Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16751 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 835/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresenta e difesa dall’ AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME e dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-Controricorrente – per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Milano n. 4279/2019, depositata il 24 ottobre 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 23 aprile 2015, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE avanti al Tribunale di Milano esponendo: di aver appaltato allo RAGIONE_SOCIALE la progettazione definitiva di opere pubbliche per la realizzazione di un complesso edificatorio commerciale, incarico subappaltato a sua volta alla RAGIONE_SOCIALE; che quest’ultima si era resa inadempiente agli obblighi gravanti ex artt. 1659 e/o art 1176 cc; di aver sospeso parte dei pagamenti ai sensi dell’art . 1460 cod. civ. e che per tali fatture residue la RAGIONE_SOCIALE aveva agito in via monitoria; chiedeva, previa sospensione del decreto ingiuntivo e autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, dichiarare che nulla fosse dovuto dalla opponente (committente) alla opposta (subappaltatrice) in forza delle fatture azionate. In via subordinata, trattandosi di subappalto, chiedeva di ritenere e dichiarare lo RAGIONE_SOCIALE, o chi per esso, tenuto a manlevare la RAGIONE_SOCIALE dalle pretese avversarie e, conseguentemente, condannarlo al pagamento delle somme accertate in favore della opposta.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE rilevando l’infondatezza dell’opposizione, di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza depositata il 24 gennaio 2017, il Tribunale di Milano revocava il decreto ingiuntivo opposto e – in parziale accoglimento dell’opposizione -condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della TAU della minore somma di € 17.921,80 , oltre interessi moratori dal 15 luglio 2014 al saldo e alle spese di causa, compensate nella misura del 20% per effetto della parziale soccombenza reciproca.
-Avverso detta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE promuoveva appello.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponendo a propria volta appello incidentale.
La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 24 ottobre 2019, ha rigettato l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, ha confermato il decreto ingiuntivo del Tribunale di Milano, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
-La RAGIONE_SOCIALE ha proposito ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 e ss. cod. civ. e la mancata applicazione dell’art. 1655 cod. civ. ss. in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 cod. proc. civ. per avere la Corte di appello inquadrato la fattispecie nel contratto di prestazione d’opera intellettuale e non in quello d’appalto . Si contesta, al riguardo, la parte della sentenza in cui la Corte di appello ha erroneamente operato la qualificazione del contratto per cui è causa senza effettuare alcuna motivazione e omettendo qualsivoglia considerazione in ordine alla dimensione dell’impresa in questione, che invece rappresenta il vero criterio distintivo tra appalto e contratto d’opera. Parte ricorrente sottolinea che la qualificazione del contratto come appalto e non come prestazione d’opera assume rilievo ai fini della cassazione della sentenza impugnata, in quanto comporterebbe l’applicabilità dell’art. 1659 cod. civ. Il citato articolo prevede che le variazioni all’opera commissionata devono essere approvate per iscritto dal
committente. Approvazione che non si rinviene nel caso di specie, non risultando agli atti alcuna manifestazione d’assenso da parte di RAGIONE_SOCIALE al progetto presentato da RAGIONE_SOCIALE nel 2013, arbitrariamente e in violazione dei principi di buona fede e correttezza. Dissenso poi manifestatosi nella missiva di contestazione inviata dalla committente alla subappaltatrice non appena venuta a conoscenza dell’avvenuta presentazione del progetto mod ificato. La Corte sarebbe pertanto incorsa in un errore di diritto laddove ha affermato che il progettista incaricato era libero di adottare le soluzioni ritenute più idonee a raggiungere il risultato senza preventivamente rendere edotto il committente delle variazioni apportate al progetto commissionato, partendo dall’errore a monte della qualificazione del contratto.
Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 , secondo comma, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata è illogica e palesemente contraria a norme di diritto, dal momento che giunge a ritenere non sussistente l’inadempimento di TAU in quanto non è presente nel contratto di subappalto del 2013 una clausola che richiamasse il progetto originario redatto da TAU nel 2008. La TAU, quindi, a detta della Corte , sarebbe stata libera dall’eseguire l’opera adottando le soluzioni ritenute più idonee per raggiungere il risultato senza preventiva comunicazione delle variazioni apportate al progetto commissionato e successiva approvazione delle stesse da parte del committente. La Corte di appello è incorsa in errore di diritto dal momento che ha violato il principio ermeneutico di cui al secondo comma dell’art . 1362 cod. civ. Quest’ultimo prevede che laddove il contratto sia lacunoso, ambiguo e/o contraddittorio, la comune intenzione delle parti deve essere ricercata alla luce del comportamento complessivo delle parti contraenti, precedente coevo e posteriore alla conclusione dell’accordo. Nel motivo vengono
richiamate le circostanze in base alle quali sarebbe possibile ricavare gli elementi espressivi della volontà delle parti.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
La distinzione tra contratto d’opera e appalto viene posta dalla parte ricorrente con riguardo al tema della piccola impresa, laddove la convenuta è una sRAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE).
La deduzione non coglie nel segno, sotto un duplice punto di vista.
Da un lato, non tiene conto del fatto che secondo la giurisprudenza di legittimità, nulla osta a che una prestazione professionale sia demandata a una società di capitali (Cass., Sez. II, 9 dicembre 2021, n. 39028); né la qualità della parte che ha ricevuto l’incarico (persona giuridica) induce a qualificare il negozio come appalto di servizi. Come affermato da questa Corte (Cass., Sez. II, 18 ottobre 2018, n. 26264), nella categoria generale delle professioni intellettuali, solo quelle determinate dalla legge (art. 2229, primo comma, c.c.) sono tipizzate ed assoggettate all’iscrizione in albi ed elenchi; all’infuori di queste, vi sono non solo professioni intellettuali caratterizzate per il loro specifico contenuto, ma anche prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non specificamente caratterizzate, che ben possono essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo.
Dall’altro lato , è dirimente che la diversa qualificazione è sollevata ai fini della richiesta applicazione dell’art. 1659 cod. civ. Tuttavia, la disposizione richiamata è nella specie inconferente perché -come dà conto la Corte d’appello con motivazione logica ed esauriente – il progetto presentato dalla RAGIONE_SOCIALE era stato visionato dalla RAGIONE_SOCIALE e poi approvato previ nulla osta regolarmente emessi.
La Corte di appello, inoltre, ha esplicitato le ragioni per cui il contratto del 2013 (progettazione di parcheggi esterni, viabilità ed illuminazione di un centro commerciale ed eventuali varianti parziali
o totali da sottoporre alle pubbliche amministrazioni e agli enti) non poteva costituire l’esecuzione del contratto stipulato nel 2008 (progetto relativo all’impianto di illuminazione), non essendovi nel contratto per cui è causa alcun richiamo al progetto in precedenza redatto.
Trattandosi di prestazione d’opera intellettuale, corretto appare l’inquadramento negoziale compiuto, con logico e motivato apprezzamento, dalla Corte territoriale.
In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass., Sez. III, 26 maggio 2016, n. 10891; Cass., Sez. III, 10 febbraio 2015, n. 2465).
Parte ricorrente, riguardo all’interpretazione del contratto, al di là del richiamo generico alla condotta delle parti quale criterio integrativo del contratto, non ha dedotto in cosa si sarebbe sostanziato lo scostamento dal principio di diritto di cui al comma secondo dell’articolo 1362 cod. civ., deducendo un insieme di circostanze di fatto da cui sarebbe possibile ricavare il collegamento tra la fattispecie negoziale del 2008 e quella del 2013. In definitiva, si propone una diversa ricostruzione dei fatti che si sarebbe semmai dovuta ricondurre al numero 5 dell’articolo 360 cod. proc. civ. e non al n. 3, nel rispetto dei criteri di specificità indicati da questa Corte di legittimità (Cass., Sez. III, 23 aprile 2024, n. 10927), ove fosse stato indicato l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti.
-Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione