Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 33183 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 33183 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
Oggetto: Mediazione – Collaboratori.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24947/2020 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Genova, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
FIMM IMMOBLIARE di COGNOME, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1730/2019, della Corte d’Appello di Genova, pubblicata il 30/12/2019 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza n. 1375/2015, il Tribunale di Genova, in accoglimento della domanda, proposta ex art. 702 bis cod. proc. civ. da RAGIONE_SOCIALE e poi decisa con rito ordinario, avente ad oggetto la condanna di COGNOME Eugenio al pagamento della provvigione dovuta per l’attività di intermediazione prestata in relazione all’acquisto di due immobili di pregio, dichiarò tenuto quest’ultimo al pagamento della somma di € 50.000,00, oltre Iva , a titolo di provvigione, condannandolo al pagamento di detto importo e alle spese di lite.
Il giudizio di gravame, instaurato su iniziativa di COGNOME Eugenio, si concluse nella resistenza della Fimm, con la sentenza n. 1730/2019, del 30/12/2019, con la quale la Corte d’Appello di Genova rigettò l’appello.
Contro la predetta sentenza, COGNOME Eugenio propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 5 e 6, legge 3 Febbraio 1989 e dell’art. 2231 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che fosse rimasto provato il rapporto causale tra la conclusione dell’acquisto dei due appartamenti in Pieve Ligure (GE), INDIRIZZO, di proprietà di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, da parte del ricorrente, e l’opera svolta dalla RAGIONE_SOCIALE per entrambi gli immobili acquistati, avendo l’acquirente visionato i beni per il tramite dell’incaricato del mediatore, NOME COGNOME senza considerare che quest’ultimo non
rivestiva tale qualifica, ma lavorava per la Fimm come consulente, oltre a curare le pubbliche relazioni. Tale situazione impediva che insorgesse alcun diritto al compenso, atteso che, a mente della legge n. 39 del 1989, il mediatore non poteva delegare le proprie funzioni se non ad altro mediatore, né un soggetto poteva agire per conto di imprese organizzate di mediazione senza essere a sua volta iscritto al ruolo, con la conseguenza che a nulla rilevava la considerazione, contenuta in sentenza, circa l’acquisita prova dell’iscrizione all’albo della Fimm, posto che l’attività mediatoria era sempre stata svolta, nella vicenda, dal solo COGNOME, mentre il COGNOME non si era mai presentato, come confermato dai testi sentiti e dalle dichiarazioni confessorie dello stesso ricorrente, e che quest’ultimo non era neppure a conoscenza del rapporto esistente tra la Fimm e il COGNOME.
Col secondo motivo, si lamenta la nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del c.d. minimo costituzionale, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, a fronte dello specifico motivo riguardante la mancata iscrizione al ruolo dei mediatori del Cocuzza, si era limitata a dire che la RAGIONE_SOCIALE era iscritta in tale ruolo e, dunque, aveva diritto alla provvigione per l’attività prestata dal COGNOME, così rendendo una motivazione incomprensibile.
3.1 Il primo e secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, siccome afferenti alla stessa questione della riconducibilità della mediazione a NOME COGNOME privo dell’iscrizione all’albo, ora affrontata in termini di omessa motivazione, ora di violazione di legge, sono infondati.
Occorre innanzitutto evidenziare come la legge n. 39 del 1989 stabilisse, all’art. 2, comma 1, l’istituzione di un ruolo degli agenti di affari in mediazione presso ciascuna camera di commercio, nel
quale chiunque intendesse svolgere l’attività di mediazione era tenuto ad iscriversi (Cass., Sez. 3, 22/12/2011, n. 28283; Cass., Sez. 2, 15/3/2006, n. 5777; Cass., Sez. 2, 22/7/2004, n. 13767; Cass., Sez. 3, 24/10/2003, n. 16009; Cass., Sez. 3, 8/5/2001, n. 6389), disponendo all’art. 3, comma 5, che vi fossero iscritti anche tutti coloro che esercitavano l’attività di mediazione per conto di imprese organizzate anche in forma societaria, mentre l’art. 11 del Regolamento recante norme di attuazione della legge 3 febbraio 1989, n. 39, sulla disciplina degli agenti di affari in mediazione, istituito con d.m. n. 452 del 1990, imponeva, nella mediazione svolta in forma societaria, che il requisito dell’iscrizione fosse in capo sia al legale rappresentante, sia ad eventuali preposti, sia agli ausiliari quando questi fossero assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, dovendosi intendere per tale quella avente rilevanza esterna, siccome efficace nei confronti dei soggetti intermediati ed impegnativa per l’ente da cui dipendevano, ma non anche quando espletassero compiti di natura accessoria e strumentale, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Cass., Sez. 6-2, 1/6/2020, n. 10350; Cass., Sez. 2, 29/11/2013, n. 26781; Cass., Sez. 3, 24/1/2007, n. 1507; Cass., Sez. 2, 17/6/2002, n. 8697; Cass., Sez. 2, 31/7/2002, n. 11372).
Tale situazione è rimasta sostanzialmente immutata con la soppressione del ruolo di cui all’art. 2 della citata legge n. 39 del 1989, disposta dall’art. 73 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, al comma 1, posto che, come esplicitato nel successivo comma 2, le attività disciplinate dalla legge del 1989 sono soggette a segnalazione certificata di inizio attività da presentare alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del Comune competente per territorio, corredata da autocertificazioni e certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, e che, come previsto dall’art. 2 del
Regolamento attuativo della legge n. 39 del 1989, adottato con d.m. 26 ottobre 2011, le imprese di affari di mediazione presentano all’ufficio del registro delle imprese della Camera di commercio della provincia dove esercitano l’attività apposita Scia, corredata delle certificazioni e delle dichiarazioni sostitutive previste dalla legge.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, l’art. 73, pur avendo soppresso il ruolo dei mediatori previsto dall’art. 2 della n. 39 del 1989, non ha abrogato la legge n. 39/1989 e, dunque, nemmeno l’art. 6, secondo cui ” hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli “, il quale è stato interpretato nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal d.lgs. 59/2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass., Sez. U, 2/8/2017, n. 19161; Cass., Sez. 3, 16/1/2014, n. 762; Cass., Sez. 3, 9/5/2011, n. 10125; Cass., Sez. 3, 18/7/2010, n. 16147).
Cass., Sez. 2, 25/5/2022, n. 24051, non massimata, ha altresì chiarito che, in questo nuovo regime, l’iscrizione non è necessaria per tutti i collaboratori dell’impresa, ma solo per coloro che svolgano attività di mediazione in senso proprio, tale essendo la stabile assegnazione, da parte di una o più imprese, alla promozione della conclusione di contratti in una o più zone determinate, come evincibile dalla previsione di cui all’art. 3, comma 2, d.m. 26 ottobre 2011, che riproduce pressoché letteralmente il precedente art. 3, comma 5, legge n. 39 del 1989, secondo cui alla compilazione della sezione di cui al comma 1 sono tenuti il titolare di impresa individuale, tutti i legali rappresentanti di impresa societaria, gli eventuali preposti e tutti coloro che svolgono a qualsiasi altro titolo l’attività per conto dell’impresa e,
dunque, anche gli ausiliari quando assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, con compimento di atti a rilevanza esterna, ma non anche coloro che svolgono mere attività materiali o accessorie e strumentali a quella di vera e propria mediazione in funzione di ausilio rispetto ai soggetti a ciò preposti (vedi anche Cass. , Sez. 2, 9/7/2015, n. 19115 non massimata; Cass., Sez. 2, 9/4/2009, n. 8708; Cass. 8697/2002).
Peraltro, secondo Cass., Sez. 2, 25/5/2022, n. 24051, l’attività di mediazione non consiste nel solo materiale contatto tra il mediatore e l’acquirente, ma in tutta l’attività che precede e segue la visita dell’immobile (reperimento dell’altro cliente, ricezione dell’incarico, assunzione di informazioni sul bene venduto, organizzazione della struttura di intermediazione etc.) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l’aspirante acquirente con il venditore, sicché se un segmento pur importante dell’attività -quale la visita dell’immobile o il contatto telefonico -viene svolto tramite l’ausiliario, non per questo si deve imputare necessariamente a costui lo svolgimento dell’attività mediatoria in senso proprio, non avendo i predetti atti valenza esterna tale da richiedere l’iscrizione del collaboratore all’apposito albo (cfr. Cass., Sez. 2, 1/6/2020, n. 10350; Cass. , Sez. 2, 9/7/2015, n. 19115, cit.).
Una volta delimitate le situazioni in cui è necessaria l’iscrizione all’albo del collaboratore della società di mediazione, è evidente come, anche quando l’immobile sia stato mostrato per il suo tramite, quand’anche in assenza del mediatore, il diritto alla provvigione insorge comunque, purché le parti siano state messe in grado di conoscere l’opera di intermediazione svolta dal mediatore, grazie alla cui attività hanno concluso l’affare, nonché di valutare l’opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione, soggiacendo ai conseguenti oneri, con la conseguenza che la prova
di tale conoscenza incombe, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., sul mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (in questi termini, Cass., Sez. 2, 6/5/2019, n. 11776).
3.2 Nella specie, i giudici di merito, dopo avere considerata dimostrata l’iscrizione della FIMM al ruolo dei mediatori, hanno affermato che l’attività svolta dal COGNOME, consistita nel far visionare la casa compravenduta al COGNOME, fosse riconducibile alla predetta impresa, con la quale egli collaborava come consulente e addetto alle pubbliche relazioni nel periodo 20082010, come confermato dai testi sentiti (lo stesso COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), e che l’appellante non potesse ignorare di avere a che fare con un intermediario immobiliare, alla luce di quanto da lui affermato nella comparsa di costituzione e nella lettera di risposta alle richieste di pagamento inoltrategli dall’impresa, nonché ammesso in sede di interrogatorio formale, restando irrilevante che al momento della visita all’immobile fosse stato presente o meno il titolare dell’impresa COGNOME e che l’agenzia lo avesse messo o meno in contatto con i proprietari del bene da acquistare, piuttosto che con la società, a conduzione familiare e composta dai medesimi proprietari, che si occupava della vendita, una volta dimostrato il nesso causale tra l’intervento dell’agenzia e la conclusione dell’affare.
Tali argomentazioni consentono di escludere certamente tanto il mancato rispetto del c.d. “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., la cui violazione è individuabile nelle ipotesi che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile” (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n.
8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Se z. 6-3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6-3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940), quanto la dedotta violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., non rientrando nel suo ambito applicativo l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
E’ dunque evidente come le censure sollecitino una nuova lettura delle risultanze probatorie, la quale è, però, fuori del perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272).
4.1 Con il terzo motivo, si lamenta, infine, l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di considerare il fatto che il COGNOME, la cui attività aveva determinato, a loro dire, l’insorgere del diritto di RAGIONE_SOCIALE alla provvigione, non era iscritto al ruolo dei mediatori, benché questa circostanza fosse elemento costitutivo della domanda.
4.2 Il quarto motivo è inammissibile.
Nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di
cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Non avendo il ricorrente adempiuto nella specie a tale incombente, ne deriva, sotto questo profilo, l’inammissibilità della censura.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza della prima e seconda censura e l’inammissibilità della terza, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte
del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre