Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 314 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 314 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi iscritti al n. 22624/2018 R.G. proposti da
NOME, domiciliato ex lege in Roma alla INDIRIZZO presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
-ricorrente principale –
e da
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME (studio legale Aureli), rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso;
-ricorrente incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso Colaiacovo, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso;
-controricorrente –
COGNOME e NOME COGNOME
-intimati – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1127/2018 pubblicata il 13 giugno 2018
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’11 ottobre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
Uditi per il ricorrente principale l’avv. NOME COGNOME e per la ricorrente incidentale l’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1127/2018 (pubblicata il 13 giugno 2018), per quanto in questa sede ancora interessa, la Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della sentenza di primo grado n. 116/2012 emessa dal Tribunale di Sulmona, condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME a pagare all’RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE), originaria attrice, la somma di 5.400,00 euro pro capite , maggiorata degli interessi legali dalla domanda fino al soddisfo, a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta in loro favore dalla prefata società con riguardo alla compravendita di una villetta a schiera sita in Sulmona, INDIRIZZO
Rilevava la Corte abruzzese: -che doveva ritenersi ammissibile la produzione in grado d’appello, da parte della società appellante, di nuovi documenti comprovanti la sua iscrizione nel ruolo dei mediatori; -che dalle risultanze dell’istruttoria espletata in prime cure si ricavava la prova dell’attività di mediazione svolta dalla prefata società e della sua efficienza causale rispetto alla conclusione dell’affare intermediato.
Contro questa sentenza il COGNOME e la COGNOME hanno proposto separati ricorsi per cassazione, resistiti con due distinti controricorsi dall’RAGIONE_SOCIALE, con i quali ha eccepito, in via pregiudiziale, l’inammissibilità degli avversi gravami.
Sono rimasti intimati NOME COGNOME -legale rappresentante, insieme a NOME COGNOME, della predetta società -e NOME COGNOME -marito della NOME -, altre parti del giudizio d’appello definito con la pronuncia qui impugnata.
Per la trattazione dei ricorsi è stata fissata l’udienza pubblica dell’11 ottobre 2023.
Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1)Riunione dei ricorsi
Deve preliminarmente ordinarsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei due ricorsi separatamente proposti dal COGNOME e dalla COGNOME, precisandosi che il primo va qualificato come principale, per essere stato notificato anteriormente al secondo, da considerare, invece, incidentale, pur se non proposto nella forma del controricorso (sull’argomento si vedano, ex ceteris , Cass. n. 36057/2021, Cass. n. 27680/2021, Cass. n. 448/2020, Cass. n. 5695/2015).
2)Illustrazione dei motivi di gravame
2.1)Ricorso principale
Il ricorso proposto dal COGNOME è affidato a sette motivi.
Con il primo motivo si denuncia – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c. e degli artt. 1755 e 2697 c.c.
Si censura, in proposito, la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto ammissibile la produzione in grado d’appello da parte dell’RAGIONE_SOCIALE di nuovi documenti -risultati poi decisivi ai fini della riforma dell’impugnata sentenza -, costituiti dalle
certificazioni rilasciate dalla CCIAA del capoluogo abruzzese attestanti l’iscrizione della prefata società e del suo legale rappresentante, NOME COGNOME nel ruolo dei mediatori professionali.
Si assume che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte distrettuale, i documenti in questione non potevano essere considerati indispensabili, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis , poiché la necessità della loro produzione risultava evidente fin dal momento dell’instaurazione della lite, ragion per cui era da escludersi che la parte appellante si fosse trovata nell’incolpevole impossibilità di depositarli nel giudizio di primo grado.
Con il secondo e il terzo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Si sostiene che dalla lettura dell’impugnata sentenza non sarebbe possibile comprendere sulla base di quali elementi fattuali la Corte d’Appello abbia ritenuto sussistente la prova dell’attività di mediazione svolta dall’RAGIONE_SOCIALE con riguardo alla compravendita da lui stipulata con la Santirocco e del nesso di causalità fra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare.
Con il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo viene lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Al riguardo, si deduce quanto segue.
La Corte d’Appello ha posto a base del decisum le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME senza valutarne correttamente il contenuto.
Invero, i primi due avevano posto riferimento a fatti incompatibili con quelli allegati dalla società attrice a fondamento della domanda, in quanto risalenti a un arco temporale (anni 2006 -2007) anteriore all’acquisto da parte del COGNOME Carlo della villetta a schiera da questi poi ceduta alla COGNOME, avvenuto nel gennaio
2008; il terzo, invece, aveva reso dichiarazioni smentite dalle evidenze documentali -con particolare riguardo all’individuazione della villetta a schiera acquistata dalla COGNOME (distinta dal n. 2, e non dal n. 3, come da lui riferito) -e contrastanti con la descrizione fatta dei testi COGNOME e COGNOME, immotivatamente ignorata dall’impugnata sentenza.
Il giudice di secondo grado avrebbe, inoltre, tralasciato di considerare che, in data 2 agosto 2004, il COGNOME aveva conferito all’RAGIONE_SOCIALE l’incarico di ricercare persone interessate all’acquisto di alcune villette a schiera appartenenti alla RAGIONE_SOCIALE, in nome e per conto della quale aveva apposto la propria firma in calce al relativo mandato.
Tale incarico, di durata semestrale, era scaduto il 2 febbraio 2005, ben prima degli accadimenti esposti dai testimoni escussi in corso di causa e dell’acquisto da parte dello stesso COGNOME della villetta da lui in sèguito venduta alla COGNOME, sicché non aveva alcuna attinenza con l’affare oggetto della presente controversia, che invece era stato concluso dall’avv. NOME COGNOME.
2.2)Ricorso incidentale
Il ricorso proposto dalla COGNOME è articolato in due motivi.
Con il primo motivo è denunciata – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, nonché degli artt. 10 e 11 delle preleggi.
Si contesta alla Corte aquilana di aver illegittimamente ammesso la produzione in grado d’appello, sul presupposto della loro ritenuta indispensabilità, di nuovi documenti attestanti l’iscrizione dell’RAGIONE_SOCIALE e della sua legale rappresentante NOME COGNOME nel ruolo dei mediatori professionali.
Si osserva, in proposito, che, dovendo trovare applicazione, nella
fattispecie in esame, il nuovo testo dell’art. 345, comma 3, c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, la produzione di nuovi documenti in appello sarebbe stata ammissibile nella sola ipotesi in cui fosse stata dimostrata l’impossibilità di produrli nel giudizio di primo grado per causa non imputabile alla parte interessata; prova che, tuttavia, non era stata fornita dall’appellante RAGIONE_SOCIALE
Con il secondo motivo è lamentata -sempre con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nella versione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. innanzi citato.
Si deduce che, quand’anche fosse stato ritenuto applicabile alla presente controversia il testo previgente dell’art. 345, comma 3, c.p.c., la Corte d’Appello avrebbe comunque errato ad ammettere la produzione dei nuovi documenti in questione, non potendo inquadrarsi nel concetto di prova indispensabile la dimostrazione di una condizione dell’azione, quale andava considerata l’iscrizione della società attrice nel ruolo dei mediatori istituito dalla L. n. 39 del 1989, vigente all’epoca dei fatti di causa (poi sostituita dalla segnalazione certificata di inizio dell’attività da presentare alla CCIAA per il tramite dello sportello unico del Comune territorialmente competente, ai sensi dell’art. 73, comma 2, del sopravvenuto D. Lgs. n. 59 del 2010).
Ciò in quanto tale , doveva essere offerta dall’attrice fin dall’introduzione del giudizio di primo grado o al più tardi entro il termine perentorio di cui all’art. 183, comma 6, n. 2) c.p.c..
3)Esame dei motivi
3.1.) Ricorso principale
3.2.) Questione pregiudiziale
In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’RAGIONE_SOCIALE sul dedotto presupposto dell’ effettuata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME nell’asserita qualità di sua nel giudizio di appello.
La stessa controricorrente riconosce di aver eletto domicilio presso la predetta avv. COGNOME nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’Appello di L’Aquila.
Nessun dubbio può, pertanto, sussistere circa la regolarità della notificazione del ricorso, la quale risulta essere stata eseguita mediante consegna di copia dell’atto a persona abilitata a riceverla in nome e per conto della parte destinataria.
Né a diversa conclusione può indurre la circostanza che nella relata di notifica del ricorso, per mero errore materiale, l’avv. COGNOME sia stata definita non solo , ma anche dell’RAGIONE_SOCIALE, in quanto nell’intestazione dell’atto veniva chiaramente indicato che la suddetta agenzia immobiliare risultava ed .
Fermo quanto precede, alla luce dei princìpi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14916/2016, risolutiva di un contrasto giurisprudenziale formatosi sulla relativa questione, l’ipotetico vizio della notificazione potrebbe tutt’al più comportarne la nullità, ma non di certo l’inesistenza, e dovrebbe, quindi, ritenersi comunque sanato per raggiungimento dello scopo, in virtù del principio generale di cui all’art. 156, comma 3, c.p.c., dalla predisposizione e dalla successiva notifica del controricorso ad opera della parte resistente (cfr. Cass. n. 18402/2018 e Cass. n. 24450/2017).
3.3.) Valutazione dei motivi
Ciò chiarito quanto alla prospettata eccezione pregiudiziale di rito, il
collegio ritiene che il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis n. 1) c.p.c.
Va anzitutto rilevato che, in assenza di una specifica disciplina transitoria e in virtù del generale principio processuale ‘tempus regit actum’ , la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., quale risultante a sèguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, deve ritenersi operante nel solo caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012, trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della citata legge di conversione (cfr. Cass. n. 24212/2021, Cass. n. 11606/2021, Cass. n. 6590/2017).
Tanto premesso, si osserva che, in base al testo previgente della menzionata norma processuale -applicabile ratione temporis alla presente controversia, essendo stata la sentenza di primo grado pubblicata il 2 marzo 2012 -, nel giudizio di appello possono essere prodotti nuovi documenti non soltanto ove la parte dimostri di non aver potuto produrli in prime cure per causa ad essa non imputabile, ma anche quando il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa.
Il concetto di indispensabilità della prova, ivi compresa quella documentale, è stato precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 10790/2017, intervenuta a dirimere un contrasto giurisprudenziale.
Con il menzionato arresto il massimo organo nomofilattico ha affermato che per prova indispensabile deve intendersi quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni
istruttorie del primo grado.
Alla stregua di questo principio di diritto -ribadito da successive pronunce di questa Sezione con specifico riferimento alla possibilità di produrre in appello nuovi documenti comprovanti l’iscrizione nel ruolo dei mediatori professionali (cfr. Cass. n. 17482/2020 e Cass. n. 8529/2018; in terminis già Cass. n. 22801/2016, sezione VI, sottosezione II) -, non solo deve escludersi che la Corte aquilana sia incorsa nella denunciata violazione di legge, ma, ancor prima, va dichiarata l’inammissibilità del motivo in esame, avendo l’impugnata sentenza deciso la quaestio juris in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, senza che il ricorrente abbia offerto elementi che possano indurre il Collegio a mutarne l’orientamento. possono essere esaminati
Il secondo e il terzo motivo, che congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.
Giova rammentare che, a sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del c.d. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nelle ipotesi -che si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. -di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «motivazione apparente», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di «motivazione perplessa od incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza della mera «insufficienza» o «contraddittorietà» della motivazione; con la precisazione che l’anomalia motivazionale deve emergere dal testo del provvedimento impugnato, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., tra le tante, a cominciare da Cass. Sez. Un. 8053/2014, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. n. 12241/2020, Cass. n. 8699/2022 e Cass. n. 20598/2023).
Ciò posto, si rileva che la Corte d’Appello di L’Aquila, all’esito di una valutazione complessiva delle risultanze processuali, ha ritenuto raggiunta la prova dell’attività di intermediazione svolta dall’RAGIONE_SOCIALE con riguardo alla compravendita intercorsa fra il COGNOME e la COGNOME, nonché del nesso di causalità fra il suo intervento e la conclusione dell’affare.
In particolare, il collegio abruzzese ha in primo luogo appurato, attraverso l’esame della documentazione prodotta in giudizio, che il COGNOME ebbe a conferire in proprio alla predetta agenzia immobiliare un incarico di mediazione -«diverso e successivo» rispetto a quello che egli aveva in precedenza affidato alla stessa in nome e per conto della RAGIONE_SOCIALE -, finalizzato alla vendita di una sola delle villette originariamente appartenenti a quest’ultima società, e precisamente di quella distinta dal n. 2).
Ha quindi accertato, alla stregua dell’espletata istruttoria orale, che le legali rappresentanti dell’RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, accompagnarono diverse persone a visitare la villetta in questione -di cui continuavano a detenere le chiavi anche dopo la scadenza del termine di durata dell’incarico inizialmente stabilito in sei mesi e da ritenersi di fatto prorogato -e che fra queste vi era anche il marito della COGNOME, NOME COGNOME, al quale l’immobile fu «mostrato» nello stesso anno (2008) della stipula del contratto intermediato.
Sulla scorta di questi elementi, ha tratto la conclusione che «la COGNOME abbia acquistato l’immobile per effetto dell’intermediazione della Abitare» , non mancando, altresì, di sottolineare che in relazione alla vicenda dedotta in giudizio l’avv. NOME COGNOME, collega del COGNOME, si era limitata alla prestazione di attività di «consulenza e supporto della acquirente» . Da quanto precede si evince, quindi, che la motivazione della sentenza esiste materialmente, è del tutto adeguata e non risulta affetta da palese illogicità o da irriducibili contraddizioni.
Essa, inoltre, non può ritenersi meramente apparente, in quanto, attraverso il richiamo a uno specifico documento acquisito agli atti di causa (l’incarico di mediazione conferito dal Di Carlo all’RAGIONE_SOCIALE, relativo alla villetta n. 2) e alle deposizioni rese da testimoni precisamente indicati (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), reca argomentazioni idonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento e gli elementi istruttori sui quali esso si fonda.
D’altronde, come innanzi si è avuto modo di chiarire, le gravi anomalie motivazionali suscettibili di determinare la nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c. devono emergere direttamente dal testo del provvedimento, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, sicché non può a tal fine attribuirsi rilievo all’eventuale erroneo apprezzamento delle prove (costituite e costituende) da parte del giudice di merito.
In definitiva, la Corte abruzzese ha acclarato che l’RAGIONE_SOCIALE, su incarico del COGNOME, ebbe a reperire una persona interessata all’acquisto della villetta di proprietà del mandante, individuandola nella Santirocco, e nel contempo consentì a quest’ultima (per il tramite del coniuge) di visitare l’immobile, in tal modo ponendo in contatto le parti e realizzando un antecedente causale indispensabile per la conclusione del contratto di compravendita, avvenuta nel corso dello stesso anno in cui fu effettuata quella visita.
La decisione assunta dalla Corte distrettuale, oltre ad essere sorretta da una motivazione rispettosa del c.d. «minimo costituzionale», appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale in subiecta materia ha ripetutamente statuito:
-che, al fine del sorgere del diritto del mediatore alla provvigione ex art. 1755, comma 1 c.c., è necessario che fra la sua attività e la
conclusione dell’affare sussista un nesso di causalità adeguata, non potendo all’uopo reputarsi sufficiente la sola messa in relazione delle parti (cfr. Cass. n. 24552/2023, Cass. n. 3165/2023, Cass. 27185/2022, Cass. n. 11443/2022);
-che la prestazione del mediatore può esaurirsi nel ritrovamento e nell’indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative fino alla stipulazione del contratto, sempre che questa possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario (cfr. Cass. n. 109/2023, Cass. n. 22975/2022, Cass. n. 20130/2022, Cass. n. 11443/2022, Cass. n. 3134/2022; si vedano pure Cass. n. 5762/2003 e Cass. n. 3438/2002, richiamate da Cass. n. 9884/2008, relative a fattispecie in cui l’attività svolta dal mediatore era consistita proprio nel far visionare l’immobile alla persona interessata all’acquisto), e non rilevando in contrario che la conclusione dell’affare sia avvenuta dopo la scadenza dell’incarico conferitogli (cfr. Cass. n. 25762/2018, Cass. n. 23842/2008, Cass. n. 5762/2003).
Il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo, da scrutinare insieme perché strettamente connessi, sono inammissibili.
Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, l’omesso esame di cui all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. deve riguardare non già una semplice questione o un punto, bensì un vero e proprio ‘fatto’ in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante.
Nell’accezione indicata, non costituiscono, invece, fatti le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (cfr. Cass. n. 5616/2023, Cass. n. 976/2021, Cass. n. 17536/2020, Cass. 22397/2019).
Il fatto così propriamente inteso deve risultare dal contenuto della
sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), aver costituito oggetto di discussione e rivestire carattere decisivo, nel senso che, ove fosse stato preso in esame, avrebbe determinato un esito sicuramente diverso della controversia (cfr. Cass. n. 27282/2022, Cass. n. 19362/2022, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. n. 15860/2019).
Ne consegue che, in rigorosa osservanza delle previsioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4) c.p.c., il ricorrente è tenuto a indicare il ‘fatto storico’ non esaminato, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto abbia formato oggetto di discussione processuale fra le parti e la sua ‘decisività’ (cfr. Cass. n. 9986/2022, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. n. 15784/2021, Cass. n. 20625/2020).
Ora, a prescindere dal rilievo che il suaccennato onere deduttivo non è stato adeguatamente assolto dal COGNOME, va osservato che le censure da lui sollevate esorbitano dal perimetro applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., non sostanziandosi nella denuncia dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, oggetto di discussione e di carattere decisivo, nei termini innanzi chiariti, ma risolvendosi in una complessiva critica all’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto dal giudice di appello, prospettato in ricorso come erroneo e deficitario.
Sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame, i motivi tendono, dunque, a sollecitare una nuova e diversa valutazione dei fatti storici ricostruiti dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 4247/2023, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. Sez. Un. n. 34476/2019, Cass. Sez. Un. n. 19229/2019), andando inevitabilmente incontro a una declaratoria di inammissibilità.
4)Ricorso incidentale
Il ricorso incidentale, come fondatamente eccepito dalla
contro
ricorrente, è inammissibile per tardività.
Emerge ex actis che, su richiesta dell’avv. NOME COGNOME, procuratore dell’RAGIONE_SOCIALE, la sentenza d’appello è stata notificata il 20 giugno 2018 all’avv. NOME COGNOME nella qualità di della COGNOME.
È pur vero che nel giudizio svoltosi dinanzi alla Corte distrettuale si era successivamente costituito nell’interesse dell’odierna ricorrente l’avv. NOME COGNOME il quale, nella memoria ex art. 83, comma 3, c.p.c. depositata il 18 febbraio 2015, aveva fatto riferimento all’intervenuta .
Sennonchè, dall’esame della procura ad litem stesa in calce alla predetta memoria non si evince in alcun modo la volontà della COGNOME di revocare i poteri di rappresentanza e difesa attribuiti all’avv. COGNOME anzi, la locuzione utilizzata nella formula di conferimento del mandato lascia arguire l’esatto contrario, ovvero che la sua intenzione fosse quella di designare l’avv. COGNOME in aggiunta al (e non in sostituzione del) precedente difensore (si vedano, sull’argomento, Cass. n. 34800/2021, Cass. n. 8525/2017, Cass. n. 10196/2015).
Peraltro, l’atto processuale includente la dichiarazione di revoca della procura era stato sottoscritto esclusivamente dall’avv. COGNOME e non anche dalla COGNOME la quale soltanto aveva il potere di privare dello ius postulandi il difensore da lei nominato.
In un simile contesto, ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, la notificazione della sentenza ben poteva essere eseguita dall’RAGIONE_SOCIALE presso la menzionata avv. COGNOME atteso che, qualora una parte sia costituita in giudizio a mezzo di due o più procuratori con uguali poteri di rappresentanza, ciascuno di loro è legittimato a ricevere la notificazione degli atti della controparte (cfr. Cass. n. 10632/2017, Cass. n. 243/2004, Cass. n. 9787/2001, Cass. n. 10109/1994).
Ne discende la tardività del ricorso in esame, il quale risulta notificato il 16 ottobre 2018, ben oltre il termine di sessanta giorni in proposito stabilito dal combinato disposto degli artt. 325, comma 2, e 326, comma 1, c.p.c., calcolato al netto del periodo di sospensione feriale operante dal 1° al 31 agosto 2018 a norma dell’art. 1, comma 1, L. n. 742 del 1969, nella nuova versione risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 132 del 2014, convertito dalla L. n. 162 del 2014.
5.) Conclusioni
In definitiva, il ricorso principale va respinto, mentre quello incidentale deve essere dichiarato inammissibile.
I ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME vanno condannati a rifondere alla controricorrente RAGIONE_SOCIALE le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
Nei loro confronti può essere pronunciata condanna solidale, ai sensi dell’art. 97, comma 1, 2° periodo, c.p.c., in ragione della comunanza di interessi rivelata dalla parziale identità delle questioni sollevate e dibattute e dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria (cfr. Cass. n. 1650/2022, Cass. n. 27476/2018, Cass. n. 20916/2016, Cass. n. 16056/2015).
Per lo stesso motivo, nei rapporti fra i predetti ricorrenti le spese in questione possono essere interamente compensate.
Nulla, infine, va statuito sul punto nei riguardi delle parti rimaste intimate.
Alla liquidazione dei compensi e delle spese spettanti al difensore della NOME, ammessa al beneficio del patrocinio a carico dell’erario, dovrà provvedere il giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, giusta il disposto dell’art. 83, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia).
Stante l’esito delle impugnazioni, viene resa nei confronti dei ricorrenti l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , D.P.R.
cit., inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.
Condanna i ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido fra loro, a rifondere alla controricorrente RAGIONE_SOCIALE le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 1.700,00 euro (di cui 200,00 per esborsi), oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Compensa interamente le dette spese nei rapporti fra i ricorrenti. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto dal comma 1 -bis dello stesso articolo per l’impugnazione da loro rispettivamente proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda