Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5625 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5625 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23525-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente – avverso il DECRETO N. 5288/2022 DEL TRIBUNALE DI CATANIA, depositato il 27/7/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.1. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha rigettato l ‘ opposizione con il quale il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha chiesto l ‘ ammissione allo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE) del credito relativo ai canoni maturati nei confronti della società fallita tra il 3/10/2011,
quando la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE avevano stipulato un contratto d ‘ affitto di ramo d ‘ azienda, sino al fallimento di quest ‘ ultima, dichiarato con sentenza del 11/10/2016, ed a quelli maturati nel corso del fallimento, per la somma complessiva € . 1.340.000,00, oltre IVA.
1.2. Il tribunale, in particolare, dopo aver premesso che: -‘ solo una lettura completa è il presupposto di una corretta comprensione del significato letterale della convenzione e, suo tramite, della comune intenzione delle parti ‘ ; -‘ l ‘ enucleazione di singole parole può ‘, al contrario, ‘ comportare uno stravolgimento del significato della clausola, qualora ne derivi l ‘ esclusione di elementi testuali che la caratterizzano ‘; -‘ il testo del contratto non è da solo decisivo per la ricostruzione della volontà delle parti contraenti ‘; – infatti ‘ il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi accertato solo al termine del processo interpretativo, che non può limitarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare ‘; ha ritenuto che ‘ l ‘ esegesi del testo ‘ del contratto de quo non fosse coerente né con la ‘ causa del contratto di affitto di ramo d ‘ azienda ‘ , né con le ‘ dichiarate intenzioni delle parti ‘ e ‘ la condotta successiva, anche esecutiva, delle medesime ‘ , visto che ‘ il contratto per cui è causa nel suo complessivo esame manifesta evidenti incongruenze tra quanto espressamente pattuito, secondo un ‘ ottica meramente letterale, e quanto invece emergente dalla complessiva funzione economica sociale che con lo stesso le parti hanno inteso perseguire ‘ .
1.3. Il contratto in questione, infatti, ha osservato il tribunale: ‘ a) … presenta durata quinquennale, senza alcuna indicazione in ordine alle modalità e termini della consegna del
ramo aziendale; b) prevede l ‘ acquisto da parte dell ‘ affittuaria delle merci in magazzino (descritte in apposito inventario allegato) al prezzo di € 300.000,00 oltre I.V.A., senza indicazione alcuna circa la, avvenuta o meno, consegna delle stesse; c) ad esso è collegato un contratto di prestazione di servizi per l ‘ esercizio dell ‘ attività caratteristica dell ‘ impresa che mal si concilia con l ‘ autonomia che dovrebbe caratterizzare il complesso di beni aziendali oggetto dell ‘ affitto; d) i collegamenti societari tra la cedente e la cessionaria; e) in sede di premessa … si dà atto che lo stesso è ‘meramente funzionale al successivo acquisto’ o ancora ‘strumentale e prodromico al successivo acquisto’; d) la previsione del prezzo di opzione, e dunque, del prezzo finale di vendita sostanzialmente pari a zero in quanto corrispondente al totale dei canoni di affitto da versare nei cinque anni pattuiti; e) strettamente connesso al punto d) le numerose clausole presenti in contratto volte a blindare il canone mensile e dunque il corrispettivo del prezzo d i vendita’ .
1.4. Il tribunale, quindi, dopo aver rilevato che il contratto in questione prevedeva il pagamento di ‘ un importo mensile, non modificabile, che assurge contemporaneamente e a canone per il godimento del bene e a pagamento rateale a titolo di corrispettivo del prezzo, senza che ne sia determinata in alcun modo la relativa quota parte ‘ , ha, in sostanza, ritenuto che: -‘ una simile pattuizione non rientra nello schema dei contratti tipici di godimento ‘ nei quali ‘ il canone mensile contiene in sé e la quota parte volta al pagamento per il godimento del bene e la quota parte volta al pagamento rateale del corrispettivo per la futura ed eventuale cessione …’ ; – il contratto per cui è causa, ‘ tenuto conto della comune volontà delle parti come manifestata nelle premesse e resa palese dalla introduzione di previsioni contrattuali quali quelle già sopra
esplicitate ‘, doveva essere, piuttosto, inquadrato nella diversa fattispecie della ‘ vendita con riserva di proprietà ‘ , avendone assunto tutte le caratteristiche, e cioè il trasferimento del possesso del ramo d ‘ azienda e la previsione di un pagamento rateale del prezzo.
1.5. Il tribunale, quindi, ha escluso che, nel caso in esame, potesse trovare applicazione l ‘ art. 79 l.fall., applicandosi, per contro, l ‘ art. 73 l.fall., da leggersi in combinato disposto con l ‘ art. 72 l.fall., per il quale, in caso di mancato subingresso del curatore, il contratto rimaneva sospeso, senza, peraltro, che il curatore del Fallimento COGNOME avesse manifestato la volontà di subentrare o sciogliersi da tale contratto, per cui, in definitiva, nulla era dovuto né per i canoni successivi né per quelli anteriori al Fallimento dell ‘ opposta.
1.6. Il RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 26/9/2022, illustrato da memoria, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto.
1.7. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1264 e 1367 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, pur ammettendo che le parole e le espressioni utilizzate dalle parti per disciplinare il regolamento contrattuale apparivano ‘ sufficientemente chiare ‘, h a provveduto alla sua interpretazione senza fare uso, come invece avrebbe dovuto, dei prioritari criteri soggettivi, come quello rappresentato dal senso delle parole e delle espressioni usate dalle parti, procedendo, invece, alla ricognizione della comune intenzione delle parti in
forza della dichiarata necessità di vagliare ‘ ulteriori elementi, testuali ed extratestuali ‘ .
2.2. Il tribunale, tuttavia, ha osservato il ricorrente, così facendo, ha omesso di considerare che: – il principio di gerarchia dei criteri interpretativi del contratto impone al giudice di ‘ verificare la sufficienza del prioritario criterio ermeneutico letterale rappresentato dal senso delle parole e delle espressioni usate, per poi solo eventualmente far ricorso agli altri canoni integrativi previsti dagli artt. 1366-1371 c.c. … solo laddove il dato letterale delle parole e delle espressioni utilizzate potesse rivelarsi ambiguo ‘ ; – il ricorso ai criteri sussidiari non è, dunque, consentito quando è utilizzato ‘ non per colmare l ‘ ambiguità del dato letterale oggetto di interpretazione (niente affatto ambiguo) ‘ ma ‘ per arrivare ‘, pur a fronte di un criterio letterale ‘ incontrovertibilmente chiaro ‘, ‘ ad una propria e del tutto soggettiva qualificazione dell ‘ accordo ‘ , affidandosi, peraltro, ad ‘ elementi extratestuali ed estranei al tenore del contratto ‘, come i collegamenti tra l ‘ amministratore della RAGIONE_SOCIALE e la società che deteneva una quota del capitale della RAGIONE_SOCIALE nonché il contratto di prestazione di servizi per l ‘ esercizio dell ‘ attività caratteristica dell ‘ impresa; – tali elementi, del resto, esulando dal testo del contratto, non erano certamente in grado di consentire l ‘ operazione ermeneutica operata dal tribunale, al pari delle altre circostanze cui lo stesso aveva fatto riferimento, come la previsione della durata quinquennale del contratto nonché dell ‘ acquisto da parte dell ‘ affittuaria delle merci in magazzino e del prezzo d ‘ opzione per l ‘ acquisto dell ‘ azienda, ‘ trattandosi di circostanze ricavabili dal contratto ‘ e ‘ nessuna di esse presenta alcun carattere di ambiguità tale da suggerire il ricorso all ‘ applicazione di canoni di interpretazione integrativi ‘ .
2.3. Il tribunale, ha aggiunto il ricorrente, se avesse diligentemente applicato il canone letterale, avrebbe potuto constatare la piena corrispondenza tra il nomen iuris affidato al contratto (di affitto del ramo d ‘ azienda) e la disciplina ivi delineata, ossia: – la consistenza del ramo d ‘ azienda (art. 2); il divieto di subaffitto (art. 3); – la durata del contratto di affitto in cinque anni, tacitamente rinnovabile di un anno alla scadenza del contratto (art. 4); – il canone annuale per l ‘ affitto del ramo di azienda di €. 240.000,00 oltre IVA, da corrispondersi in dodici rate mensili anticipate di €. 20.000,00 oltre IVA (art. 5); – gli oneri a carico dell ‘ affittuaria per la manutenzione del ramo d ‘ azienda (artt. 6 e 8); – gli obblighi conseguenti alla scadenza del contratto, tra cui la redazione in contraddittorio dell ‘ inventario dei beni e la loro restituzione al concedente, nelle medesime condizioni in cui i beni erano stati concessi in affitto, salvo il normale deperimento d ‘ uso (art. 9); – il diritto di ispezione e controllo da parte dell ‘ affittuaria (art. 10); – la risoluzione per inadempimento (art. 11); – la cessione a favore dell ‘ affittuaria, verso corrispettivo di un prezzo, dei beni facenti parte il magazzino, risultanti dall ‘ inventario allegato al contratto d ‘ affitto (art. 13); – la concessione di un ‘ opzione di acquisto a favore dell ‘ affittuaria, da esercitarsi entro e non oltre sei mesi antecedenti la prima scadenza contrattuale, mediante lettera raccomandata, per un prezzo già determinato dalle parti in €. 1.200.000, da pagarsi all ‘ atto di trasferimento del ramo d ‘ azienda al netto dei canoni di affitto già versati (art. 18).
2.4. Alle stesse conclusioni il tribunale sarebbe, del resto pervenuto, ha concluso il ricorrente, anche se avesse avvertito la necessità di ricorrere al sussidiario criterio di cui all ‘ art. 1362, comma 2°, c.c., che valorizza il comportamento delle parti, anche successivo alla conclusione del contratto.
2.5. Il contratto d ‘ affitto di ramo di azienda era stato, infatti, concluso, come testualmente emergeva dalla sua premessa, in esecuzione del piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lett. d), l.fall., sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE, trattandosi, attraverso ‘ l ‘ incasso dei canoni derivanti dall ‘affitto’, di una condizione essenziale per la realizzazione dello stesso.
2.6. Il motivo è infondato. L ‘ interpretazione del contenuto contrattuale fornita dal decreto impugnato risulta, in effetti, senz ‘ altro conforme alle norme che presiedono all ‘ interpretazione degli atti negoziali e non è, quindi, censurabile per violazione di legge.
2.7. Risponde, invero, ad un orientamento consolidato il principio per cui, in sede d ‘ interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate (Cass. n. 7927 del 2017, in motiv.).
2.8. Si è, tuttavia, precisato al riguardo che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale dev ‘ essere verificato alla luce dell ‘ intero contesto contrattuale.
2.9. Il giudice, infatti, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del ‘ senso letterale delle parole ‘, giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (Cass. n. 7927 del 2017, in motiv.; Cass. 23701 del 2016, in motiv.), con la conseguente necessità di raffrontare e coordinare tra loro le varie espressioni che figurano nella dichiarazione
negoziale, riconducendole ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 2267 del 2018; Cass. n. 8876 del 2006).
2.10. La regola fondamentale nell ‘ interpretazione del contratto è, del resto, la ricerca della ‘ comune intenzione delle parti ‘ senza ‘ limitarsi al senso letterale delle parole ‘ (così l’ art. 1362, comma 1°, c.c.).
2.11. Il testo del contratto è, quindi, importante ma non è decisivo per la ricostruzione della volontà delle parti: il senso di un testo scritto non è, infatti, un a priori rispetto alla ricerca della volontà delle parti ma un posterius , giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare e non bisognose di approfondimenti interpretativi. Un ‘ espressione apparentemente chiara potrebbe, in effetti, cessare di essere tale una volta che sia collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti (in tal senso, Cass. n. 12120 del 2005).
2.12. Il giudice, inoltre, pur dovendo assumere l ‘ elemento letterale quale strumento fondamentale per la ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, deve a tal fine ricorrere anche agli ulteriori criteri d ‘ interpretazione e, in particolare, a quello dell ‘ interpretazione funzionale di cui all ‘ art. 1369 c.c., il quale consente di accertare il significato dell ‘ accordo in coerenza, appunto, con la relativa ragione pratica o causa concreta (Cass. n. 11295 del 2011; Cass. 23701 del 2016, in motiv.).
2.13. L ‘ art. 1362 c.c., in definitiva, impone all ‘ interprete del contratto di ricostruire la volontà delle parti, ma per far ciò
deve sì muovere dal testo contrattuale ma anche verificare, a prescindere dalla pretesa chiarezza del significato letterale, se questo sia coerente con la causa del contratto quale emerge dalle reali intenzioni dei contraenti e da tutte le parti del regolarmente negoziale intercorso tra gli stessi (Cass. n. 10484 del 2004).
2.14. Se questa è disciplina che presiede all ‘ interpretazione del contratto, nessun addebito può, dunque, muoversi al decreto impugnato se lo stesso, in ragione delle finalità effettivamente perseguite dalle parti, ha inteso estendere l ‘ area della propria analisi ermeneutica oltre i termini segnati dal solo contesto letterale del contratto, dal quale è comunque partito, ed abbia da ciò tratto, ricostruendo la volontà delle parti per come fatta palese dal ricorso ai criteri di interpretazione teleologica del testo al suo esame, la conclusione da cui dissente ora la società ricorrente, e cioè che si sia trattato non già di un affitto d ‘ azienda ma, in realtà, di una vendita della stessa con riserva di proprietà.
2.15. Il tribunale, infatti, dopo aver correttamente rilevato, per un verso, che ‘ solo una lettura completa è il presupposto di una corretta comprensione del significato letterale della convenzione e, suo tramite, della comune intenzione delle parti ‘ mentre ‘ l ‘ enucleazione di singole parole può comportare uno stravolgimento del significato della clausola, qualora ne derivi l ‘ esclusione di elementi testuali che la caratterizzano ‘ e, per altro verso, che ‘ il testo del contratto non è da solo decisivo per la ricostruzione della volontà delle parti contraenti ‘, posto che ‘ il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi accertato solo al termine del processo interpretativo, che non può limitarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di
ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare ‘ , ha altrettanto correttamente ritenuto di procedere all ‘ interpretazione del contratto non già in forza della mera formulazione letterale del relativo testo, e cioè ‘ secondo un ‘ ottica meramente letterale ‘, quanto piuttosto in ragione della ‘complessiva funzione economica sociale che con lo stesso le parti hanno inteso perseguire ‘ , ed è, per tale motivo, giunto alla conclusione che, nei fatti, ad onta della lettera del regolamento negoziale predisposto dai contraenti e ‘ dichiarate intenzioni delle parti ‘ , le parti non avessero, in realtà, inteso stipulare un contratto d’affitto d’azienda, essendo, per contro, emersa la ‘ comune volontà delle parti ‘, ‘ manifestata nelle premesse e resa palese dalla introduzione di previsioni contrattuali ‘ come ‘ la previsione del prezzo di opzione, e dunque, del prezzo finale di vendita sostanzialmente pari a zero in quanto corrispondente al totale dei canoni di affitto da versare nei cinque anni pattuiti ‘, di porre in essere una vendita dell ‘azienda stessa con riserva di proprietà.
2.16. D ‘ altra parte, com ‘ è noto, il sindacato di legittimit à sull ‘ interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformit à alla comune volont à dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimit à solo per il vizio di violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (nel caso in esame, come visto, insussistente) nonché per il vizio (nel caso in esame neppure invocato) d ‘ omesso esame di un fatto decisivo emergente dagli atti del giudizio ovvero di motivazione apparente, contraddittoria o perplessa, tale, cioè, da non
consentire il controllo del procedimento logico seguito dal giudice per giungere alla censurata interpretazione.
2.17. Tale sindacato non pu ò , dunque, investire il risultato interpretativo in s é , che appartiene all ‘ ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con la conseguente inammissibilit à di ogni critica alla ricostruzione della volont à negoziale, così come operata dal giudice di merito, che si traduca, come nella sostanza pretende il ricorrente, in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto dallo stesso esaminati.
2.18. In ogni caso, come questa Corte ha ripetutamente affermato, ‘ per sottrarsi al sindacato di legittimità, l ‘ interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l ‘ unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni ‘, ‘ sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l ‘ interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l ‘ altra ‘ ( cfr., tra le altre, Cass. 27136 del 2017).
2.19. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 2562 e 1523 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il contratto, pur se espressamente denominato dalle parti ‘ contratto di affitto di ramo d ‘ azienda ‘, doveva essere, invece, inquadrato nella diversa fattispecie della ‘ vendita con riserva di proprietà ‘, senza, tuttavia, considerare che: -le parti, attraverso l ‘ affitto dell ‘ azienda e il patto d ‘ opzione per il suo acquisto, avevano previsto che l ‘ affittuario, alla scadenza del
contratto d ‘ affitto, era libero di esercitare l ‘ opzione e diventare proprietario, ai termini e alle condizioni già contenuti in tale patto, dell ‘ azienda inizialmente condotta in affitto; – l ‘ affitto d ‘ azienda con il patto d ‘ opzione per l ‘ acquisto differisce dalla vendita con riserva della proprietà perché ‘ l ‘ acquisto della proprietà del bene da parte dell ‘ affittuario non rappresenta la conseguenza indeclinabile del pagamento dell ‘ ultima rata del prezzo ma è rimesso ad un ‘ opzione specificatamente prevista dall ‘ art. 1331 c.c., che può anche non essere esercitata ‘; – non corrisponde, per contro, al vero che il prezzo d ‘ opzione fosse sostanzialmente pari a zero, dovendo l ‘ opzione essere esercitata ‘ entro e non oltre il termine di 6 (sei) mesi antecedenti la prima scadenza contrattuale ‘, e cioè in un momento nel quale ‘ l ‘ammontare dei canoni pagati (pari ad € 240.000 annui da versarsi in rate mensili di € 20.000) avrebbe dovuto essere pari ad € 1.080.000, a fronte del prezzo di opzione di € 1.200.00 ‘ ; -la previsione nel contratto d ‘ affitto di un ‘ opzione per l ‘ acquisto della stessa (‘ 18.1 La concedente concede all ‘ affittuaria o suoi successori ed aventi causa, alle condizioni e con le modalità previste nel presente articolo, opzione irrevocabile di acquisto del ramo d ‘ azienda. 18.2 La concedente, pertanto, si impegna irrevocabilmente, in caso di esercizio del detto diritto di opzione di acquisto da parte dell ‘ affittuaria, a vendere alla stessa che, in caso di esercizio dello stesso diritto di opzione, si impegna irrevocabilmente ad acquistare, il ramo d ‘ azienda alle condizioni di cui al presente articolo. 18.3 Il diritto di opzione di cui al presente articolo potrà essere esercitato dall ‘ affittuaria entro e non oltre il termine di 6 (sei) mesi antecedenti la prima scadenza contrattuale mediante invio alla concedente di lettera raccomandata a.r. all ‘ indirizzo indicato all ‘ Articolo 15, anticipata a mezzo pec, con la quale viene manifestata la volontà di
esercitare il diritto di opzione di acquisto del ramo d ‘ azienda. Trascorso tale termine senza esercizio del diritto di opzione, l ‘ affittuaria non potrà vantare nessun diritto nei confronti della concedente … ‘) comporta va, pertanto, l ‘ impossibilità di qualificare il contratto in questione come una vendita, trattandosi di due figure ontologicamente diverse e incompatibili: ‘ l ‘ opzione disciplinata dall ‘ art. 1331 c.c. è, infatti, un negozio bilaterale che dà luogo ad una proposta irrevocabile cui corrisponde la facoltà di una delle parti di accettarla; con l ‘ opzione sorge in capo ad una parte un diritto potestativo, dal cui esercizio, mediante un atto unilaterale, discende l ‘ instaurarsi del rapporto contrattuale definitivo; correlativamente, la parte che ha accettato di rimanere vincolata alla propria dichiarazione versa in una situazione di mera soggezione, non essendo necessaria alcuna condotta attiva o collaborazione, da parte sua, per la instaurazione del rapporto contrattuale definitivo, in quanto, come detto, la sola dichiarazione dell ‘ opzionario basta a concludere il contratto definitivo’
2.20. Il motivo è infondato. Il tribunale, infatti, dopo aver (tra l ‘ altro) evidenziato, in fatto, che: – il contratto in questione, come emerge dalla ‘ premessa’, era ‘meramente funzionale al successivo acquisto ‘ ; -l ‘ importo mensile assurgeva, quindi, tanto a canone per il godimento del bene, quanto a pagamento rateale a titolo di corrispettivo del prezzo; il ‘ prezzo finale di vendita ‘, ‘in quanto corrispondente al totale dei canoni di affitto da versare nei cinque anni pattuiti ‘, era ‘ sostanzialmente pari a zero’ ; ha ritenuto che, in ragione ‘ della comune volontà delle parti come manifestata nelle premesse e resa palese dalla introduzione di previsioni contrattuali quali quelle già sopra esplicitate ‘, il contratto in questione dovesse essere, di conseguenza, qualificato, in ragione della sua funzione
economico-sociale, come una vendita con riserva di proprietà, avendone assunto tutte le caratteristiche, e cioè il trasferimento (immediato) del possesso del ramo di azienda e la previsione del pagamento rateale del prezzo per l ‘ acquisto della stessa.
2.21. Tale statuizione è, sul piano giuridico, corretta. La vendita del bene, infatti, ha assunto, secondo l ‘ accertamento del tribunale, una rilevanza causale essenziale poiché il godimento dello stesso era stato concesso esclusivamente in vista della sua alienazione: nell ‘ assetto degli interessi delle parti, infatti, se l ‘ intento della società concedente non differiva da quello dell ‘ affitto d ‘ azienda con attribuzione dell ‘ opzione per l ‘ acquisto della stessa, l ‘ interesse dell ‘ utilizzatrice, invece, era quello di acquisire la proprietà del bene e ciò perché, alla scadenza del contratto, a fronte di un prezzo d ‘ opzione in realtà inesistente o comunque minimo, il valore economico residuo del bene era senz ‘ altro superiore rispetto allo stesso, con la conseguenza che, di fatto, i ratei pagati scontavano non solo il valore di godimento ma anche il valore di scambio dell ‘ azienda e comprendevano, pertanto, una quota del prezzo di vendita, e che, al termine del rapporto, l ‘ acquisto costituiva una situazione di fatto necessitata per l ‘ utilizzatore, proprio avuto riguardo alla sproporzione tra (l ‘ ancor notevole) valore residuo del bene ed il modesto prezzo di opzione, sempre che non volesse affrontare una perdita economica secca.
2.22. Il contratto, così delineato nei suoi aspetti funzionali e strutturali, risulta correttamente qualificabile come una vendita (dell ‘ azienda) con riserva di proprietà: ‘ non esiste, infatti, una sensibile differenza nella funzione socio economica tra l ‘ ipotesi in cui, nella previsione negoziale del pagamento del prezzo di un bene, le parti esprimano attualmente la volontà di acquisto e di vendita del bene, condizionando il verificarsi
dell ‘ effetto reale al pagamento dell ‘ intero prezzo, e l ‘ ipotesi in cui, sempre nella previsione negoziale del pagamento rateale del prezzo, le parti consentano all ‘ utilizzatore di esprimere la volontà di acquisto del bene al termine del rapporto, nella consapevolezza che, senza concrete alternative, l ‘ utilizzatore dovrà esprimere detta volontà acquisitiva ‘ (Cass. n. 2743 del 1994, con riferimento al leasing traslativo ; conf., Cass. n. 1715 del 2001; Cass. n. 18195 del 2007; Cass. n. 8110 del 2017; Cass. n. 13965 del 2019; Cass. n. 26265 del 2024).
2.23. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza o del procedimento, a norma dell ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione all ‘ art. 112 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha accertato l ‘ esistenza di una vendita dell ‘ azienda con riserva di proprietà, senza, tuttavia, considerare che il Fallimento opposto aveva espressamente limitato la propria domanda all ‘ accertamento dell ‘ esistenza di una simulazione relativa di un contratto preliminare di cessione di ramo di azienda.
2.24. Il motivo è infondato. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente affermato che la qualificazione del contratto, che ha la funzione di stabilire quale sia la disciplina in concreto ad esso applicabile con le relative conseguenze effettuali, è operazione diversa da quella della interpretazione del contratto stesso: mentre l ‘ attività di interpretazione è diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, l ‘ attività di qualificazione, consistendo nell ‘ inquadramento della comune volontà (come in precedenza accertata) nello schema legale corrispondente e nell ‘ individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo,
si risolve nell ‘ applicazione di norme giuridiche (cfr. Cass. 15603 del 2021, in motiv.; Cass. n. 9996 del 2019; Cass. n. 29111 del 2017; in precedenza, Cass. n. 5387 del 1997; Cass. n. 1054 del 2001; Cass. n. 21064 del 2004; Cass. n. 27000 del 2005) e può (anzi deve) essere, come tale, svolta, in via ufficiosa, dal giudice, a prescindere dalla proposizione sul punto di una domanda o di un ‘ eccezione ad opera delle parti.
2.25. Il divieto previsto dall ‘ art. 112 c.p.c. risulta, per contro, violato soltanto nel caso in cui il giudice abbia pronunciato, a differenza di quanto è accaduto nella vicenda in esame, oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d ‘ ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato: ferma restando, tuttavia, l’applicazione del principio iura novit curia di cui all ‘ art. 113, comma 1°, c.p.c. e la conseguente possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti dedotti in lite, come il contratto che l’opponente ha posto a fondamento della domanda di ammissione, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, come quelle in materia di vendita con riserva di proprietà, in luogo delle differenti disposizioni (affitto d’azienda ovvero simulazione di preliminare) erroneamente invocate dalle parti (cfr. Cass. n. 5832 del 2021; Cass. n. 8645 del 2018; Cass. n. 25140 del 2010).
Il ricorso dev’essere, dunque, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese di lite, che liquida in €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso delle spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di Consiglio della Prima