Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23768 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23768 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4929/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4389/2019, depositata il 27/06/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Società RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘) citava in giudizio davanti al Tribunale di Rieti NOME COGNOME chiedendo, in via principale, la risoluzione del contratto di compravendita immobiliare per mancanza di qualità essenziali del bene ai sensi dell’art. 1497 cod. civ., oltre al risarcimento per i danni subìti.
In particolare, COGNOME esponeva di aver acquistato un terreno da COGNOME in data 06.06.2011, munito di permesso di costruire rilasciato dal Comune di Rieti in data 05.11.2009, subentrando nella costruzione di un fabbricato bifamiliare e sostenendo i costi di urbanizzazione.
Successivamente all’atto, la parte acquirente constatava, però, la mancanza della fognatura comunale a cui allacciare gli scarichi del fabbricato.
1.1. Si costituiva in giudizio COGNOME chiedendo il rigetto dell’avversa domanda non essendovi alcun dubbio circa l’esistenza della rete fognaria pubblica come indicato nel progetto, anche se collocata in un punto diverso da quello indicato nella planimetria ivi allegata, evidenziando la mera necessità di ridefinire il tracciato di collegamento come indicato nel progetto aggiornato del 2012.
Chiedeva, altresì, la chiamata in garanzia del progettista NOME COGNOME e presentava domanda riconvenzionale per il rimborso degli oneri concessori che l’acquirente si era impegnata a pagare.
1.2. Il Tribunale di Rieti dichiarava risolto il contratto, respingendo la domanda risarcitoria e la domanda di garanzia nei confronti del COGNOME, ritenendo integrata una ipotesi di vendita di un bene privo delle qualità promesse ex 1497 cod. civ.
La decisione veniva impugnata dalla parte soccombente.
La Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame, rigettava la domanda originaria e accoglieva la riconvenzionale. In particolare, riteneva che il petitum della sentenza del Tribunale di Rieti non coincideva con la causa petendi ; sosteneva che il giudice di primo grado aveva errato nel ritenere che la domanda attorea avesse ad oggetto non l’esistenza tout court della rete, bensì quella diversa indicata nel progetto.
RAGIONE_SOCIALE ha promosso ricorso per la cassazione della suddetta pronuncia, affidato a cinque motivi.
Resistono con separati controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce nullità della decisione per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e del dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Ad avviso della ricorrente, la Corte d ‘Appello ha violato il principio di cui all’art. 112 cod. proc. civ. perché ha travisato il contenuto della domanda dell’attrice, individuando in maniera errata la causa petendi . In particolare, la società ricorrente afferma di non aver mai lamentato l’assoluta inesistenza della rete fognaria pubblica nella zona del lotto, bensì soltanto il collegamento della fogna al terreno. Sul punto, evidenzia che il progetto attesta falsamente la presenza della rete fognaria comunale, ma anche che la stessa fosse già collegata a quella del lotto venduto. Ed è proprio con riferimento all ‘assenza di tale collegamento che la ricorrente chiedeva la domanda di risoluzione per mancanza delle caratteristiche qualitative del bene venduto.
1.1. Il motivo è infondato.
Innanzitutto, non ha pregio l’argomento dell’asserita violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. prospettata nel mezzo di gravame. Secondo l’orientamento costante di questa Corte, peraltro richiamato dalla stessa ricorrente, sussiste vizio di «ultra» o «extra» petizione, ex art. 112 cod. proc. civ., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato ( ex plurimis , di recente: Cass. Sez. L, n. 5832 del 03.03.2021), o ancora emettendo pronuncia su domanda nuova quanto a causa petendi , che non si fondi su fatti ritualmente dedotti o acquisiti al processo (per tutte: Cass. n. 11289/2018).
Nel caso che ci occupa, il bene della vita chiesto dall’allora attrice ( petitum mediato ) era la risoluzione del contratto di compravendita del terreno edificatorio, e su tale petitum si è confrontata la Corte d’Appello (rigettando l’istanza). Anche gli elementi di fatto dedotti da parte attrice nel thema decidendum (diversa ubicazione della rete fognaria comunale, e necessità di individuare un tracciato di collegamento alternativo rispetto a quello erroneamente attestato nel progetto edificatorio) sono stati esaminati dalla Corte territoriale, dando tuttavia ad essi un rilievo diverso e secondario rispetto a quello riconosciuto dal giudice di prime cure e dagli odierni ricorrenti.
A tal proposito, è stato anche evidenziato da questa Corte che, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di norme giuridiche diverse da quelle invocate
dall’istante, come accaduto nel caso di specie (per tutte: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6533 del 12/03/2024, Rv. 670531 – 01).
A giudizio della Corte territoriale, quindi, l’atto di citazione e le conclusioni ivi contenute militerebbero nel senso che la doglianza riguardava direttamente l’inesistenza in loco dell’opera di urbanizzazione primaria costituita dalla rete fognaria pubblica, rendendo inservibile il lotto edificando (v. sentenza p. 4, 2° e 3° capoverso).
Su tale questione la Corte territoriale ha risposto: «… anche a voler ammettere che la società abbia voluto contestare l’esistenza di un tracciato diverso da quello esaminato in sede di approvazione del progetto …» , ed ha escluso la configurabilità nella fattispecie della mancanza delle qualità promesse del bene oggetto di compravendita, atteso che la diversità del tracciato originariamente previsto rispetto a quello in séguito modificato dall’architetto non ha comportat o conseguenze, né sul piano urbanist ico o sanitario, né sull’utilizzo e funzionalità dell’immobile in costruzione (v. sentenza p. 4, ultimo capoverso; p. 5, primi 5 righi).
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: art. 1497 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La Corte d’ Appello ha erroneamente ritenuto che le qualità promesse dalla venditrice in relazione alle fogne, indicate nel progetto ma mancanti di fatto, non influendo sulla funzionalità del bene e sul suo utilizzo, precludessero la risoluzione del contratto perché altrimenti surrogabili. Evidenzia che la realizzazione di un diverso tracciato sarebbe più onerosa ed incerta. La Corte di merito ha applicato al caso concreto non la disciplina relativa alla mancanza della qualità promesse dalla venditrice, bensì quella relativa alla mancanza
di qualità essenziali, facendo scorretta applicazione dell’art. 1497 cod. civ.
2.1. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale non ha rinvenuto i presupposti per l’applicazione dell’art. 1490 cod. civ. (mancanza di qualità essenziali), avendo escluso (come sopra anticipato) che la diversità del tracciato originariamente previsto rispetto a quello in seguito modificato dall’architetto avesse comportato conseguenze sull’utilizzo e funzionalità dell’immobile in costruzione, atteso che l’allaccio era stato regolarmente assentito (v. sentenza p. 5, 3° rigo).
Si è in presenza di una diversa qualificazione giuridica, operata sulla base di accertamenti e valutazioni di fatto, rimessi (come sopra già evidenziato: punto 1.1.) al prudente apprezzamento del giudice, non sindacabile in questa sede in quanto scevro da incongruenze logico-giuridiche.
Con il terzo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ., per aver la Corte omesso di esaminare la circostanza che il lotto venduto era inserito in una zona di espansione e di nuova edificazione tale per cui, ogniqualvolta si debbano realizzare nuove costruzioni, deve essere attivato un piano di lottizzazione accompagnato da una serie di documentazioni, tra cui il titolo ab ilitativo che deve attestare l’esistenza nel lotto delle opere di urbanizzazione collegate funzionalmente alla rete pubblica. Mancando tale allaccio diretto, il permesso di costruire è nullo/illegittimo essendo stato rilasciato sulla base di questo erroneo presupposto. Pertanto, il bene venduto non risulta essere idoneo ad assolvere all’uso e alla funzione cui era destinato.
3.1. Il motivo, oltre che inammissibile in quanto prospetta una questione nuova, è anche infondato.
L’illegittimità del permesso a costruire esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico ( ex multis , con riferimento alla possibilità di acquisto per usucapione: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 25843 del 05/09/2023, Rv. 668969 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1395 del 19/01/2017, Rv. 642565 – 01). Pertanto, nel caso che ci occupa l’asserita illegittimità delle regolari autorizzazioni edilizie non influisce sui rapporti di natura privatistica, che devono essere qui limitati alle questioni in erenti l’utilizzo e la funzionalità del bene.
Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché degli artt. 342 e 343 cod. proc. civ. e del principio del tantum devolutum quantum appellatum : omessa pronuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.. Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello non ha analizzato l’appello incidentale promosso dalla Pegaso nel quale riproponeva la domanda principale di risoluzione del contratto per vendita di aliud pro alio , nonché la domanda di risoluzione ex 1490 cod. civ. per vizi della cosa venduta e domanda di risarcimento danni.
4.1. Anche il quarto motivo è infondato.
Accogliendo l’appello della venditrice, la Corte territoriale ha implicitamente rigettato l’appello incidentale proposto dall’odierna ricorrente. Tanto è vero per le domande di risoluzione fondate sull’ aliud pro alio e sui vizi della cosa ex art. 1490 cod. civ., per le ragioni esposte supra , punto 2.1.; a maggior ragione deve ritenersi implicitamente rigettata la domanda ex art. 96 cod. proc. civ., risultando parte appellante vincitrice, e non avendo evidentemente rinvenuto il giudice di seconde cure condotte processuali che determinano una violazione
delle regole del giusto processo e della sua ragionevole durata, ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. (sul principio per cui la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese di lite, ex multis di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12697 del 2024; Cass. Sez. U, n. 32061 del 31.10.2022; Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 -01).
5. Con il quinto motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 6, cost. per motivazione apparente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. Censura la ricorrente la parte della pronuncia di merito relativa all’accoglimento della domanda restitutoria degli oneri concessori formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, in quanto affetta da motivazione apparente, non indicando le ragioni fondative della restituzione, facendola dipendere dalla mancata risoluzione del contratto di compravendita; evidenziando, altresì, che nel contratto di compravendita la RAGIONE_SOCIALE non si è obbligata al pagamento degli oneri di urbanizzazione. In secondo luogo, viene affermata l’illegittimità della sentenza per omesso esame di un fatto decisivo, ossia il mancato versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE del l’intera somma degli oneri concessori, avendo versato solo € 3.111,99 a fronte dei 15.268,65 euro dovuti. Tale fatto appare decisivo per la società ricorrente in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe titolo alla restituzione delle sole somme effettivamente versate al comune e non certo di quelle che invece non ha versato. Condannare la Pegaso al pagamento di tutti gli oneri di urbanizzazione, compresi quelli non ancora versati dalla RAGIONE_SOCIALE, porterebbe al rischio della duplicazione degli esborsi.
5.1. Il quinto motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
La Corte territoriale ha riconosciuto in capo a Pegaso l’obbligo di restituzione della somma di €. 15.268,65, versati dalla venditrice al comune a titolo di oneri di urbanizzazione: pretesa che la convenuta aveva fatto valere in primo grado con domanda riconvenzionale, rispetto alla quale non risulta agli atti che la ricorrente abbia mai avanzato alcuna contestazione.
Deve, dunque, escludersi il vizio della motivazione apparente, che ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, di recente: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 -01; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061).
5.2. Infine, nel motivo la ricorrente sostiene che nel contratto di compravendita oggetto di causa la RAGIONE_SOCIALE non si è assunta alcun obbligo di pagare gli oneri concessori, come invece affermato in sentenza (p. 5, rigo 12), e che la venditrice avrebbe di fatto versato solo una parte di essi, dei quali rivendica la restituzione per l’intero .
Tali doglianze sono inammissibili in quanto implicano un accertamento in fatto, precluso in questa sede.
Il Collegio rileva, inoltre, il difetto di specificità delle suddette doglianze, ex art. 366, comma 1 n. 6) cod. proc. civ. che impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso,
la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).
6. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore di ciascun controricorrente, che liquida in €. 5.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 18 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME