Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31177 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31177 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 05019/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Ascoli Piceno, con procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
COGNOME E COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Ascoli Piceno, con procura speciale in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrenti –
e contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME del foro di Ascoli Piceno, con procura speciale autenticata dal notaio NOME COGNOME in data 6 giugno 2023 -rep. n. 45383
ed elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del difensore iscritto al REGINDE;
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancora n. 3008/2018 depositata il 18 dicembre 2018; nella
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME camera di consiglio del 26 marzo 2024.
Rilevato che:
con atto di citazione del 7 giugno 2007 COGNOME NOME, titolare dello Studio RAGIONE_SOCIALE, evocava -innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno – NOME e NOME COGNOME, proprietari dell’immobile ad uso abitativo sito in San Benedetto del Tronto, INDIRIZZO e i coniugi acquirenti di detta abitazione, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo di accertare il suo diritto alla provvigione in virtù dell’attività di mediazione svolta in relazione alla conclusione del relativo contratto di compravendita e di condannare i convenuti al pagamento in solido tra loro, i primi due quali venditori, il secondo gruppo quali acquirenti, del compenso di euro 19.500,00, pari al 3% del valore del contratto, oltre accessori;
instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il Tribunale adito, con sentenza n. 163/2013, dichiarato il difetto di legittimazione passiva della COGNOME, con rigetto della relativa domanda, accoglieva la domanda attorea nei confronti degli altri convenuti e li condannava al pagamento della somma pari ad euro 19.500,00 per ciascuna parte, oltre ad interessi legali dal maggio 2007 al saldo e alla rifusione delle spese sostenute dalla COGNOME, in ragione della metà per il COGNOME e metà per i fratelli COGNOME rigettata la domanda riconvenzionale per lite temeraria proposta dai coniugi COGNOME–COGNOME;
in virtù di gravame interposto dagli originari convenuti con separati atti di appello, la Corte d’Appello di Ancona, nella resistenza dell’appellata, riuniti i due procedimenti, con sentenza n. 3008/2018, in accoglimento dell’impugnazione e in riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte dalla COGNOME, condannando quest’ultima a restituire agli appellanti quanto da essi corrisposto in esecuzione del provvedimento impugnato, oltre agli interessi legali, dal giorno della riscossione a quello della restituzione.
A sostegno della decisione, la Corte territoriale evidenziava che l’offerta di acquisto dell’immobile per euro 650.000,00 era stata formulata dal COGNOME al di fuori del rapporto con la COGNOME, per l’intervento dell’ing. NOME COGNOME, nel gennaio 2007, amico sia del COGNOME, sia dei Laganà, dunque per effetto di iniziative nuove e diverse dal primo intervento della mediatrice, peraltro contatto curato solo con la moglie del COGNOME, COGNOME NOME, che non aveva portato ad alcun risultato al fine della conclusione dell’affare;
avverso tale decisione la COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui hanno resistito i fratelli COGNOME e il COGNOME con separati controricorsi, contenente l’atto di quest’ultimo anche ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo;
-in prossimità dell’adunanza camerale tutte le parti hanno depositato memoria ed art. 380 bis.1 c.p.c.
Considerato che:
1.con il primo motivo la ricorrente principale censura la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., denunciando il vizio di motivazione apparente, per avere la Corte adita assunto una decisione priva di elementi coerenti, ritenendo l’esistenza di trattative nuove e svincolate dalle precedenti, senza svolgere alcun esame logico-
argomentativo degli elementi acquisiti, sulla base di mere affermazioni di principio, senza spiegare le ragioni per le quali la sentenza del Tribunale fosse meritevole di riforma. La ricorrente sostiene, al contrario, che l’intervento del secondo mediatore non avrebbe interrotto il nesso di causalità tra l’attività del primo mediatore e la conclusione dell’affare.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1754 ce 1755 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver il giudice di merito erroneamente ritenuto che non sussistesse alcun nesso eziologico tra l’attività dell’agenzia di mediazione e la conclusione dell’affare, conseguentemente escludendo l’applicazione delle norme evocate nel caso di specie.
Con il terzo motivo la COGNOME si duole dell’omesso esame circa la richiesta probatoria formulata nella seconda memoria istruttoria depositata nel giudizio di primo grado e concernente l’acquisizione dei tabulati telefonici delle utenze telefoniche delle parti e dell’Ing. COGNOME comprovanti che tra il termine dell’attività svolta dalla COGNOME e l’inizio delle ulteriori trattative erano trascorsi solo otto mesi, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
I primi tre motivi, da trattare unitamente per la connessione argomentativa che li avvince, non possono trovare accoglimento.
Le censure si fondano sull”assunto che non vi siano state nuove trattative, ma la prosecuzione delle prime, per essere stato l’affare concluso solo otto mesi dopo la cessazione dell’attività di intermediazione svolta dall’agenzia. Siffatti accertamenti che la Corte d’appello ha ribaltato, considerando gli elementi di fatto emersi dal giudizio, e correttamente motivato (v. da pag. 7 a pag. 9 della sentenza impugnata), quali in particolare l’incontro fra le parti a cura dell’ing. COGNOME amico di entrambe, che nel gennaio 2007 consigliava il COGNOME di prendere contatto personalmente con i Laganà e l’intervento dello stesso ingegnere per favorire la
conclusione dell’affare, la conoscenza da parte del COGNOME della circostanza di uno sconfinamento nel fondo di proprietà dei Laganà da parte della società RAGIONE_SOCIALE, che aveva acquistato l’Hotel contiguo all’immobile in questione, con conseguente offerta da parte della medesima società del prezzo di acquisto di euro 600.000,00 a risoluzione di ogni controversia, e la decisione del COGNOME di superare detta proposta con l’offerta di euro 650.000,00,sulla base di circostanze affatto diverse rispetto al primo contatto ( si ribadisce il lasso temporale di otto mesi trascorso tra la conclusione dell’attività dell’agenzia nella primavera del 2006 ed il successivo incontro nel 2007, lo sconfinamento nell’area di proprietà dei Laganà da parte della RAGIONE_SOCIALE e infine la maggiorazione del prezzo da euro 450.000,00 a euro 650.000,00, accordo raggiunto peraltro senza la possibilità di soprelevazione prospettata nelle prime trattative), costituiscono un accertamento di merito non censurabile in sede di legittimità, ove supportato, come nella specie, da argomentazioni logiche ed adeguate.
In altri termini, la Corte distrettuale ha correttamente escluso l’ insorgenza del diritto alla provvigione ex art. 1755, comma 1, c.c., in quanto sarebbe stato necessario che tra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare vi fosse un nesso di causalità adeguata, senza che l’aver messo le parti in relazione tra loro sia di per sé sufficiente a conferire all’intervento il carattere dell’adeguatezza e senza che l’intervento di un secondo mediatore sia in sé idoneo a recidere il nesso di causalità tra l’operato del primo mediatore e la conclusione dell’affare, essendo all’uopo necessario che, dopo il fallimento delle trattative avviate per l’intervento del primo mediatore che aveva originariamente messo in contatto le parti, la conclusione dell’affare sia indipendente da tale intervento.
Al contrario, nel caso di specie le parti hanno trattato indipendentemente e l’intervento dell’agenzia che è servito
unicamente a far conoscere alla parte acquirente dell’esistenza del suddetto immobile.
Né rileva, a tal riguardo, la deduzione dell’omesso esame della richiesta istruttoria dell’acquisizione dei tabulati telefonici, dato che il vizio di omesso esame può essere proposto solo in caso di omissione di un elemento di fatto che sia decisivo per il giudizio e che, in caso di accoglimento, avrebbe mutato senza dubbio il suo esito. Nulla di tutto ciò ricorre nella specie, per aver il giudice di secondo grado escluso in radice che il primo contatto avesse avuto un’incidenza sulle nuove trattative che avevano comportato la conclusione dell’affare (Cass. n. 538 del 2024; Cass. n. 403 del 2024; Cass n. 869 del 2018).
2.Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 3 legge n. 794 del 13 giugno 1942, nonché del decreto n. 140/2012 del Ministero della Giustizia 20 luglio 2012, contenenti i criteri per la determinazione delle tariffe professionali, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., in quanto liquidati compensi per valori superiori ai massimi, in particolare modo per ciò che concerne il giudizio di primo grado. Il motivo è infondato.
Occorre premettere che in tema di spese processuali il giudice non deve liquidare le spese con riferimento all’esito di ciascuna fase del giudizio, ma in relazione all’esito finale della lite, potendo addivenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoria nel giudizio di cassazione -e, tuttavia complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte.
Nel caso di specie, la sentenza di primo grado è stata riformata e le spese sono state liquidate inevitabilmente secondo il principio della soccombenza, secondo cui la parte integralmente vittoriosa non deve sopportare nemmeno parzialmente le spese processuali, che
al contrario devono essere sostenute integralmente dalla controparte (Cass., Sez. Un., n. 32906 del 2022).
Quanto poi alla denuncia di superamento dei valori massimi di tariffa, è da sottolineare che non vi è stato per essere state le spese processuali liquidate in conformità ai valori indicati dalle parti ed accertati dai giudici di merito, riconducendoli allo scaglione da euro 5.201,00 ad euro 26.000,00, per cui correttamente per il giudizio di primo grado avanti al Tribunale le spese sono state liquidate seppure nel valore massimo di euro 9.023,00 di cui euro 1.575,00 per studio, euro 1.332,00 per la fase introduttiva, euro 3.200,00 per la fase istruttoria-trattazione ed euro 2.916,00 per la fase decisionale.
3.Il rigetto del ricorso principale esclude l’esame dell’unico motivo (peraltro attinente alla sola motivazione) del ricorso incidentale condizionato.
4.Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore di ciascuna parte controricorrente in euro 3.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda