Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
OGGETTO:
mediazione
RG. 7358/2022
C.C. 25-3-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7358/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e
difeso dall’avv. NOME COGNOME
ricorrente
contro
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di Sant’Orsola controricorrente
avverso la sentenza n. 6052/2021 della Corte d’ appello di Roma, depositata il 17-9-2021, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25-32025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 12492/2013 depositata il 7-6-2013 il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME al fine di ottenere da NOME COGNOME il pagamento della provvigione di Euro 30.000,00 , che l’attore sosteneva a lui spettante in qualità di agente immobiliare incaricato della vendita di immobile sito a Riano, in
ragione della conclusione dell’affare dopo la sottoscrizione da parte del convenuto della proposta irrevocabile di acquisto del 31-3-2010.
NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Roma ha accolto con sentenza n. 6052/2021 pubblicata il 17-9-2021, condannando NOME COGNOME a pagare in favore dell’appellante Euro 30.000,00, con gli interessi e la rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La sentenza ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, dichiarando che dalla lettura dell’atto era dato comprendere le censure mosse alla sentenza impugnata e le modifiche richieste. Ha accolto il primo motivo di appello, con il quale l’appe llante aveva dichiarato di avere svolto l’attività di agente immobiliare allegando la relativa documentazione; ha rilevato che la decisione di primo grado era contraddittoria, in quanto aveva riconosciuto che era stato conferito all’agente COGNOME l’incaric o di intermediazione immobiliare avente a oggetto l’alienazione dell’immobile del venditore NOME COGNOME e aveva ritenuto accertata la circostanza che NOME COGNOME fosse a perfetta conoscenza del ruolo di mediatore svolto da COGNOME e di seguito aveva dichiarato che non era stato provato che fosse stata la mediazione di COGNOME a mettere in contatto i futuri contraenti, né che il mediatore avesse proposto la vendita dell’immobile, avesse consentito le visite all’immobile e avesse condotto le trattative fino alla stipula del contratto preliminare. Ha rilevato che da molteplici circostanze -la pregressa conoscenza tra il mediatore e l’acquirente, la sottoscrizione della prima proposta di acquisto e la successiva vendita -risultava provata l’opera di mediazione; il fatto della pregressa conoscenza delle parti, che era stata posta dal Tribunale a fondamento della decisione, di per sé non era idonea a escludere l’instaurarsi di rapporto commerciale tra le parti e l’attore aveva assolto l’onere probatorio s u di lui gravante producendo il mandato alla vendita, la proposta di
acquisto del 31-32010 su carta intestata dell’agenzia immobiliare sottoscritta da COGNOME, la prova delle provvigioni pagate dal proprietario dell’immobile, che erano elementi pienamente idonei a ritenere esistente l’attività di mediazione dotata di efficacia causale per la conclusione dell’affare. Ha dichiarato assorbito il secondo motivo di appello, con il quale l’appellante lamentava il difetto di istruttoria per l’immotivat o rigetto della richiesta di prova testimoniale.
2.Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 25-3-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, intitolato ‘ sull’eccezione di inammissibilità dell’appello’ il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere rigettato la sua eccezione di inammissibilità dell’appello. Richiamando l’art. 342 cod. proc. civ. e rilevando che la motivazione della sentenza di primo grado era stata particolarmente accurata nell’es porre le ragioni per le quali aveva ritenuto la domanda infondata, dichiara che l’appellante si era l imitato a dedurre un difetto di motivazione; sostiene che l’appellante si era sottratto all’obbligo di svolgere censure articolate avverso la sentenza, in quanto il Tribunale aveva affermato che il sorgere del diritto alla provvigione era subordinato allo svolgimento di attività che avesse agevolato la conclusione del contratto di vendita e tale attività non era stata dimostrata; aggiunge che l’appellante aveva utilizzato l’ espediente di attribuire al Tribunale un’affermazione estranea alla pronuncia, e cioè che la pregressa
conoscenza tra proprietario e futuro acquirente avrebbe di per sé escluso il diritto alla provvigione; lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sul rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello sia stata tautologica.
1.1. Il motivo, da qualificare come proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in via assorbente rispetto a ogni altra questione, è manifestamente infondato.
E’ acquisito che gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ. nel testo formulato dal d.l. 83/2012 conv. con mod. dalla legge 134/2012 vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di formule sacramen tali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U 13-12-2022 n. 36481 Rv. 666375-01, Cass. Sez. U 16-11-2017 n. 27199 Rv. 645991-01). Inoltre, nel caso in cui l’appellante lamenti l’erronea ricostruzione dei fatti da parte del giudice di primo grado, può limitarsi a chiedere al giudice di appello di valutare ex novo le prove raccolte e sottoporre le argomentazioni già svolte nel processo di primo grado (Cass. Sez. 6-3 17-12-2021 n. 40560 Rv. 663516-01); nel caso di denuncia di erronea valutazione da parte del giudice di primo grado degli elementi probatori acquisiti, è sufficiente l’enunciazione dei punti sui quali si chiede al giudice di secondo grado il riesame delle risultanze istruttorie e non è necessario che l’impugnazione contenga una puntuale analisi critica delle
valutazioni e delle conclusioni del giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Cass. Sez. 3 4-11-2020 n. 24464 Rv. 659759-01).
Nella fattispecie la stessa sentenza impugnata ha dato atto che l’appellante aveva censurato la sentenza impugnata con il primo motivo di appello, per non avere considerato la documentazione che egli aveva prodotto a dimostrazione dell’attività svolta; ciò è stato evidentemente e legittimamente ritenuto sufficiente dalla Corte d’appello a integrare la parte argomentativa dell’impugnazione, in quanto è sulla base di quella documentazione che la Corte d’appello ha accolto l’impugnazione. Al contrario, la tesi del ricorrente , laddove sostiene che quelle deduzioni non fossero sufficienti a devolvere al giudice d’appello la questione della spettanza della provvigione al mediatore, erroneamente non considera che la parte argomentativa della critica alla pronuncia di primo grado poteva consistere anche nell’individuare gli elementi probatori che la sentenza non aveva preso in esame o aveva preso in esame in termini non condivisi dall’appellante.
2.Con il secondo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione degli art. 1755, 2697 c.c. nonché omessa valutazione di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, 1 comma nn. 3 e 5 c.p.c.’ ; il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia esaminato i fondati e molteplici rilievi del giudice di primo grado circa la mancata o comunque non provata attività di mediazione; rileva che, a fronte del dato che la sentenza del Tribunale aveva evidenziato le specifiche e gravi criticità che viziavano la domanda, la sentenza di appello abbia ritenuto provato l’elemento del rapporto causale tra l’attività del mediatore e la successiva conclusione dell’affare; osserva che la sentenza del Tribunale aveva rilevato come non fosse contestata la circostanza della pregressa conoscenza tra il venditore e il compratore e che quindi nessun elemento indicava che fosse stata la mediazione svolta da COGNOME a
mettere in contatto i futuri contraenti; aggiunge che perciò la Corte d’appello ha fatto cattiva applicazione dell’art. 2697 cod. civ. laddove ha ritenuto dimostrata, in totale assenza di elementi di prova, l’attività di mediazione, senza fornire alcuna spiegazione in grado di superare i molteplici e specifici rilievi svolti dalla sentenza di primo grado, con grave vizio di motivazione.
2.1.Il motivo è inammissibile laddove proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ., in quanto non individua nella sentenza impugnata alcuna violazione delle disposizioni richiamate, ma in sostanza ne lamenta l’erronea applicazione alla fattispecie in ragione dell’erronea ricostruzione dei fatti.
Infatti, al fine del sorgere del diritto alla provvigione ex art. 1755 co.1 cod. civ., è necessario che tra l’intervento del mediatore e la conclusione dell’affare vi sia un nesso di causalità adeguata, alla stregua di un giudizio ex post, ad affare compiuto, e incombe sul mediatore la relativa prova (Cass. Sez. 2 8-1-2024 n. 538 Rv. 66996601, Cass. Sez. 2 2-2-2023 n. 3165 Rv. 666848-01); quindi è necessario e sufficiente che l’attività del mediatore abbia costituito l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi la conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario (Cass. Sez. 2 8-4-2022 n. 11443 Rv. 664384-01, Cass. Sez. 2 16-1-2018 n. 869 Rv. 646668-01). La sentenza impugnata non si è discostata da tali principi e, al contrario, ha individuato le risultanze probatorie sulle quali ha fondato l’esistenza del nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.
Il motivo, anche laddove proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., è inammissibile, in quanto non individua alcun fatto decisivo del quale sia stato omesso l’esame, ma si risolve nel sostenere
che la sentenza d’appello sia erronea perché si è discostata dalle valutazioni delle risultanze istruttorie eseguita dal giudice di primo grado senza motivazione . Infatti, l’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale prevede vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366 co.1 n. 6 e 369 co.2 n.4 cod. proc. civ. il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629831-01, Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01, per tutte).
Dalle deduzioni del ricorrente non è enucleabile neppure vizio di motivazione rilevante in sede di legittimità, perché il sindacato di legittimità è riservato al rispetto del ‘minimo costituzionale’ (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte) e nella fattispecie la motivazione è coerente e completa. Infatti, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la sentenza impugnata ha anche esposto le ragioni per le quali non ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado, rilevando la contraddittorietà sotto il profilo logico e giuridico del fatto che la sentenza di primo grado avesse ritenuto l’esistenza di un conferimento di incarico di
intermediazione immobiliare all’attore, avente a oggetto l’immobile poi acquistato dal convenuto, e poi avesse escluso la prova dell’attività svolta, a fronte del dato che vi era proposta d’acquisto su carta intestata dell’agenzia immobiliare sottoscritta dal convenuto COGNOME e vi erano anche il mandato alla vendita e la prova del pagamento della provvigione da parte del venditore. In questo modo, la Corte d’appello non solo non è incorsa nella violazione dell’art. 2697 cod. civ. pure prospettata nel motivo, in quanto ha ritenuto che l’attore aveva fornito la prova su di lui incombente al fine di ottenere il pagamento della provvigione richiesta; ha anche svolto l’apprezzamento delle risultanze istruttorie in termini immuni da qualsiasi vizio logico e giuridico e che perciò si sottraggono al sindacato di legittimità. Infatti, il ricorrente non offre in questa sede alcun argomento logico o giuridico utile a ritenere che la sottoscrizione della proposta di acquisto su carta intestata dell’agenzia immobiliare fosse elemento a fronte del quale fosse consentito alla Corte d’appello escludere il nesso di causa tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare ; il ricorrente si limita a valorizzare il dato che il Tribunale non avesse ritenuto quel dato probante, ma non riesce a individuare un qualche vizio rilevante in sede di legittimità alla pronuncia della sentenza impugnata, laddove la sentenza ha individuato ed evidenziato le contraddittorietà insite nella pronuncia di primo grado.
3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1755 e 2697 e art. 115 c.p.c. e omesso esame di punto decisivo discusso fra le parti ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.’; sostiene che la decisione si sia posta in contrasto con l’art. 2697 cod. civ., in quanto ha attribuito rilevanza probatoria decisiva, in modo improprio, ai documenti prodotti dal mediatore, che non avrebbero potuto rappresentare una convincente dimostrazione dell’attività di mediazione, mentre l’attore non aveva chiesto di
dimostrare con altri mezzi istruttori l’attività svolta. Sostiene che la sentenza si sia limitata a dichiarare che dai documenti risultava il conferimento dell’incarico e la professione di mediatore dell’attore e quindi non abbia affrontato la vera questione controversa decisa dal Tribunale, riferita al fatto che mancava la dimostrazione dell’effettivo svolgimento da parte dell’attore della tipica attività del mediatore, così eludendo la problematica sottoposta al suo esame.
3.1.Le ragioni già esposte al fine di dichiarare inammissibile il secondo motivo di ricorso impongono di dichiarare inammissibile anche il terzo motivo.
Il ricorrente esegue una lettura parziale della sentenza impugnata, in quanto non considera in alcun modo che la sentenza ha valutato non solo i dati documentali riferiti al fatto che l’attore svolgeva l’attività di mediatore e aveva avuto l’incarico di mediazione dal venditore, ma anche che il venditore aveva pagato la provvigione e, soprattutto, che l’offerta di acquisto da parte di NOME COGNOME era stata eseguita su carta intestata dell’agenzia immobiliare. E’ sulla base della valutazione complessiva di tali dati documentali che la sentenza impugnata ha ritenuto acquisita la prova dello svolgimento da parte del mediatore dell’attività che comportava il diritto alla provvigione ; tale valutazione non è neppure sottoposta a critica pertinente da parte del ricorrente, il quale non deduce, in termini ammissibili in questa sede, per quale ragi one la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere che l’esecuzione dell’offerta di acquisto sulla carta intestata del mediatore non fosse elemento utile a dimostrare il nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare.
4.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione