Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6283 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6283 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26625/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME EMAIL, giusta procura speciale in calce al ricorso.
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ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
NOME EMAIL, giusta procura speciale in calce al contro ricorso.
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contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 434/2022 depositata il 08/04/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/11/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza n. n. 434/2022 dell’8 aprile 2022 con cui la Corte d’Appello di Salerno conferma la sentenza n. 1050/2028 con cui, a sua volta, il Tribunale di Salerno, in accoglimento dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, revocava il decreto ingiuntivo -chiesto ed ottenuto dal Campione per ingiungere il pagamento del compenso a lui asseritamente dovuto a titolo di provvigione per la vendita di un immobile- e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della società opponente, condannava NOME alla restituzione della somma a suo tempo versata dalla società come primo acconto, sul rilievo della integrale inesistenza del credito vantato.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa; la memoria depositata dalla società resistente non rispetta i requisiti di legge, dato che si limita a riprodurre le conclusioni assunte ed a dare atto dell’allegata nota spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 c.c. e 1362 c.c., in combinato
disposto con l’art. 1988 c.c. e 2697 c.c. e con gli articoli 1703 c.c. e 1774 c.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.’.
Lamenta che, erroneamente, la corte territoriale ha affermato l’inesistenza del suo credito per attività di procacciamento di affari, ovvero di intermediazione immobiliare, sul rilievo della mancata iscrizione all’albo dei mediatori: invero, il credito vantato da NOME COGNOME si fonderebbe su un diverso e successivo rapporto di mandato, concluso solo con la società Parco degli Aranci, in forza del quale la società gli aveva riconosciuto una provvigione di euro 400.000,00 ‘in ragione del fatto che egli è riuscito a far ridurre l’iniziale richiesta del venditore’.
In altre parole, dunque, la provvigione, di cui NOME COGNOME chiede il pagamento, si riferirebbe ‘ad un successivo mandato di gestione della trattativa con il venditore’ per esclusivo conto del compratore Parco degli Aranci (v. p. 9 del ricorso).
1.1. Il motivo è infondato.
Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che la corte territoriale: ha esaminato la scrittura privata stipulata tra l’odierno ricorrente e la società resistente, ha qualificato il compenso preteso dal primo a titolo di provvigione afferente alla compravendita (tra la società, promissaria acquirente, ed il promittente venditore), ed ha escluso la ricorrenza di altri e diversi titoli dell’obbligazione, sull’espresso rilievo per cui ‘non vi sono elementi per individuare se vi siano stati altri incarichi, se questi altri incarichi abbiano avuto ad oggetto la stessa operazione commerciale ed in quali concrete operazioni si siano svolti’.
Il ricorrente, dunque, per un verso omette di considerare questo espresso passaggio motivazionale, per altro verso, sotto la formale invocazione della violazione di norme di diritto,
pretende di contrapporre una propria diversa interpretazione dei fatti di causa rispetto a quella assunta dalla corte di merito, sollecitando a questa Suprema Corte un riesame del fatto e della prova che è invece precluso in sede di legittimità (v., tra le tantissime, Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987; Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053).
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art.117, comma 1 Cost., della legge n. 39/1989 in relazione alla Direttiva CE n. 2005/36 ed alla Direttiva CE n. 2006/123, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’.
Lamenta che la Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza di prime cure in punto di inesigibilità del credito per provvigione, sul rilievo del difetto di iscrizione all’albo dei mediatori e della conseguente violazione della legge n. 39/1989, la cui disciplina ha ritenuto essere conforme alla normativa comunitaria.
Deduce che, così argomentando, la corte territoriale ha tuttavia fatto riferimento ad una disciplina anacronistica e, dato che il rapporto tra le parti era sorto nell’anno 2008, ha trascurato di considerare le direttive 2006/123/CE e la direttiva 2005/36/CE all’epoca vigenti; se le avesse prese in considerazione, sarebbe pervenuta ad una decisione diversa, nel senso che avrebbe ritenuto la legge n. 39/1989 contrastante con il diritto comunitario e l’avrebbe, conseguentemente, disapplicata.
2.1. In disparte il pur non marginale rilievo per cui il ricorrente assertivamente invoca il potere del giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in -asserito- contrasto con il diritto comunitario, trascurando di confrontarsi con la complessa elaborazione svolta dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui il giudice nazionale non solo, nell’esercizio del suo potere di disapplicazione della norma nazionale, deve verificare la natura chiara, precisa e incondizionata della norma comunitaria,
ma deve anche previamente vagliare la possibilità di fare uso della regola ermeneutica della cd. interpretazione conforme, il motivo è manifestamente infondato.
2.2. Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta infatti che la corte di merito si è pronunciata in applicazione del consolidato orientamento di questa Suprema Corte, secondo il quale colui che proponga domanda di pagamento della provvigione deve dimostrare, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge n. 38 del 1989, di essere iscritto nel ruolo degli agenti di affari in mediazione, mentre la mancanza di iscrizione comporta la nullità del contratto, rilevabile d’ufficio dal giudice, ed esclude il diritto alla provvigione (v. Cass., 20/08/2020, n. 17478, espressamente richiamata dalla corte d’appello, nonché Cass., 13/04/2023, n. 9814; Cass., 09/02/2023, n. 4019; Cass., Sez. Un., 02/08/2017, n. 19161).
E’ stato inoltre precisato che nulla è mutato, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 59/2010, dato che ‘ In tema di mediazione, l’art. 73 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che ha soppresso il ruolo dei mediatori di cui all’art. 2 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, non ha però abrogato tale legge, disponendo anzi che le attività da essa disciplinate sono soggette a dichiarazione di inizio di attività corredata da certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, da presentare alla camera di commercio; ne consegue che l’art. 6 della legge n. 39 cit. deve interpretarsi nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa di cui al d.lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione i soli mediatori iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass., 08/07/2010, n. 16147; Cass., 16/01/2014, n. 762; Cass., Sez. Un., 02/08/2017, n. 19161).
2.3. L’impugnata sentenza richiama poi, correttamente, la giurisprudenza della Corte di Giustizia Ue, secondo cui ‘L a
direttiva del Consiglio 12 gennaio 1967, 67/43/CEE, relativa all’attuazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate attinenti: 1) al settore degli « Affari immobiliari (escluso 6401) » (Gruppo ex 640 CITI), 2) al settore di taluni « Servizi forniti dalle imprese non classificati altrove» (Gruppo 839 CITI), non osta ad una disciplina nazionale che riservi l’esercizio di determinate attività nel settore degli affari immobiliari a soggetti legalmente abilitati all’esercizio dell’attività di agente immobiliare’ (Corte Ue, 26 giugno 1992, in causa C-147/91).
Anche questa Suprema Corte è pervenuta ad affermare che ‘La previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo – secondo quanto stabilito dalla l. n. 39 del 1989 – non contrasta con la direttiva 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, giacché tale direttiva – che osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in apposito albo non si rivolge al mediatore, il quale agisce in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto , a tale stregua differenziandosi dall’agente di commercio, che attua invece una collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore’ (Cass., 20/08/2020, n. 17478; Cass., n. 762/2014).
La riserva dello svolgimento dell’attività di mediazione solo a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità tecnica e morale e la previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo si giustifica dunque, nella discrezionale scelta del legislatore nazionale, in relazione alla peculiare importanza assunta dalla mediazione nello sviluppo dei traffici e all’esigenza, sempre più avvertita, di tutelare il generale interesse ad un ordinato e corretto sviluppo di un’attività, che spesso costituisce l’unico tramite per la conclusione degli affari (Cass., Sez. Un.,
02/08/2017, n. 19161, che richiama Cass., n. 13184/2007).
Ed i suindicati principi di diritto trovano, da ultimo, integrale conferma nella recente sentenza 4 ottobre 2024, in causa C242/23, in tema di incompatibilità tra l’attività di mediatore immobiliare e quella di amministratore di condominio
Nello statuire che ‘L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che prevede, in via generale, un’incompatibilità tra l’attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini, esercitate congiuntamente’, la Corte di Giustizia europea ribadisce infatti che l’attività di mediazione immobiliare è una professione regolamentata in Italia e che, secondo le fonti comunitarie, tra cui il già citato art. 25, paragrafo 1, secondo comma, lettera a), della direttiva 2006/123, i requisiti relativi alle professioni regolamentate sono ammessi nei limiti in cui siano giustificati per garantire il rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l’indipendenza e l’imparzialità.
Con il terzo motivo il ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione ‘dell’art. 360 comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il ‘giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché violazione e ‘falsa applicazione dell’articolo 360 c. 1 n. 3 in relazione al disposto degli ‘articoli 1988, 2697 c.c. e 115 c.p.c.’.
Lamenta, per un verso, che la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare non solo la sua domanda di risarcimento dei danni nei confronti del promissario venditore e della società promissaria acquirente ed odierna resistente ‘per aver arbitrariamente e fraudolentemente risolto il contratto preliminare (di compravendita) tra di essi concluso’ (v. p. 14 del
ricorso), ma anche il riconoscimento di debito effettuato in suo favore della società odierna resistente, in ragione non dell’intermediazione, ma dell’opera da lui prestata al fine di ridurre l’iniziale richiesta del venditore, attività dunque diversa dal procacciamento dell’affare immobiliare (v. p. 14 cit.).
3.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.2. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che ‘qualora una questione giuridica implicante un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa’ (v. Cass., n. 32804/2019, nonché Cass., 27/09/2021, n. 26147).
Orbene, la questione avente ad oggetto i danni asseritamente patiti per la risoluzione del contratto preliminare viene sollevata per la prima volta davanti questa Corte, dato che l’impugnata sentenza non ne fa menzione alcuna ed il ricorrente, d’altro canto, non specifica se, dove e quando l’abbia fatta valere nei precedenti gradi di giudizio, in patente violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ.
3.3. Il ricorrente per altro verso inammissibilmente contrappone la propria non accolta tesi difensiva -relativa all’esistenza di una pluralità di incarichi da lui svolti – a fronte della ricostruzione della quaestio facti svolta dalla corte di merito con motivazione congrua, scevra da vizi logico-giuridici e pertanto non più sindacabile in sede di legittimità.
All ‘inammissibilità e infondatezza nei suindicati termini dei
motivi, consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della società controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza