrilevanti o che si tratti di valutazioni soggettive ‘. In questo modo sarebbero stati violati i principi del diritto alla prova, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, della libertà delle prove in materia di querela di falso, del diritto di azione all’accertamento di circostanze comunque divergenti rispetto a quelle contenute negli atti pubblici impugnati.
Nell’articolo 221, primo comma, c.p.c. si rinviene poi l’inciso: ‘ finché la verità del documento non sia accertata con sentenza passata in giudicato ‘ . Dunque la legge prevederebbe quale finalità precisa l’accertamento della verità di quanto affermato dal pubblico ufficiale. La ricorrente, d’altronde, avrebbe diritto ad
ottenere tale accertamento ai fini dell’eventuale sanatoria, soprattutto essendo la veranda ‘ preesistente alla legge del 1971 applicata dal RAGIONE_SOCIALE Siracusa ‘.
Si argomenta inoltre avverso un passo della motivazione della sentenza impugnata per cui la doglianza presente in appello relativa alla descrizione dell’alluminio preverniciato (come utilizzato per la veranda) e all’uso di ripostiglio della veranda sarebbe stata inammissibile per difetto di specifica contestazione dell’affermazione del primo giudice nel senso che si trattava di mere valutazioni. Si riporta un passo dell’atto d’appello per dimostrarvi la sussistenza dell’asserto che ‘ la contestazione in merito alla presunta valutazione fatta dai p.u. è del tutto errata ‘.
Il terzo motivo, in relazione all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., denuncia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112 (sulla corrispondenza tra chiesto e pronunciato), 103, 104, 277, 279 c.p.c., 59 l. 69/2009 sulla translatio iudicii , nullità processuale, contraddittorietà insanabile della motivazione, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 132, 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.
Non si comprenderebbe ‘ l’affermazione che in pratica la querela di falso sarebbe inammissibile ‘ -ritenendo tali anche ‘ l’azione risarcitoria e l’azione di accertamento dell’illegittimità ‘ -e neppure perché l’inammissibilità della querela di falso dovrebbe far cadere le altre azioni esercitate, non venendo individuata ‘ quale ragione ostativa sussiste ancora all’esame delle altre domande ‘. Pertanto ricorrerebbe ‘ denegata giustizia sia sulla querela di falso sia sull’accertamento di illegittimità ‘, con conseguente violazione del diritto alla tutela giurisdizionale e ‘ all’accertamento dell’illegittimità amministrativa degli atti amministrativi (verbale e successiva ordinanza di demolizione) impugnati ‘.
Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 10 c.p.c. e nullità processuale.
Si argomenta sul valore delle azioni proposte, indicando € 5.200 per quella risarcitoria di danni morali/esistenziali e un valore inferiore a € 800 per la querela
di falso oppure al massimo anche per questa la somma di € 5200. Se ne deduce la contestazione sulla valutazione al riguardo compiuta da entrambi i giudici di merito e la conseguente eccessiva liquidazione delle spese processuali.
In particolare, a differenza di quel che afferma il giudice d’appello, non sarebbe mai esistita la fase istruttoria, non essendo state accolte le relative istanze.
Inoltre, il giudice d’appello avrebbe errato nel negare la compensazione o la riduzione delle spese di lite, pronunciando anzi una pesante condanna.
Il quinto motivo denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c. e nullità processuale per avere il giudice d’appello, pur accogliendo in parte il gravame riducendo le spese liquidate in primo grado a favore di NOME COGNOME, condannato l’appellante, attuale ricorrente, alla totale rifusione dalle spese processuali di secondo grado, contrastando con i principi di legittimità dettati da questa Suprema Corte per cui, in caso di accoglimento pur parziale, nei confronti della parte vincitrice non può essere pronunciata condanna alle spese neppure parzialmente.
Va anzitutto rilevato che l’atto con cui la ricorrente chiede dichiararsi la cessazione della materia del contendere genera l’obbligo di accertamento della soccombenza virtuale, perché espressamente si conclude chiedendo la condanna delle controparti a rifondere alla ricorrente le spese di lite di tutti e tre i gradi di giudizio.
Vagliando allora il ricorso ai fini di accertare su chi grava la soccombenza virtuale, si osserva che il primo motivo verte sulla mancata disposizione delle prove testimoniali per le ragioni ut supra riportate.
Si tratta di una censura evidentemente priva di autosufficienza – il che assorbe ogni altro profilo – in quanto non sono stati riportati i capitoli di tali prove nel ricorso (la capitolazione non è rinvenibile persino nelle precisate conclusioni dell’appellante, attuale ricorrente, riportate nella sentenza impugnata).
Ne consegue inammissibilità.
10.1 Il secondo motivo, in sostanza, lamenta l’avere il giudice d’appello ritenuto errori irrilevanti quelli commessi dai verbalizzanti in ordine alle misurazioni e alla descrizione della veranda oggetto del verbale, opponendo che si sarebbe invece dovuto accertare la realtà in modo esatto, dal punto di vista dell’elemento soggettivo essendo sufficiente anche soltanto una colpa lieve. Questa argomentazione viene peraltro miscelata anche con elementi di fatto, e precisamente evocando il contenuto di esami peritali di cui uno -la ‘CTU del 1971′ – non è agevolmente individuabile.
Comunque gli errori del giudice d’appello nell’accertamento si concretizzerebbero nel non aver tratto conseguenza, in primo luogo, dall’ avere i verbalizzanti calcolato in modo erroneo i dati – della moltiplicazione 4,5 x 2,1 avevano indicato come risultato 12 anziché 9.45 metri quadri -e, in secondo luogo, dall’avere i verbalizzanti aggiunto l’avverbio ‘circa’, in tal modo ‘indicando valori approssimativi’.
Secondo la ricorrente, ciò si tradurrebbe in violazione e/o falsa applicazione degli articoli 112, 115, 183 e 189 c.p.c., violazione del diritto alla prova e del principio di corrispondenza chiesto/pronunciato e nullità del procedimento.
10.2 In realtà si tratta di una valutazione puramente fattuale compiuta dal giudice d’appello, che ha riconosciuto a questi elementi un’ assoluta irrilevanza in relazione al preteso falso, reputandoli sotto questo profilo dei dettagli inconsistenti.
La corte territoriale, invero, esaminando la seconda parte del quinto motivo di appello – in cui era stato sostenuto che l’errore che attribuiva alla superficie della veranda una misura di mq 12 anziché 8,36 (come aveva riassunto la stessa corte a pagina 5 della sentenza nella illustrazione della vicenda processuale) avrebbe costituito falso ideologico, e in cui era stata altresì criticata come approssimazione l’utilizzazione dell’avverbio ‘circa’ -, ha dichiarato che ‘la differenza fra le misure indicate nel verbale e quelle dedotte da parte appellante è veramente modesta, sicchè va esclusa una valutazione di falsità, tenuto conto
della natura approssimativa dell’accertamento, la cui finalità non imponeva, per la sua specifica natura, una particolare precisione’ (sentenza, pagina 10).
Anche questo motivo, dunque, incorre nella inammissibilità.
Il terzo motivo si duole del fatto che, una volta ritenuta insussistente la falsità oggetto dell’azione di querela di falso, il giudice d’appello ha ritenuto, come conseguenza, di non dover esaminare le altre due domande.
11.1 Premesso allora che la domanda risarcitoria, a ben guardare e nonostante quel che la Corte d’appello ha affermato sulla improponibilità di altre domande oltre alla querela di falso -su cui si vedrà infra -, così come era conformata è stata decisa implicitamente mediante il rigetto della domanda di querela di falso in quanto il danno indicato come da risarcire sarebbe derivato proprio dal preteso falso, la questione della omessa pronuncia rimane per la domanda di accertamento della illegittimità dell’ordinanza di demolizione n. 157/2009.
11.2 Il giudice d’appello, per sostenere il divieto della proposizione di ulteriori domande nel giudizio relativo alla querela di falso in via principale, si è riferito (trascrivendone anche, a pagina 8 della sentenza, il passo motivazionale da cui è stata estratta poi la massima) a Cass. sez. 1, 5 giugno 2006 n. 13190, così massimata: ‘ La querela di falso proposta in via principale dà luogo ad un giudizio autonomo volto ad accertare la falsità materiale di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata o riconosciuta, ovvero la divergenza, in un atto pubblico, fra la dichiarazione e gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti e quanto effettivamente avvenuto, al fine di paralizzarne l’efficacia probatoria. All’esito di siffatto giudizio, l’eventuale accertamento della falsità spiega i suoi effetti ” erga omnes “, e, quindi, oltre il limite del giudicato, senza, peraltro, che da tali effetti risulti esclusa la possibilità che al relativo giudizio partecipino tutti coloro che da esso potrebbero subire qualche effetto. In considerazione delle richiamate peculiarità, il giudizio introdotto con la querela di falso in via principale non tollera la proposizione di altre domande, nemmeno se dipendenti, nell’esito, dalla prima, e nemmeno se risarcitorie, per la cui definizione, del resto, non sarebbe
sufficiente l’affermazione della falsità del documento, essendo pur sempre necessaria una ulteriore indagine, volta ad individuare i soggetti tenuti al risarcimento e ad accertare la sussistenza del dolo o della colpa ‘ .
11.3 Non sono rinvenibili altre massime, ma effettivamente sussiste, stabile e compatta, questa linea ermeneutica, che ha eliminato le tracce d’ una interpretazione, per così dire, ‘generalista’ di tempi remoti, come Cass. 20 giugno 1951 n. 1631 (per cui nel giudizio includente la domanda di accertamento della falsità di un atto può essere chiesto anche il risarcimento del derivato danno) e Cass. 12 giugno 1962 n. 1457 (per cui l’articolo 227 c.p.c. esige il giudicato delle sentenze d’appello come presupposto della esecutività solo per la parte delle sentenze stesse che concerne i provvedimenti relativi al falso e quelli direttamente consequenziali come il risarcimento dei danni da tale falso generati).
Anteriormente a Cass. 13190/2006, significativa, per quanto concisa, è Cass. sez. 1, 27 luglio 1992 n. 9013 – massimata per un altro principio -, la quale afferma in motivazione che ‘la particolarità del giudizio di falso civile che ha per oggetto l’accertamento della falsità ai (limitati) fini della eliminazione del documento impugnato quale possibile strumento probatorio’ rende non proponibile l’azione risarcitoria che, infatti, ‘nel presente giudizio non era stata proposta’. E la coeva Cass. sez. 1, 11 dicembre 1992 n. 13122, massimata anch’essa per un altro principio, rigetta poi un motivo che lamentava il difetto di riunione di una causa relativa a querela di falso con la causa relativa al risarcimento dei derivati danni, riunione che era stata chiesta per connessione e pregiudizialità, nella motivazione affermando in sostanza che, trattandosi di domanda di querela di falso principale, è ‘causa del tutto autonoma rispetto alla prima e diretta esclusivamente ad accertare la verità dei docume nti sulla base della querela proposta’.
Cass. 13190/2006 si inserisce a questo punto nella sequenza, ed è successivamente confermata, con un’adesione non sorretta da argomentazion i, da Cass. sez. 6-2, ord. 17 luglio 2019 n. 19281 (massimata ancora per un
principio diverso) dichiarando non proponibili altre domande nella causa di querela di falso proposta in INDIRIZZO principale.
Uno spiraglio di apertura compare da ultimo nella – non massimata – Cass. sez.2, 2 novembre 2022 n. 32224, la quale aderisce, sempre senza darne motivazione di sostegno ma soltanto con il richiamo, a Cass. 13190/2006, ma aggiunge che, ‘una volta rimossa (com’è accaduto, attraverso la rinuncia alla querela, nel caso in esame) la causa che ne avrebbe imposto la declaratoria di inammissibilità, non v’è alcuna ragione per ritenere che le domande ulteriori che erano state proposte, in quanto inammissibili, siano rimaste definitivamente tali, risultando, per contro, sanate, con effetto ex tunc , per effetto della rinuncia alla querela e alla mancata pronuncia sulla stessa da parte del giudice, con la sopraggiunta realizzazione nel corso del processo di una situazione processuale del tutto sovrapponibile a quella che si sarebbe fisiologicamente verificata se tali domande fossero state correttamente introdotte senza essere accompagnate dalla proposizione in via principale della querela di falso’.
11.3 Nessuna consistente argomentazione che regga questa linea interpretativa si rinviene, in effetti, nelle pronunce invocate.
Osserva il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella sua accurata memoria orientata verso un revirement , che così viene escluso il cumulo soggettivo e/o oggettivo in base a due argomenti: la querela di falso suscita un giudizio autonomo per accertare la falsità di un documento al lo scopo di paralizzare l’efficacia probatoria e renderne inoperante ogni effetto giuridico; l’accertamento della falsità è erga omnes .
Si tratta, tuttavia, di asserti superabili.
È ovvio che, se non è incidentale, la querela di falso dà luogo ad un giudizio formalmente ‘pieno’ e indipendente. Ciò peraltro non significa che nel suo ambito non possano entrare anche altre domande, essendone prevista nel rito processuale -come si vedrà infra -una potenziale pluralità e la loro presenza non ledendo l’accertamento della sussistenza o meno del falso . Invero lo scopo di accertare la falsità per nulla contrasta con la loro ulteriore introduzione, la quale, al contrario, positivamente potenzia gli effetti di tale accertamento
facendoli subito ricadere sui petita di queste -in generale cioè delle domande risarcitorie, ma non solo: nel caso in esame, era stata proposta pure una domanda di accertamento della illegittimità dell’ordinanza di demolizione -, e così accelerandoli, in sintonia con i principi del giusto processo contrastanti con il frazionamento formalista di quel che può vagliarsi in un giudizio unico.
Vi è certo anche un interesse pubblico nel l’evitare il frazionamento, frazionamento che qui significa collocamento delle domande conseguenti in un altro giudizio, ponendo in essere, in realtà, un ‘ allontanamento ‘ cronologico : interesse pubblico che non vale meno di quello attuato con la pronuncia erga omnes di accertamento della falsità, quest’ultimo comunque non essendo affatto leso per la compresenza di altre domande, ben potendosi, in caso di difficoltà per gli ulteriori accertamenti che esse richiedono, pronunciare solo sulla querela rimettendo in istruttoria per completare la cognizione dell’ulteriore causa oppure, al limite, disporne ( subito o dopo: ‘ nel corso della istruzione o nella decisione ‘ ) la separazione in forza del combinato disposto degli articoli 104, secondo comma, e 103, secondo comma, c.p.c.
11.4 Sciogliendosi da un’ottica meramente tralatizia, emerge come apodittico l’argomento, richiamato nella impugnata pronuncia della corte territoriale e presente appunto nella motivazione di Cass. 13190/ 2006 (qui naturalmente più comprensibile che nella massima), con cui si sostiene che, per gli ‘ aspetti particolari ‘ del giudizio di querela di falso in via principale, oltre alla improponibilità delle altre domande dipendenti, patisce improponibilità persino quella che può definirsi la più ordinaria delle domande connesse, ovvero ‘un’azione risarcitoria, per la cui definizione del resto non è sufficiente l’affermazione della falsità del documento ma è necessaria pur sempre un’ulteriore indagine volta ad individuare i soggetti tenuti al risarcimento e ad accertare l’effettiva sussistenza del dolo o della colpa nonché del danno’.
Se il legislatore avesse ritenuto che la querela di falso fosse una domanda a tal punto peculiare e altresì comprimente nel suo accertamento da non poter ‘coabitare’ in un giudizio con un’istruttoria ad essa non pertinente, lo avrebbe stabilito ( ubi voluit dixit ). Al contrario -ed è proprio qui che inciampa, mediante
una silente omissione, l ‘ interpretazione tralatizia in esame – , tutto tace negli articoli specifici al riguardo (articoli 221 ss. c.p.c.) e nel sistema sussiste l’articolo 104 c.p.c., che non pone limiti del genere, onde la querela di falso ‘solitaria’ costituisce una disapplicazione di quest’ultimo articolo.
Per di più, non si vede in caso di compresenza della querela di falso in via principale con altre domande la necessità di una istruttoria peculiare e particolarmente gravosa, dal momento che, di solito, chi si è avvalso del documento falsificato -ponendo la base di un’altra domanda, risarcitoria o meno – non è necessariamente il soggetto che ha compiuto la falsificazione, la cui identificazione potrebbe davvero essere complessa; e l’elemento soggettivo , nel caso usuale della domanda risarcitoria, è agevolmente identificabile nella colpa. E infine, ut supra già si evidenziava, la compresenza non è irreversibile, perché, qualora nella concretezza non sia adeguato il simultaneus processus , è sempre possibile ricorrere alla separazione, per il combinato disposto degli articoli 104 cpv. e 103 cpv. c.p.c.
11.5 Si potrebbe opporre che sull ‘articolo 104 c.p.c., il cui tenore letterale si oppone evidentemente a questa interpretazione di ‘isolamento’ della domanda di querela di falso (ma ciò non appare fronteggiato nella relativa linea tralatizia) potrebbe gravare a sua volta una interpretazione, soprattutto dottrinale, sul piano generale assai restrittiva, venendo percepito come una norma di chiusura quanto alla compresenza di cause in un medesimo giudizio rispetto a una serie di norme specifiche – che così regolerebbero un c.d. cumulo oggettivo qualificato – come, per esempio, gli articoli 31, 34, 35 e 36 c.p.c.: l’articolo 104, infatti, in questa lettura viene inteso come regolante il c.d. cumulo oggettivo semplice, circoscritto ai casi in cui l’ unico elemento di correlazione giustificante la compresenza di più cause in un sol o giudizio sarebbe l’identità dei soggetti che sono parti in tali cause.
Interpretazione, questa, che a sua volta è stata seguita in modo tralatizio e non rapportandosi con il dictum letterale dell’articolo 104, primo comma, che dichiara proponibili contro la stessa parte nello stesso processo più domande ‘ anche non altrimenti connesse ‘. Se la volontà del legislatore fosse stata nel senso che
l’unico elemento di correlazione, per avvalersi dell’articolo 104 c.p.c., fossero le parti, inibendo la ricorrenza di ogni altro legame ontologico, l’avverbio focalizzante ‘ anche ‘ non sarebbe stato inserito, in un’ottica espressiva razionale . In effetti, una interpretazione incongrua talora può giungere ad estrarre proprio un significato opposto rispetto a quello perseguito dal legislatore; e nel caso in esame, sia l’interpretazione tradizionale dell’istituto della querela di falso, sia (pur tacitamente) l’ appena richiamata interpretazione dell’articolo 104 c.p.c. confluiscono nel diniego de ll’affiancamento alla domanda di querela di falso in via principale di altre domande rispetto alle quali è comunque pregiudiziale: ottica illogicamente restrittiva che nel testo normativo non trova un reale riscontro.
11.6 Invero, nella struttura processuale disegnata nel suo complesso dal codice di rito non vi è sostegno all’interpretazione che ‘isola’ la domanda di querela di falso in via principale da ogni altra domanda, sia in termini oggettivi, sia in termini soggettivi. E d’altronde un’ ermeneutica giurisprudenziale non può espletare la disapplicazione di una norma ictu oculi opposta al prospettato esito interpretativo quale l’articolo 104 c.p.c. entro un quadro sistemico in cui nessun principio generale in tale direzione sia evincibile, seguendo soltanto un -apodittico, a questo punto – criterio di astrazione dal rito ordinario della querela di falso nel senso di attribuirle una diversa natura rispetto alle altre domande. Criterio, questo (si nota meramente incidenter ), che potrebbe forse essere insorto per una certa contiguità dell’oggetto con l’accertamento penale del falso (cfr. infatti Cass 13122/1992, cit.), ove però è stato sempre consentito l’ingresso di un’azione risarcitoria mediante l’istituto della parte civile : ulteriore dato idoneo a smentire specificamente, quantomeno per le domande restitutorie e risarcitorie, la tralatizia interpretazione processualcivilistica che esclude l’affiancamento alla querela di falso di altre domande.
11.7 In conclusione, dovendosi applicare anche in presenza di querela di falso l’articolo 104 c.p.c. senza che emergano elementi specifici che lo inibiscano, il terzo motivo del ricorso in termini di accertamento virtuale va accolto, sulla base del seguente principio: nel giudizio avente ad oggetto querela di falso proposta
in via principale è ammissibile, ai sensi dell’articolo 104 c.p.c., la coeva proposizione da parte dell’attore nel medesimo giudizio di ulteriori domande nei confronti dello stesso convenuto .
Tale accoglimento conduce, assorbiti ictu oculi gli ultimi due motivi, a decidere sulle spese.
Alla rifusione delle spese – liquidate come da dispositivo – del presente grado alla ricorrente, essendo questa vittoriosa nei limiti sopra detti, devono essere condannati in solido tutti gli intimati. Riguardo ai due gradi di merito, considerata la vicenda giudiziale nel suo complesso si stima equo compensarle.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto di ragione, dichiara l’ammissibilità dell a domanda ulteriore rispetto alla querela di falso e condanna conseguentemente gli intimati, in solido, a rifondere le spese processuali del presente grado, liquidate in euro 8000, oltre euro 200 per esborsi e agli accessori di legge, compensando le spese processuali del primo e del secondo grado di giudizio.
Così deciso in Roma il 25 marzo 2024