Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5539 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5539 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO
U.P. 30/01/2024
Servitù
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO; ricorrente – contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella qualità -la seconda – di erede di COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di distinte procure speciali apposte su fogli materialmente allegati al controricorso, dall’AVV_NOTAIO e presso il suo studio elettivamente domiciliati, in Roma, INDIRIZZO;
–
contro
ricorrenti –
e
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali eredi di COGNOME NOME, COGNOME
NOME, COGNOME NOME, COGNOME BENIAMINO, COGNOME FILOMENA, COGNOME NOME e COGNOME NOME;
–
intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 1168/2018 (pubblicata il 24 luglio 2018);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2024 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
udito il P.G., in persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO, per i ricorrenti, e NOME COGNOME, per entrambi i controricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione regolarmente notificato nel maggio 1982, COGNOME NOME, acquirente per atto AVV_NOTAIO del 15.5.1978 di una torre denominata “Lama di cane” in agro di COGNOME, locINDIRIZZO d’Orso, agiva innanzi al Tribunale di Salerno in confessoria servitutis nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, proprietari di un fondo confinante tramite il quale si accedeva alla sovrastante INDIRIZZO, per l’accertamento della relativa servitù di passaggio; in subordine, domandava la costituzione di una servitù coattiva di passaggio e di via funicolare; in ipotesi ancor più subordinata agiva per l’evizione parziale e per il risarcimento dei danni nei confronti dei venditori, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ved. COGNOME.
A sostegno della domanda, l’attore deduceva la circostanza che nell’atto di vendita gli alienanti avevano dichiarato che per accedere alla strada provinciale si attraversava la proprietà COGNOME.
Tutti i convenuti resistevano in giudizio.
Dapprima con pronuncia non definitiva e poi con sentenza definitiva, entrambe rese nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche nella loro sopravvenuta qualità di eredi di COGNOME NOME, deceduta nelle more del giudizio, il Tribunale di Salerno rigettava la domanda proposta in via principale ed accoglieva solo quella subordinata di costituzione di servitù coattiva di passaggio pedonale nei confronti dei convenuti COGNOME, imponendo un’indennità di euro 5.164,57.
Provvedendo sull’impugnazione proposta dal COGNOME NOME, la Corte d’appello di Salerno – con sentenza n. 151/2008 -confermava la decisione di primo grado.
Osservava la Corte distrettuale che, sebbene non rinvenuti agli atti per la mancata produzione del fascicolo di primo grado dell’appellante, sia l’atto di vendita dal Comune di COGNOME a COGNOME NOME, dante causa dei convenuti COGNOME, sia quello col quale questi ultimi avevano alienato la torre al COGNOME, non consentivano di ritenere costituita alcuna servitù a carico del fondo dei COGNOME, rimasti estranei a ciascun atto. Né la circostanza che la vendita del 1947 dal Comune di COGNOME a COGNOME NOME recasse l’indicazione per cui alla torre si accedeva mediante un sentiero campestre attraversante la proprietà di terzi, dimostrava la costituzione iure imperii della servitù stessa, essendo necessario a tal fine un provvedimento amministrativo emesso in virtù di una disposizione di legge “che autorizzasse il vincolo”. Inoltre, la Corte territoriale escludeva la configurabilità dell’evizione, “non essendo stato il COGNOME evitto della pretesa servitù, in effetti, mai costituita”, e riteneva nuova, in quanto contenuta per
la prima volta nella comparsa conclusionale di primo grado, la domanda di risarcimento dei danni per non aver potuto l’attore installare una teleferica per il trasporto dei materiali occorrenti per la ristrutturazione della torre.
Per la cassazione della suddetta sentenza di appello COGNOME NOME propose ricorso, affidato a tre motivi. Resistettero con controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, mentre COGNOME NOME rimase intimato.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 14324/2014 accoglieva il secondo e terzo motivo (annullando con rinvio la decisione impugnata) relativi alla denuncia dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’asserita non configurabilità della garanzia per l’evizione e alla prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 1480, 1483 e 1484 c.c.
In sintesi, con la richiamata sentenza, la Corte di legittimità riteneva che nel caso in cui il motivo della parte riguardi la limitazione del godimento del bene ovvero l’imposizione di oneri a carico dell’agente, facendo tuttavia salva l’acquisizione patrimoniale, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1489 c.c. concernente i vizi della cosa venduta. In particolare, la Corte di cassazione affermava che non solo l’esistenza di servitù passive non dichiarate, ma anche l’inesistenza di servitù attive dichiarate dal venditore dovesse intendersi ricadente sotto la disciplina dell’art. 1489 c.c. estensivamente interpretato, che, oltre ai tipici rimedi sinallagmatici della risoluzione e della riduzione del prezzo, consente anche il solo risarcimento del danno.
In definitiva, in accoglimento del ricorso, con la citata sentenza di questa Corte n. 14324/2014, veniva
enunciato il seguente principio di diritto, al quale avrebbe dovuto uniformarsi il giudice di rinvio: ‘l’evizione totale o parziale si verifica solo quando l’acquirente sia privato in tutto o in parte del bene alienato, mentre nell’ipotesi in cui risulti inesistente la servitù attiva che il venditore abbia dichiarato nel contratto si determina la mancanza di una qualitas fundi , con conseguente applicazione dell’art. 1489 c.c., estensivamente interpretato, che, oltre ai tipici rimedi sinallagmatici della risoluzione e della riduzione del prezzo consente, anche il solo risarcimento danno”.
3. Con atto di citazione notificato il 22 giugno 2015 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, riassumevano la causa dinanzi alla Corte di appello di Salerno in diversa composizione, chiedendo, previa ricostruzione della vicenda processuale, di dichiarare, in via preliminare, che la servitù attiva sul fondo di proprietà dei COGNOME per accedere alla Torre sita in località ‘Capo d’Orso’ di COGNOME (denominata ‘Lama di cane’), ritenuta esistente, come da atto di compravendita per AVV_NOTAIO COGNOME del 13 maggio 1982, era risultata, viceversa, inesistente; quindi, di dichiarare la mancanza di qualitas fundi del cespite oggetto di vendita e l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1489 c.c., estensivamente interpretato, tale da consentire – in conformità alla pronuncia della Corte di cassazione – oltre alla risoluzione del contratto ovvero alla riduzione del prezzo, anche il solo risarcimento dei danno, con conseguente condanna dei convenuti COGNOME alla restituzione ed al risarcimento del danno, oltre alle spese di lite.
Si costituivano i soli COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME (quest’ultima quale erede di COGNOME
NOME), i quali, nella loro comparsa di risposta, eccepivano, in via preliminare, la prescrizione del diritto azionato dagli attori, l’inammissibilità di nuove domande, di nuovi documenti (in particolare di quelli indicati ai numeri 3 e 9 dell’atto di riassunzione) e di nuove prove; nel merito, deducevano la insussistenza della ‘qualitas fundi’ e del presupposto dichiarativo dell’esistenza della controversa servitù.
La Corte salernitana, decidendo in sede di rinvio con la sentenza n. 1168/2018 (pubblicata il 24 luglio 2018), previa dichiarazione della contumacia delle altre parti non costituite, rigettava la domanda di risarcimento danni formulata dai riassumenti, condannando gli stessi alla rifusione delle spese dei vari gradi di giudizio.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte di rinvio rilevava che, dovendo attenersi al su richiamato principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità, si prospettava necessario -in base all’interpretazione complessiva del contratto e non solo sulla scorta del senso letterale delle parole – valutare, se nel relativo contratto di compravendita, i venditori COGNOME avessero indotto in errore il COGNOME NOME in ordine all’esistenza di una servitù ma che tale non era, nel qual sol caso gli alienanti sarebbero stati tenuti al risarcimento del danno per violazione dell’art. 1489 c.c. .
In proposito, la Corte salernitana riteneva che dagli atti di causa, ovvero dal primo contratto di compravendita intercorso tra il Comune di COGNOME e COGNOME NOME del 4 settembre 1947 e dal contratto di compravendita poi concluso in data 15 maggio 1978 tra gli aventi causa del citato COGNOME (quali venditori) e il COGNOME NOME (nella qualità di acquirente), non potesse evincersi – ma
ciò nemmeno aliunde -l’intervenuta costituzione di una servitù a favore del fondo del COGNOME e ad a carico della proprietà dei COGNOME, con la quale il fondo di cui era causa confinava.
Il giudice di rinvio osservava, al riguardo, che dallo stesso contenuto del contratto di compravendita non solo non emergeva alcun titolo costitutivo di servitù o altro diritto a favore del fondo alienato ma la qualitas fundi non poteva neppure essere presupposta sulla scorta di una mera descrizione dei luoghi o di una clausola generica o di mero stile inserita nel contratto.
Né -aggiungeva il giudice di rinvio -poteva, in applicazione dell’art. 1489 c.c., ritenersi esistente una servitù di passaggio in quanto non vi erano opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio, ragion per cui, nel silenzio degli alienanti, non poteva rilevarsi che l’acquirente potesse essere stato indotto in errore, ritenendo che il fondo acquistato godesse di un diritto di servitù che, in realtà, non esisteva. Del resto, le stesse testimonianze rese nel corso del giudizio di primo grado avevano confermato che, sul posto, non vi era una strada, attraverso la quale si accedeva alla Torre, ma, in realtà, era presente un piccolo sentiero, della larghezza di circa 60 -70 cm, non agevole, e non, quindi, un vero e proprio tracciato che arrivava fino alla Torre stessa.
Avverso la suddetta sentenza emessa in sede di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME, NOME e NOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME.
Hanno resistito con un congiunto controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME (quest’ultima quale
erede di COGNOME NOME), mentre le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Le difese di entrambe le parti costituite hanno depositato memoria si sensi dell’art. 378 c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 1362 c.c., ritenendo che la Corte di rinvio aveva proceduto alla ricerca e all’individuazione della comune intenzione delle parti desumendola in aperto contrasto con il tenore letterale della clausola n. 1 del contratto di compravendita del 15 maggio 1978, senza apportare una valida argomentazione giuridica utile per rendere il dato testuale negoziale -dal quale si sarebbe dovuta evincere chiaramente la presenza della servitù attiva (non potendo ritenersi il riferimento a ‘tutte le servitù e diritti inerenti’ una mera clausola di stile) -recessivo a fronte di ulteriori clausole di segno contrario (art. 1363 c.c.) oppure anche a fronte del comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto (art. 1362, comma 2, c.c.).
Con la seconda censura, i ricorrenti hanno dedotto -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. per non aver il giudice di rinvio, con la ricostruzione dei fatti di causa, tenuto nella debita considerazione che il principio di diritto enunciato, con riguardo al caso di specie, dalla sentenza della Corte di cassazione si sarebbe dovuto ritenere fondato sulla circostanza di fatto (per l’appunto da considerarsi accertata dalla Corte di legittimità) dell’inesistenza della servitù attiva di passaggio dichiarata dai venditori nell’atto di vendita del 15 maggio 1978.
In altri termini, tale circostanza (riconducibile all’asserita esistenza della servitù attiva dichiarata dai venditori nel contratto) si sarebbe dovuta ritenere acquisita nel giudizio di riassunzione, avendo costituito il presupposto di fatto e di diritto per l’accoglimento del ricorso e per la correlata enunciazione del principio di diritto, con la conseguenza che il giudice di rinvio avrebbe dovuto solo procedere alla quantificazione del danno subito dai ricorrenti a fronte dell’affidamento ingenerato -con il citato atto di compravendita -dai COGNOME sull’esistenza, non corrispondente al vero, della servitù attiva di passaggio.
Con la terza doglianza, i ricorrenti hanno lamentato -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1073 e 1074 c.c., per aver la Corte di rinvio, al fine di escludere l’affidamento del loro dante causa sulla presenza della servitù attiva dichiarata in contratto, erroneamente ritenuto che tale diritto reale si dovesse ritenere inesistente, non essendo presente una strada ma un piccolo sentiero largo circa 60-70 cm non agevole e non tracciato fino alla torre, non avendo tenuto conto che anche un sentiero di tal fatta può configurare una servitù e che il relativo diritto non si estingue se non è decorso il termine ventennale di cui all’art. 1073 c.c.
Con il quarto ed ultimo motivo, i ricorrenti hanno denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. relativamente alla valutazione del materiale probatorio e della condotta processuale delle parti in riferimento al dato dirimente correlato alla volontà dei COGNOME, nella loro qualità di venditori, di voler provare nel giudizio di primo grado la
sussistenza della servitù attiva in favore della Torre oggetto di vendita al COGNOME NOME.
Osserva il collegio che -per ragioni di priorità logicogiuridica -deve essere esaminato per primo il secondo motivo, che attiene alla supposta mancata uniformazione della sentenza di rinvio al principio di diritto enunciato da questa Corte con la sentenza di cassazione n. 14324/2014 della precedente sentenza di appello.
Esso non è fondato.
Infatti, diversamente da quanto prospettato dai ricorrenti, la Corte di rinvio (v. pagg. 4-5 della motivazione della sentenza qui impugnata) non si è affatto discostata dal suddetto principio di diritto ma -proprio partendo da esso e sulla scorta dei motivi accolti inerenti un vizio di insufficiente motivazione (allora deducibile) e di violazione di legge -ha dovuto compiere gli accertamenti di fatto necessari per verificare la sussistenza, nel caso di specie, di una ipotesi di applicabilità dell’art. 1489 c.c. e, quindi, valutare i documenti di riferimento interpretandoli in base ai canoni ermeneutici codicistici congiuntamente alle altre risultanze probatorie.
Invero, dalla sentenza della Corte di cassazione presupposta, l’inesistenza della contestata servitù attiva di passaggio dichiarata dagli alienanti nell’atto di vendita del 15 maggio 1978 non solo non emergeva come circostanza di fatto da ritenersi già rimasta accertata all’esito del giudizio di legittimità, ma essa non rappresentava nemmeno ‘il presupposto di fatto’ giustificativo dell’accoglimento del ricorso per cassazione. In altri termini, la pronuncia della Corte di legittimità, ai fini dell’enunciazione del conseguente principio di diritto concernente le condizioni di applicabilità del citato art.
1489 c.c., implicava la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti di fatto (tanto è vero che proprio l’attività di interpretazione dei relativi atti ha costituito oggetto di critica con il primo motivo di ricorso) che avrebbero consentito di valutare l’applicabilità della citata norma, anche al fine di ottenere, eventualmente, solo o anche il risarcimento del danno da parte dell’acquirente.
La giurisprudenza di questa Corte (alla quale si è conformata la Corte di rinvio) è, infatti, concorde nel ritenere che, in tema di giudizio di rinvio, l’efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio opera solo con riferimento ai fatti che il principio di diritto enunciato presuppone come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito; in caso diverso, quando la cassazione avvenga sia per vizi di violazione di legge che per vizi di motivazione, essa non incide sul potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti, oggetto di discussione nelle precedenti fasi, non presupposti dal principio di diritto, ma anche, nei limiti in cui non si siano già verificate preclusioni processuali o decadenze, di accertarne di nuovi da apprezzare in concorso con quelli già oggetto di prova (cfr., ad es., Cass. n. 16660/2017, Cass. n. 22989/2018 e Cass. n. 10549/2020).
6. Il secondo motivo si profila inammissibile o, comunque, privo di fondamento.
Esso, infatti, impinge nel merito della valutazione che la Corte di rinvio ha correttamente (e, in ogni caso, del tutto plausibilmente) operato con riferimento all’interpretazione -in applicazione dei conferenti criteri ermeneutici applicabili nella specie -dell’atto pubblico di vendita del 15 maggio 1978 (e di quello presupposto del 4 settembre 1947), non rinvenendo nel suo contenuto la dichiarazione,
da parte dei venditori, dell’esistenza di una servitù attiva esistente ‘in loco’, e ciò in applicazione dei criteri previsti dagli artt. 1362, comma 1, e 1363 c.c. (avuto riguardo specificamente agli artt. 1 e 2 del medesimo contratto).
Per effetto della relativa attività interpretativa la Corte di rinvio ha, infatti, legittimamente ritenuto che il solo riferimento alla circostanza che l’accesso alla Torre dalla strada provinciale avvenisse tramite un sentiero attraversante la proprietà di terzi (oltretutto ‘non tracciato’ fino alla Torre stessa e non agevolmente praticabile, né in realtà effettivamente praticato, per quanto emerso dalle deposizioni testimoniali assunte) non poteva considerarsi assolutamente sufficiente a riscontrare l’esistenza di un vero e proprio passaggio, né la clausola di stile inserita nell’atto pubblico di vendita ‘con tutte le servitù e diritti inerenti’ poteva essere considerata idonea ad attestare effettivamente l’esistenza di un diritto di servitù in senso proprio (cfr., per tutte, Cass. n. 2465/2015 e Cass. n. 22363/2017, proprio con riguardo ad una fattispecie in cui era in discussione l’applicabilità dell’art. 1489 c.c.), in difetto di una sua precisa descrizione e dell’individuazione di un pregresso univoco atto costitutivo, e, in quanto tale, inidonea ad ingenerare nell’acquirente il ragionevole affidamento di aver acquistato il bene con la relativa servitù attiva di passaggio attraverso il fondo limitrofo.
Il quarto motivo -da esaminare ora nell’ordine della sequenza logico-giuridica delle questioni poste con le singole censure -è inammissibile, non evincendosi affatto i presupposti per l’emergenza di un’eventuale violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in applicazione del principio generale secondo cui il giudice di merito non è tenuto a
motivare in ordine ad ogni singolo elemento o apposita circostanza dedotti dalle parti e, in particolare, in relazione ad ogni singolo elemento probatorio (o, anche, solo potenzialmente tale) addotto a sostegno di una tesi difensiva, essendo bastevole che egli fondi la propria decisione di una serie di puntuali elementi ed un’analisi esaustiva del quadro probatorio offerto con la valutazione dei riscontri più adeguati ai fini del raggiungimento del suo convincimento, valutazione operata dalla Corte di rinvio in modo più che congruo.
In altri termini, i n tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (al di fuori dei casi in cui il giudice di merito non si sia conformato -nella sua valutazione -all’effetto giuridico propriamente scaturente da una prova legale).
Del resto, su un piano generale, è pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v., tra le tante, Cass. n. 1229/2019 e, da ultimo, Cass. n. 6774/2022).
Il terzo motivo è inammissibile.
Con esso si introduce una questione nuova attinente mediante la deduzione della violazione degli artt. 1073 e 1074 c.c. (riguardanti il regime dell’estinzione del diritto di servitù) -all’asserita configurabilità di un diritto di servitù su un mero sentiero, che tale sarebbe divenuto per una ipotetica trasformazione dello stato dei luoghi.
E’ evidente che la questione esula dal ‘thema decidendum’ della causa riguardante, in dipendenza della delimitazione conseguente alla sentenza di cassazione con rinvio, esclusivamente la questione se -nell’atto di trasferimento del 15 maggio 1978 -fosse stata omessa la dichiarazione, ad opera dei venditori, dell’esistenza di una già costituita (per titolo) servitù, tale da legittimare l’eventuale responsabilità in rapporto all’applicabilità dell’art. 1489 c.c., diritto di servitù, invece, così come ‘ab origine’ reclamato dal dante causa degli odierni ricorrenti, rimasto escluso in via definitiva per effetto della ravvisata infondatezza dell’ actio confessoria servitutis.
In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via solidale, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei termini di cui in dispositivo (tenendo conto delle tabelle
professionali temporalmente applicabili, della natura e del valore della controversia oltre che delle specifiche attività difensive esercitate, considerando che la difesa dei medesimi controricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.).
Non vi è, invece, luogo a provvedere sulle spese relative ai rapporti processuali instauratisi tra il ricorrente e le altre parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in via solidale, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e c.p.a., nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II