Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 469 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 469 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12204/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrentenonchè contro
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 94/2020 pubblicata il 13/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 94/2020 pubblicata il 13 gennaio 2010, per quanto qui ancora interessa, la Corte d’Appello di Milano riformava la decisione di primo grado assunta dal Tribunale meneghino, condannando NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, nonchè NOME COGNOME, a pagare all’appellante RAGIONE_SOCIALE le somme a questa spettanti a titolo di provvigione per l’attività di mediazione svolta in favore dei sunnominati nella compravendita di un immobile sito nel capoluogo lombardo alla INDIRIZZO; somme quantificate nella misura di 59.200 euro a carico dei COGNOME –COGNOME e di ulteriori 59.200 euro a carico della sola COGNOME, il tutto oltre IVA e interessi legali.
Contro tale sentenza, notificata ai sensi dell’art. 285 c.p.c. il 13 gennaio 2020, la Crocco ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, resistiti con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati i litisconsorti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 -bis .1 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35, comma 6, D. Lgs. n. 149 del 2022.
Le parti costituite hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso vengono lamentati i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 1387, 1388, 1392 e 2697 c.c., nonché di omesso esame di .
Si contesta alla Corte ambrosiana di avere a torto ritenuto che tra i COGNOME –COGNOME e la COGNOME sia intercorsa la stipula di un valido ed efficace contratto preliminare di compravendita dell’immobile sito in Milano alla INDIRIZZO e che, conseguentemente, in capo alla RAGIONE_SOCIALE sia maturato il diritto alla provvigione per l’attività di mediazione svolta in favore delle parti, essendosi verificato il presupposto fondamentale all’uopo richiesto dall’art. 1755, comma 1, c.c., costituito dalla conclusione dell’affare.
Al collegio milanese sarebbe, infatti, sfuggito che il preliminare in questione, recante la data dell’11 settembre 2014, era stato sottoscritto, oltre che dalla promissaria acquirente COGNOME, dal solo promittente alienante NOME COGNOME, comproprietario dell’immobile promesso in vendita, il quale non aveva espressamente dichiarato nell’atto di agire anche in nome e per conto dei comproprietari NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME ma si era semplicemente limitato ad apporre la propria firma in calce alle parole .
In mancanza della spendita del nome dei predetti comproprietari, , il contratto non poteva ritenersi produttivo di effetti vincolanti nei confronti delle parti, sicchè la pretesa avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE andava respinta, in quanto priva di fondamento.
Con il secondo motivo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., nonché l’omessa valutazione di .
Si rimprovera al giudice di appello di avere, in difetto di indizi gravi, precisi e concordanti e in presenza di elementi documentali e logici di segno contrario, erroneamente presunto l’esistenza di una procura scritta a vendere rilasciata a NOME COGNOME dagli
altri comproprietari dell’immobile promesso in vendita; procura non allegata al contratto né successivamente prodotta in atti.
Con il terzo motivo è denunciata la della sentenza per contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato che, quand’anche il COGNOME risultasse aver contrattato con la COGNOME in mancanza della procura a vendere degli altri comproprietari o senza operare la spendita del loro nome, si sarebbe ugualmente perfezionato un affare rilevante ai fini applicativi della norma di cui all’art. 1755, comma 1, c.c..
A sostegno della censura si evidenzia che, a voler seguire il ragionamento del collegio milanese, il negozio di cui trattasi integrerebbe alternativamente, a seconda delle ipotesi prospettate: a)un contratto preliminare di vendita valido ed efficace inter partes ; b) un preliminare concluso da falsus procurator ; c) un preliminare di vendita di cosa altrui; d) un preliminare di vendita di bene in comunione stipulato da uno solo dei comproprietari.
Ciò non consentirebbe di comprendere .
Conviene esaminare con priorità il terzo motivo, che per la sua infondatezza rende superfluo il vaglio degli altri due mezzi.
Come inequivocabilmente emerge dalla sua lettura, la sentenza impugnata si fonda su due autonome rationes decidendi , ciascuna delle quali sufficiente, di per sé sola, a sorreggerla.
Invero, la Corte d’Appello di Milano ha affermato, in prima battuta, che in data 11 settembre 2014 ebbe luogo la conclusione di un contratto preliminare di compravendita produttivo di effetti vincolanti nei confronti tanto della COGNOME quanto dei COGNOMECOGNOME, comproprietari dell’immobile promesso in vendita, proveniente dall’eredità della defunta NOME COGNOME.
A giudizio del collegio meneghino, nella citata occasione il
promittente alienante NOME COGNOME agì anche in veste di rappresentante degli altri eredi COGNOME, dei quali spese il nome, risultando munito di procura scritta a vendere dagli stessi rilasciatagli.
In linea gradata, la Corte ambrosiana ha messo in rilievo che, «quand’anche il dott. COGNOME (diversamente da quanto sin qui ritenuto) avesse accettato la proposta di acquisto senza avere poteri rappresentativi o senza spendere il nome dei comproprietari, ciò nondimeno si sarebbe comunque concluso un affare e, cioè, un’operazione economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, posto che, in un caso, si sarebbe trattato del contratto concluso dal falsus procurator (con conseguente responsabilità risarcitoria in capo al falsus procurator, a prescindere dalla possibilità di ratifica da parte degli altri comproprietari), nell’altro caso, si sarebbe trattato di un preliminare di vendita di cosa altrui, idoneo a far sorgere il diritto del mediatore alla provvigione…, ovvero di un contratto di vendita di un bene in comunione stipulato da uno solo dei comproprietari, comunque valido ma inopponibile ai comproprietari che non abbiano preso parte all’atto…» (pag. 17 della sentenza, ultimi 9 righi, e pag. 18, primi 2 righi).
Il giudice distrettuale ha quindi giustificato la propria decisione sulla base di due motivazioni alternative.
Nell’impugnata sentenza viene, infatti, chiarito che, ai fini dell’art. 1755, comma 1, c.c., l’affare intermediato dovrebbe ritenersi concluso anche qualora risultasse accertato che il promittente alienante NOME COGNOME si obbligò a trasferire l’immobile di INDIRIZZO in mancanza della procura a vendere degli agli altri comproprietari o senza spendere il loro nome, giacchè in questa eventualità sarebbe pur sempre venuto ad esistenza fra le parti contraenti un preliminare di vendita concluso da falsus procurator o altrimenti un preliminare di vendita di cosa (parzialmente) altrui o, ancora, un preliminare di vendita della cosa
comune stipulato da uno solo dei comproprietari.
In ognuna delle ipotesi formulate andrebbe comunque riconosciuto il diritto del mediatore alla provvigione, essendosi in presenza di operazioni di natura economica idonee a costituire un vincolo giuridico che abilita le parti ad agire per l’adempimento dei patti stipulati ovvero per il risarcimento del danno derivante dal mancato conseguimento del risultato utile del negozio programmato (si vedano, sull’argomento, in aggiunta alle pronunce citate nella sentenza d’appello, Cass. n. 2385/2023, Cass. n. 28879/2022, Cass. n. 17396/2022, Cass. n. 32066/2021, Cass. n. 6815/2021, Cass. n. 7781/2020, Cass. n. 30083/2019).
Ciò posto, giova rammentare che la sentenza con la quale il giudice di merito, dopo aver aderito a una prima ragione di decisione, esamini e accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la pronuncia nel caso in cui la prima possa risultare erronea, non incorre nel vizio di contraddittorietà della motivazione -sussistente nella diversa ipotesi di contrasto tra argomenti confluenti nella stessa ‘ratio decidendi’ -, né contiene, quanto alla ‘ ratio’ alternativa o subordinata, un mero ‘obiter dictum’ , insuscettibile di trasformarsi in giudicato.
Detta sentenza configura, invece, una pronuncia basata su due distinte ‘rationes decidendi’ , ciascuna di per sé sola sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con la conseguenza che il soccombente è onerato di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del gravame (cfr. Cass. n. 3454/2023, Cass. n. 13880/2020, Cass. n. 10815/2019, Cass. n. 6045/2010 e Cass. n. 21490/2005); sanzione, questa, scaturente dall’acquisita definitività della decisione retta dall’autonoma ratio non impugnata, che giammai potrebbe essere intaccata dall’eventuale accoglimento delle censure relative all’altra (cfr. Cass. Sez. Un. n. 10852/2022, Cass. n. 15399/2018, Cass. n. 18641/2017).
Sulla scorta di quanto precede, va senz’altro escluso che la
motivazione della sentenza d’appello sia affetta da contraddittorietà.
Nel contempo, deve rilevarsi che la seconda ratio decidendi prospettata dalla Corte ambrosiana, in alternativa a quella incentrata sulla ritenuta conclusione di un contratto preliminare di compravendita valido ed efficace nei confronti della COGNOME e di tutti gli eredi COGNOME non risulta attinta da alcuna specifica censura.
In un simile contesto, una volta acclarata l’infondatezza della doglianza mossa con il terzo motivo, diviene ultronea la disamina degli ulteriori mezzi di gravame, afferenti alla prima motivazione posta a base del decisum .
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.
Nei rapporti fra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Nulla va disposto in ordine alle dette spese nei confronti delle parti rimaste intimate.
Stante l’esito del giudizio, deve essere resa a carico della ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi 6.200 euro, di cui 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , D.P .R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda