Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23666 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23666 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11130/2023 r.g., proposto da
COGNOME NOME , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
Banca di Credito Cooperativo di Spello e del Velino RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Perugia n. 292/2022 pubblicata in data 23/12/2022, n.r.g. 95/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 10/07/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- Con sentenza del 03/05/2005 del Tribunale penale di Perugia NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole dei reati a lui ascritti e condannato al pagamento di una provvisionale di euro 150.000,00 in favore del Credito
OGGETTO:
dipendente di banca – condotta infedele – condanna penale con provvisionale – azione esecutiva legittimità -successiva liquidazione del maggior danno da parte del giudice civile -conseguenze
RAGIONE_SOCIALE, suo ex datore di lavoro costituitosi parte civile nel processo penale.
In forza del predetto titolo esecutivo, n el settembre 2005 l’istituto di credito aveva promosso pignoramento immobiliare sull’unico immobile di proprietà del COGNOME nel quale egli abitava in Perugia. Nel corso della procedura esecutiva, nonostante la valutazione dell’immobile superiore a trecentomila euro, la vendita era stata vanamente tentata, sicché il prezzo era stato ribassato fino ad oltre la metà dell’originaria stima.
Nelle more, la sentenza penale di primo grado era stata parzialmente riformata in appello e la provvisionale in favore della parte civile era stata ridotta ad euro 130.000,00.
Il COGNOME deduceva che il giudizio civile -in origine intentato dall’istituto di credito dinanzi al giudice civile per ottenere il risarcimento del danno, azione poi trasferita nel processo penale mediante la successiva costituzione come parte civile -era stato lasciato estinguere.
Egli pertanto adìva il Tribunale di Perugia per ottenere l’accertamento dell’inesistenza del diritto dell’istituto bancario al risarcimento del danno perché estinto per intervenuta prescrizione, nonché la condanna della banca al risarcimento del danno nei suoi confronti causato dall’illegittima esecuzione immobiliare.
2.Costituitosi in giudizio, l’istituto di credito eccepiva che il ricorso per cassazione del COGNOME avverso la sentenza penale d’appello era stato dichiarato inammissibile. Deduceva che il suo diritto al risarcimento del danno non si era estinto, poich é il trasferimento dell’originaria domanda risarcitoria dalla sede civile a quella penale era stato tale che la sentenza penale aveva prodotto gli effetti di cui all’art. 2953 c.c. sulla prescrizione , il cui termine (ormai decennale) non era decorso.
3.- Dichiaratosi incompetente per territorio il Tribunale adìto per essere competente quello di Spoleto, il COGNOME riassumeva la causa dinanzi al Giudice dichiarato competente e riproponeva le medesime domande.
4.Con separato giudizio l’istituto di credito aveva domandato la liquidazione del maggior danno effettivamente subito in conseguenza della condotta delittuosa e truffaldina tenuta dal COGNOME, suo ex dipendente, in danno di alcuni clienti, sicché esso istituto era stato costretto a pagare a tali
clienti la complessiva somma di euro 383.940,91. In particolare aveva dedotto che, quanto al danno patrimoniale:
per i clienti COGNOME e COGNOME il Tribunale penale, confermato sul punto dalla Corte d’appello, aveva accertato la sussistenza dell’artificiosa appropriazione di denaro di cui si era reso responsabile COGNOME nella sua qualità di funzionario dirigente;
per la cliente COGNOME, oltre alla sentenza penale, era intervenuta anche la sentenza del giudice civile che aveva rigettato l’opposizione di essa banca al decreto ingiuntivo ottenuto dalla cliente per il rimborso di quanto distratto dal COGNOME;
per il cliente COGNOME era intervenuta anche la sentenza del giudice civile che aveva quantificato il danno e aveva condannato la banca al rimborso della somma di euro 199.509,92, che, maggiorata di interessi e spese, aveva condotto al maggior esborso di euro 276.364,59.
Instava altresì per il risarcimento del danno morale, da liquidare in via equitativa.
5.- Costituitosi il contraddittorio, riunite le due cause, disposta una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile per la quantificazione degli esborsi sostenuti dalla banca sulla base della documentazione allegata, il Tribunale rigettava la domanda del COGNOME, accoglieva in gran parte quella dell’istituto di credito e condannava il COGNOME a risarcire, in favore della banca, il danno patrimoniale liquidato nella complessiva somma di euro 383.940,91; rigettava invece la domanda della banca volta ad ottenere il risarcimento del danno morale.
Quel giudice riteneva che la condanna al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza penale di primo grado, fosse passata in giudicato, sicché si applicava l’art. 2953 c.c., con la conseguenza che nessuna prescrizione era maturata.
6.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava il gravame interposto dal COGNOME.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il giudicato penale di condanna si è formato in data 01/09/2009 con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, che ha
dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dalla difesa dell’imputato COGNOME
dunque deve ritenersi formato il giudicato sull’imputazione penale di avere, nella sua qualità di funzionario dirigente dell’istituto di credito, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso e con abuso di tale relazione di prestazione d’opera , indotto in errore con artifici e raggiri -consistiti nel convincere i clienti dell’istituto di credito a rilasciare la propria sottoscrizione in calce a moduli in bianco e rassicurando circa la loro destinazione all’acquisto di titoli o comunque prospettando operazioni bancarie diverse da quelle poi effettivamente svolte o falsificando egli stesso le firme di volta in volta necessarie per le operazioni effettuate -i clienti e l’istituto di credito circa l’effettiva finalità delle operazioni bancarie in concreto poste in essere, consistite in operazioni di prelievo non autorizzate di ingenti somme di denaro dal conto corrente dei clienti per versarle in conti correnti intestati a se stesso o ad altri soggetti, effettuando in tal modo prelievi non autorizzati per somme ingenti, procurandosi un ingiusto profitto con ingente danno patrimoniale per i clienti e per l’istituto di credito tenuto a risarcire il danno causato ai clienti;
per effetto di tale giudicato, anche la responsabilità civile dell’imputato deve ritenersi ormai indiscutibile, poiché la Corte d’appello si limitò a ridurre la provvisionale;
ne deriva che è del tutto infondata la domanda del COGNOME di accertamento dell’inesistenza del diritto della banca al risarcimento del danno;
la provvisionale è stata dunque legittimamente posta dalla banca a fondamento della propria azione esecutiva;
la rideterminazione della provvisionale, da parte della Corte d’appello, non ha inficiato l’azione esecutiva della banca, tanto è vero che il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato manifestamente infondata l’opposizione presentata dal debitore COGNOME;
la Corte di Cassazione non ha modificato le statuizioni sulla provvisionale, sicché questa ha continuato a legittimare l’azione esecutiva della banca;
il bene pignorato è stato assegnato all’aggiudicatario in sede esecutiva per un importo finale inferiore alla provvisionale;
il giudice penale ha solo respinto la domanda della banca di liquidazione definitiva del danno nella misura corrispondente alle singole imputazioni penali, pari alla complessiva somma di euro 520.000,00;
il contestuale riconoscimento della provvisionale conferma non solo la sussistenza della responsabilità civile del COGNOME, ma anche la quantificazione del danno in misura non inferiore alla provvisionale di euro 130.000,00;
il diritto al risarcimento del danno è quindi coperto dal giudicato, sicché per la sua quantificazione opera il termine decennale di prescrizione ai sensi dell’art. 2953 c.c., decorrente dalla pronunzia della Corte di Cassazione;
ne deriva l’infondatezza della domanda risarcitoria proposta dal COGNOME in relazione all’azione esecutiva, né in relazione al suo promuovimento, né in relazione alla sua prosecuzione;
l’azione civile risarcitoria, già esercitata dalla banca prima dell’avvio del procedimento penale, si è trasferita, per effetto della costituzione di parte civile della banca, ai sensi dell’art. 75 c.p.p. el processo penale ed in tale sede si è conclusa co n l’accertamento del diritto al risarcimento e la sua parziale quantificazione (c.d. provvisionale);
a fronte della definizione in sede penale anche delle questioni civili, il danno che la banca vanta nei confronti di COGNOME non può essere inferiore ad euro 130.000,00 e la banca conserva il diritto a vedersi liquidato in sede civile il danno anche nell’ eventuale maggiore importo non liquidato già in sede penale;
il diritto al risarcimento del maggior danno si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 2009 (data di formazione del giudicato) e quindi è stato validamente interrotto dalla domanda giudiziale introdotta con ricorso depositato dalla banca in data 21/04/2017;
il danno rivendicato dalla banca non si riferisce a tutti i fatti di appropriazione accertati in sede penale, ma è limitato alle posizioni dei clienti COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME ed COGNOME;
per i primi quattro clienti la responsabilità del COGNOME in ordine all’illecita sottrazione delle somme, specificamente indicate nel capo di imputazione per ciascun cliente, è stata accertata in modo definitivo in sede penale, sicché non vi è spazio per contestare in questa sede civile le prove già raccolte in quella sede, ritenute idonee a dimostrare non solo i singoli episodi di sottrazione e le relative modalità esecutive, ma pure i relativi importi;
con riguardo a COGNOME, che aveva ottenuto decreto ingiuntivo poi opposto dalla banca, con opposizione respinta dal Tribunale, non potrebbe mai dolersi il COGNOME della maggiorazione della sorte per gli oneri conseguenti al ritardo nella restituzione delle somme alla cliente, né dell’importo delle spese processuali sostenute dalla banca per contrastare la pretesa della cliente, non essendo stata prospettata dal COGNOME alcuna infondatezza o pretestuosità della resistenza della banca;
con riguardo ad COGNOME, il giudice penale ha ricostruito con esattezza l”importo delle operazioni irregolari di cui al capo di imputazione, consistite in prelievi non autorizzati, bonifici con firme disconosciute dal cliente, emissione di assegni circolari sul conto corrente del cliente ed in favore di soggetti del tutto estranei al cliente, prelievi non autorizzati in contanti e non; l’COGNOME propose azione risarcitoria, che, a seguito di accurata CTU contabile, si è conclusa con la condanna della banca al risarcimento del danno liquidato in euro 199.509,92; quella sentenza civile, pur non opponibile al COGNOME che non fu parte di quel giudizio, nondimeno costituisce elemento di prova (Cass. n. 4241/2013), che peraltro il COGNOME non ha inteso contestare e nel quale vi è stata comunque una particolareggiata ricostruzione dei singoli movimenti contabili irregolari;
la condanna risarcitoria complessiva pronunziata dal Tribunale va quinti confermata, dovendo ritenersi che la provvisionale rientri nella complessiva somma di euro 383.940,91 liquidata dal Giudice di primo grado.
7.Avverso tale sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
8.- Banca di Credito Cooperativo di Spello e del Velino soc. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
9.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.
10.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2043, 2056, 1223, 1227 e 2909 c.c., 651 e 652 c.p.p. per avere la Corte territoriale errato nel valutare la causa petendi della domanda risarcitoria da lui promossa in relazione all’azione esecutiva illegittima e per avere omesso di considerare che la provvisionale era stata travolta dalla successiva liquidazione del danno, come insegna Cass. pen. n. 4987/2016, s icché l’azione esecutiva intrapresa e conclusa sulla base di quella provvisionale doveva considerarsi illegittima.
Il motivo è a tratti infondato, a tratti inammissibile.
E’ infondato, perché non si confronta con lo specifico punto finale della motivazione, con cui i Giudici d’appello hanno espressamente precisato che l’importo della provvisionale era da ritenersi ricompreso nel maggiore importo riconosciuto dal Tribunale di Spoleto, in funzione di giudice del lavoro, a titolo risarcitorio in favore della banca. Tale precisazione rende evidente che l’azione esecutiva ben poteva essere iniziata e proseguita sulla base della sentenza penale contenente la c.d. provvisionale, in quanto destinata ad essere meramente assorbita dalla successiva sentenza civile di condanna risarcitoria, qualora il danno da risarcire sia liquidato in una somma maggiore (come è acceduto nel caso in esame).
In tal senso questa Corte, in sede penale, ha affermato che, in caso di riconoscimento alla parte civile di una provvisionale ai sensi dell’art. 539, commi 2 e 2-bis, c.p.p., il sequestro conservativo sui beni dell’imputato disposto – anche dopo la sentenza di primo grado – in favore di detta parte si converte in pignoramento nei limiti della provvisionale, conservando i suoi effetti per l’importo residuo sino alla liquidazione dello stesso da parte del giudice civile, anche solo con sentenza di primo grado ex lege immediatamente esecutiva (Cass. pen., n. 45343/2019).
Il motivo è poi inammissibile, perché il ricorrente non precisa quando si sia conclusa l’azione esecutiva, con l’assegnazione dell’immobile pignorato al
terzo aggiudicatario, cioè se prima o dopo la formazione del successivo titolo esecutivo, rappresentato dalla sentenza del Tribunale di Spoleto, in funzione di giudice del lavoro, n. 77/2022.
Comunque l’effetto della sentenza del giudice civile rispetto a quella del giudice penale sulla c.d. provvisionale è in termini di mera sostituzione di un titolo ad un altro, sicché l’azione esecutiva resta comunque legittima, avendo la Corte territoriale confermato l’accertamento del danno risarcibile come di importo pari a circa il triplo della provvisionale accordata in sede penale, sicché l’aggiudicazione per un importo addirittura inferiore alla provvisionale -come accertato dai Giudici d’appello (v. sentenza impugnata, p. 9) -ha lasciato addirittura sussistente ed insoddisfatto un residuo credito risarcitorio della banca.
Alla tesi del ricorrente non è utile la pronunzia di legittimità invocata (Cass. pen. n. 4987/2016), nella quale, a pag. 17 della motivazione, questa Corte ha affermato: ‘ Evidentemente la questione del quantum di ulteriore risarcimento riconoscibile alle parti civili andrà risolta da parte del giudice civile, cui la sentenza penale ha rimandato per la determinazione del danno. Tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in relazione alla provvisionale, la doglianza proposta in questa sede si palesa inammissibile atteso che la determinazione della provvisionale, in sede penale, ha carattere meramente delibativo e può farsi in base a giudizio presuntivo, derivandone che detta valutazione è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto e conseguendone che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura pronuncia provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento del danno (così Sez. Un. n. 2246 del 19.12.1990 dep. 19.2.1991, COGNOME, rv. 186722; conf. sez. 5, n. 40410 del 18.3.2004, COGNOME ed altri, rv. 230105; sez. 5, n. 5001 del 17.1.2007, COGNOME ed altro, rv. 236068; sez. 4, n. 34791 del 23.6.2010, COGNOME, rv. 248348; sez. 5, n. 32899 del 25.5.2011, COGNOMEpelli e altri, rv. 250934; sez. 2, n. 49016 del 6.11.2014, COGNOME ed altri, rv. 261054; sez. 3, n. 18663 del 27.1.2015, D.G., rv. 263486; sez. 6, n. 50746 del 14.10.2014, P.C. e G., rv. 261536). Il ricorrente, dunque, non può dolersi né del difetto di motivazione e nemmeno
potrebbe di un’eventuale abnormità, poiché dispone di ogni possibilità di difesa nella sede civile di liquidazione definitiva del danno ‘ .
Da questo passo motivazionale si comprende chiaramente che l’effetto sostitutivo della sentenza del giudice civile -contenente la liquidazione complessiva ed effettiva del danno da reato -rispetto alla c.d. provvisionale si produce ex lege ma pur sempre in modo da congiungere in senso univoco e concordante i titoli, giustificando quindi ex lege la permanenza e la legittimità dell’eventuale azione esecutiva intrapresa sulla base della sentenza penale contenente la c.d. provvisionale.
Inammissibili sono infine le censure relative all’utilità della consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile a suo tempo disposta dal Tribunale. Al riguardo il ricorrente non ha specificato quale sarebbe il suo interesse a far valere queste censure, onere invece da adempiere, dal momento che si è trattato di un accertamento istruttorio volto a garantire il diritto di difesa del COGNOME -rimasto estraneo ai giudizi civili intentati da alcuni clienti della banca, terminati con sentenze di condanna d ell’is tituto di credito, costituenti altrettante poste risarcitorie poi fatte valere dalla banca nel giudizio di merito contro il COGNOME -e quindi in suo favore e non in suo pregiudizio.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. il ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 2043, 2056, 1223, 1227 e 2909 c.c., 651 e 652 c.p.p. per avere la Corte territoriale ritenuto che la c.d. provvisionale di euro 130.000,00 rappresentasse comunque un giudicato intangibile, atteso che la relativa statuizione da parte dei Giudici d’appello penale era passata in giudicato in conseguenza della declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’imputato COGNOME Lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 539 c.p.p., per avere la Corte territoriale ritenuto quella provvisionale come un parziale accertamento del danno (passato in giudicato) invece non configurabile in questi termini, sicché non sussisterebbe alcun accertamento sul nesso causale fra i reati di cui egli è stato ritenuto definitivamente responsabile e i danni pretesi dalla banca nel giudizio civile.
In relazione alla prima censura il motivo è inammissibile per difetto di interesse, dal momento che quel passaggio argomentativo dei Giudici d’appello è irrilevante ai fini della conferma dell’accertamento del danno
risarcibile in sede civile come pari alla complessiva somma di oltre trecentomila euro (ivi compresa anche la c.d. provvisionale).
Il motivo è poi infondato in relazione alla denunziata violazione dell’art. 2909 c.c., dal momento che il giudicato penale ha avuto ad oggetto anche la statuizione civile di condanna generica del COGNOME al risarcimento del danno (in favore dell’istituto di credito costituito parte civile) sotto il profilo dell’ an e, come tale, essa è certamente idonea a passare in giudicato.
Anche l’ultima censura è infondata, dal momento che il nesso causale è stato ricostruito proprio mediante la consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile disposta dal Tribunale nel giudizio di primo grado.
3.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data