Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16535 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16535 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
Oggetto
Impugnazioni civili -Ricorso per revocazione di ordinanza della Corte di cassazione
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 5420/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO (Studio dell’AVV_NOTAIO);
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME;
-intimata – avverso l’ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, n. 23355/2022, pubblicata il 26 luglio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’ordinanza qui impugnata per revocazione il tema di lite trattato viene così descritto:
« 1. Nel 1992 NOME COGNOME promise in vendita ad NOME COGNOME un immobile, concedendole contestualmente l’anticipato possesso di esso. L’affare non andò a buon fine e le parti si imputarono reciprocamente l’inadempimento del contratto preliminare.
Il Tribunale di Avellino con sentenza 1093/2000, decidendo sulle contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, dichiarò il contratto risolto per colpa della promittente venditrice NOME COGNOME, e la condannò alla restituzione della somma ricevuta a titolo di acconto.
Secondo quanto riterrà più tardi la Corte di cassazione, quando le pervenne l’esame del caso, la suddetta sentenza del Tribunale di Avellino conteneva l’implicita condanna anche di NOME COGNOME al rilascio dell’immobile (Cass. 30.10.2007 n. 22847) .
Passata in giudicato, per effetto della sentenza di legittimità appena ricordata, la condanna di NOME COGNOME alla restituzione dell’acconto sul prezzo della vendita non andata a buon fine, NOME COGNOME il 27 febbraio 2008 notificò precetto alla debitrice, intimandole il pagamento della somma di euro 43.715,75.
NOME COGNOME si oppose all’esecuzione ex articolo 615 c.p.c., chiedendo che il giudice dell’opposizione:
-) accertasse che la creditrice procedente deteneva illegittimamente l’immobile, e la condannasse alla restituzione;
-) condannasse la creditrice procedente al risarcimento del danno da illegittima detenzione dell’immobile e deterioramento dello stesso.
Il Tribunale di Nola, dinanzi al quale era stata proposta l’opposizione, con sentenza 1943/14 la dichiarò inammissibile.
La sentenza fu appellata dalla parte soccombente.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 1° agosto 2018 n.
3891, rigettò il gravame. A fondamento della decisione la Corte ritenne che:
-) correttamente il Tribunale aveva ritenuto inammissibile il motivo di opposizione con cui era chiesto l’accertamento della illegittimità della detenzione dell’immobile e la condanna al rilascio di esso, dal momento che l’opponente possedeva già un titolo esecutivo (rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Avellino sopra ricordata) di condanna della promissaria acquirente al rilascio dell’immobile;
-) l’opponente non poteva invocare, a fondamento del proprio rifiuto di adempiere l’obbligo di restituzione del prezzo, la mancata restituzione dell’immobile da parte della promissaria acquirente, perché l’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 146 0 c.c. era stata sollevata per la prima volta in appello, ed era quindi inammissibile;
-) infine, la Corte d’appello ritenne inammissibile il gravame nella parte in cui era volto a censurare la decisione di primo grado, là dove aveva ritenuto che l’eccezione di compensazione sollevata dall’opponente avrebbe dovuto essere proposta nel giudizio all’esito del quale si formò il titolo esecutivo.
Secondo la Corte d’appello tale motivo era inammissibile perché, a fondamento del giudizio di inammissibilità dell’opposizione, il Tribunale aveva adottato due diverse rationes decidendi : sia l’anteriorità del credito opposto in compensazione dall’opponente rispetto alla formazione del titolo esecutivo; sia l’indeterminatezza di esso. L’appellante, tuttavia, non aveva censurato tale ultima ratio decidendi» .
Tanto premesso, la RAGIONE_SOCIALE. ha dichiarato inammissibile per tardività il ricorso per cassazione che, avverso la detta sentenza d’appello, aveva proposto con tre motivi NOME COGNOME.
Ha infatti ritenuto che al giudizio, « in quanto avente ad oggetto una opposizione all’esecuzione », non fosse applicabile la sospensione
feriale dei termini processuali e che pertanto, trattandosi di sentenza d’appello pubblicata il 1° agosto 2018, il termine lungo per impugnare -nella specie pari ad un anno dovendo trovare applicazione ratione temporis l’art. 327 cod. proc. civ. nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 46, comma 17, della l. 18 giugno 2009, n. 69 -era venuto a scadere il 1° agosto 2019, mentre il ricorso per cassazione era stato consegnato per la notifica il 2 settembre 2019.
Tale ordinanza è stata impugnata da NOME COGNOME con ricorso per revocazione, in quanto asseritamente viziata da errore di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. ricadente nella falsa rappresentazione del contenuto dell’atto introduttivo del giudizio che ha portato la RAGIONE_SOCIALE a ritenere, contrariamente al vero, che esso avesse ad oggetto solo una opposizione all’esecuzione, mentre invece con esso erano state proposte anche altre domande, cumulate ex art. 104 c.p.c. e soggette alla sospensione feriale, per il che tale sospensione avrebbe dovuto ritenersi applicabile all’intero giudizio.
L’intimata, NOME COGNOME, non ha svolto difese nella presente sede.
in data 18 luglio 2023 è stata comunicata al difensore della ricorrente proposta di definizione anticipata, ex art. 380bis cod. proc. civ. (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022, applicabile al ricorso ai sensi dell’art. 3 5, comma 6, di esso), con pronuncia di inammissibilità, sulla base della seguente motivazione:
« Il ricorso presenta profili di inammissibilità per tardività: avverso un provvedimento conclusivo di opposizione esecutiva anche il termine di sei mesi per proporre il rimedio straordinario della revocazione deve intendersi, come tutti i termini di quel processo, esente dalla sospensione feriale (su tale esenzione in generale, v., ex multis : Cass. n. 22484/2014; Cass. n. 20354/2020).
Al contrario, la ricorrente ha notificato l’atto il 24/02/2023 e dunque oltre il termine semestrale previsto dall’art. 391 -bis cod. proc. civ. ».
In data 10 agosto 2023 è stata depositata rituale e tempestiva « istanza ex art. 380bis , secondo comma, c.p.c. », corredata da « nuova » procura.
6 . È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la menzionata istanza ex art. 380bis , comma secondo, cod. proc. civ., parte ricorrente osserva che la proposta di definizione anticipata « non appare attinente alla fattispecie che è del tutto avulsa da quelle oggetto della richiamata giurisprudenza formatasi rispetto a domande accessorie e dipendenti da quella principale di opposizione all’ esecuzione e per le quali, quindi, si è riconosciuta l’esclusione dalla sospensione feriale dei termini processuali. L’oggetto dell’atto introduttivo del giudizio è stato richiamato nel ricorso per revocazione ed è stato documentato mediante il deposito di copia di tale atto là dove si evince palesemente la sua estraneità alla fattispecie delle domande accessorie e dipendenti ».
Reputa il Collegio che la valutazione, espressa nella proposta, di inammissibilità per tardività del proposto ricorso per revocazione debba essere confermata.
Queste, in breve, le ragioni:
─ la qualificazione della domanda operata nella ordinanza impugnata come introduttiva di una opposizione all’esecuzione e la sua conseguente sottrazione alla sospensione dei termini per il periodo feriale costituisce passaggio logico necessario nel ragionamento che ha condotto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione come tale oggetto di giudicato vincolante tra le stesse parti in ogni altro giudizio in cui la questione della qualificazione della domanda venga a porsi, compreso quello presente di revocazione nel quale si deduca
l’erroneità, per asserito errore di fatto revocatorio, di quella stessa qualificazione: giudicato non impedito dalla pendenza del termine per la revocazione ex art. 391bis cod. proc. civ. (v. Cass. 05/12/2012, n. 21863; 03/01/2017, n. 63; 03/05/2019, n. 11737);
─ ne discende che, indipendentemente da ogni valutazione sulla ammissibilità e sulla fondatezza della tesi secondo cui quella qualificazione dovrebbe considerarsi errata e frutto di errore revocatorio, la stessa comunque restava determinante ai fini della individuazione del termine da osservare per proporre la relativa impugnazione straordinaria e, correlativamente, intanto quella tesi avrebbe potuto essere ammessa allo scrutinio revocatorio in quanto il relativo giudizio fosse stato ritualmente introdotto nel rispetto del termine conseguente a quella qualificazione.
In tal senso questa Corte ha già avuto modo di chiarire che « l’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così come qualificata dal giudice, anche nell’ipotesi in cui l’impugnante intenda allegare l’erroneità di tale qualificazione. Ne consegue che ove il tribunale qualifichi come opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. l’impugnazione del precetto fondato su un lodo arbitrale, il termine per appellare la relativa sentenza non è soggetto alla sospensione feriale di cui alla legge 7 ottobre 1969 n. 742 » (Cass. 13/01/2009, n. 475, Rv. 606041; v, anche Cass. 03/05/1974, n. 1237, Rv. 369292 – 01; Cass. 09/02/2009, n. 3192, Rv. 607026; 15/10/2010, n. 21363, Rv. 614792).
Tali considerazioni conducono dunque, in via assorbente, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, in piena conformità alla proposta.
Può comunque incidentalmente osservarsi che a diverso esito non avrebbe potuto giungersi quand’anche il ricorso per revocazione fosse stato tempestivamente proposto.
Con specifico riferimento alle sentenze (o ordinanze) della Suprema Corte, di cui si chiede la revocazione ex art. 391bis c.p.c., sono ampiamente acquisite nella giurisprudenza di questa Corte le affermazioni secondo cui l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4:
consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti;
non può concernere l’attività interpretativa e valutativa;
deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche;
deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l’errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso;
deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l’errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa (v. Cass. n. 35879 del 2022; n. 29634 del 2019; n. 12283 del 2004; n. 3652 del 2006; n. 10637 del 2007; n. 5075 del 2008; n. 22171 del 2010; n. 27094 del 2011; n. 4456 del 2015; n. 24355 del 2018; n. 26643 del 2018).
Nella specie, l’errore dedotto è chiaramente frutto di una tipica attività valutativa della Corte; diversamente da quanto postulato dalla ricorrente il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, nella sua consistenza testuale estrinseca, risulta esattamente rappresentato
nella parte narrativa della ordinanza, in termini esaustivi e corrispondenti a quelli indicati dalla odierna ricorrente; quel che essa attribuisce ad errore è piuttosto la sua qualificazione di atto volto a introdurre (esclusivamente) un giudizio di opposizione all’esecuzione, ma in tal modo altro non fa che prospettare un errore di giudizio, non di fatto.
Non avendo l’intimata svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese.
Ai sensi del terzo comma dell’art. 380bis cod. proc. civ. « la Corte … quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 ».
La genericità del rinvio alle dette disposizioni induce a ritenere che se ne debbano anche osservare i relativi presupposti, con la conseguenza che, per l’applicazione del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., non sarà sufficiente la sola decisione in conformità alla proposta ma sarà necessaria anche l’esistenza di una pronuncia sulle spese, nella specie, come detto, mancante per la mancata esplicazione di difesa in questa sede da parte dell’intimata.
Da tale presupposto, però, può e deve prescindersi per l’applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ..
Nonostante anche quest’ultima innovativa previsione sia in premessa ancorata alla ricorrenza dei casi di cui al primo, secondo e terzo comma dello stesso art. 96 e, dunque, supponga che la controparte sia ‘costituita’, nel caso in esame (ossia quello della decisione conforme alla proposta ex art. 380bis , terzo comma) appare consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si sostituisce quello previsto dallo stesso terzo comma dell’art. 380bis : vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta.
Ove si verifichi tale evenienza il terzo comma dell’art. 380bis prevede, infatti, senza mediazione di alcun’altra verifica, l’« applicazione » dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., utilizzando
una locuzione che chiaramente evoca direttamente l’azione performativa che detta norma demanda al giudice, piuttosto che la fattispecie legale da essa presupposta.
Del resto, una diversa interpretazione priverebbe la previsione di cui all’art. 380bis , terzo comma, in gran parte se non del tutto di significato, almeno nella parte in cui richiama il quarto comma dell’art. 96, essendo evidente che, anche se quel richiamo mancasse, la Corte, chiamata a pronunciarsi a seguito di istanza di definizione ex art. 380bis , secondo comma, potrebbe comunque pronunciare, «nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma», condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende.
L’art. 380bis , terzo comma, recupera dunque, in parte qua , un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiettivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato quarto comma dell’art. 96 si prescinda dai casi ivi previsti in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta, non potendosi invece una sostanziale differenza ricavarsi, almeno sul piano testuale, dall’uso dell’indicativo « applica », atteso che anche il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. coniuga allo stesso modo il verbo che prescrive l’azione demandata al giudice (« condanna »).
Varrà aggiungere che in favore di tale esegesi militano, da un lato, la ratio della disposizione in esame che, diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, prescinde dalla costituzione dell’intimato e non può certo ritenersi meno avvertita nel caso in cui tale costituzione manchi (con il rischio, ad opinare diversamente, di un depotenziamento dell’istituto); dall’altro, il rilievo che quella prevista dal quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. è sanzione disposta a favore della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, terzo comma (v. in senso conforme, tra le pronunce massimate, Cass. Sez. U.
22/09/2023, n. 27195, Rv. 668850 – 01; Cass. 04/10/2023, n. 27947, Rv. 669107; 28/02/2024, n. 5243, Rv. 670413).
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente, ai sensi del terzo comma dell’art. 380bis c.p.c., al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 3.000.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza