Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22521 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22521 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
SEZIONE TERZA CIVILE
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
MUTUO FISSAZIONE TERMINE
PER L’ADEMPIMENTO
dott. NOME COGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 20/06/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 24754/2021
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 24754 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
da
NOME COGNOME NOME (C.F.: TARGA_VEICOLO)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: PSN CODICE_FISCALE
-ricorrente principale –
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: CST CODICE_FISCALE)
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE
-ricorrente incidentale-
-controricorrente al ricorso principale- nonché
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-intimato-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Lecce Sezione distaccata di Taranto n. 234/2021, pubblicata in data
22 giugno 2021;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME e NOME COGNOME hanno agito in giudizio nei con- fronti di NOME COGNOME per ottenere l’ accerta mento dell’obbligo
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
di quest’ultimo di restituire loro, rispettivamente, l’importo di € 9.990,00 (in favore del primo) e quello di € 11.390,00 (in favore della seconda), oltre accessori, in virtù di una scrittura privata sottoscritta in data 3 ottobre 2010, nonché la fissazione del termine per l’adempimento, ai sensi dell’art. 1817 c.c..
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Taranto, che ha condannato il Trani a pagare agli attori le somme richieste, fissando il termine del 1° maggio 2041 per l’adempimento , ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dal Trani e ha compensato le spese di quel grado tra le parti.
La Corte d’a ppello di Lecce -Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha fissato il termine per la restituzione delle somme in questione (nonché della decorrenza degli interessi sulle medesime) in quello di dodici mesi dalla pubblicazione della sentenza di secondo grado (avvenuta in data 22 giugno 2021) e ha compensato tra le parti spese del doppio grado del giudizio di merito.
Ricorre il Trani, sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso NOME COGNOME che propone ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altro intimato. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Ricorso principale
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale si denunzia « violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3 ». Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto ammissibile la produzione, da parte degli attori, nel corso del giudizio di secondo grado, della documentazione attestante l’avvenuta estinzione del mutuo
fondiario contratto congiuntamente dalle parti (per l’acquisto di un immobile in favore della sola NOME COGNOME), collegato al rapporto obbligatorio dedotto in giudizio e la cui data naturale finale di scadenza era stata presa a base dal Tribunale ai fini della fissazione del termine per la restituzione delle somme spettanti agli attori.
Il motivo è infondato.
1.1.1 Il rapporto obbligatorio tra le parti (che non è più in contestazione nella presente sede, discutendosi esclusivamente del termine fissato per l’adempimento all’obbligo di restituzione delle somme mutuate dagli attori al Trani) era effettivamente, in qualche modo, collegato alla stipulazione di un mutuo fondiario, contratto congiuntamente dalle parti, ivi incluso il Trani, per l’acquisto di un immobile in favore della sola NOME COGNOME.
Era stato, infatti, stipulato un contratto di mutuo fondiario per finanziare l’operazione di acquisto dell’immobile ed il Trani (all’epoca convivente con la COGNOME) aveva anch’egli assunto la posizione di mutuatario (obbligandosi quindi alla restituzione al la banca degli importi mutuati ed utilizzati per l’acquisto dell’immobile in favore della sola Costa). Per consentire la stipula del suddetto mutuo, però, era stato necessario estinguere precedenti posizioni debitorie personali del Trani: la provvista a tal fine gli era stata fornita dagli attori ed il COGNOME si era obbligato a restituirla, a richiesta degli stessi attori (senza fissazione di un preciso termine, ma su richiesta « all ‘occorrenza ovvero in caso di necessità »).
Il Tribunale, in questa situazione, nel fissare il termine di adempimento dell’obbligazione del Trani di restituzione dell’importo mutuatogli dagli attori per l’estinzione delle sue pregresse posizioni debitorie personali, aveva ritenuto rilevante la circostanza che il Trani sarebbe rimasto obbligato, per la restituzione alla banca dell’importo oggetto del mutuo fondiario, fino
alla naturale scadenza del termine per l’ammortamento del mutuo stesso: di conseguenza, aveva fissato tale termine in coincidenza con la scadenza dell’ultima rata del mutuo , in base all’originario piano di ammortamento pluriennale e, cioè, nel maggio 2041.
In grado di appello, gli attori hanno fatto presente -e documentato -che in realtà il mutuo fondiario era stato da loro estinto nel corso del giudizio di primo grado ed era, quindi, erroneo il presupposto di fatto considerato dal Tribunale (cioè, l’esistenza di una obbligazione di restituzione alla banca delle somme mutuate, gravante sul Trani, con scadenza finale nell’anno 2041).
In merito alla contestazione della parte appellata di tardività della produzione del documento attestante l’estinzione del mutuo fondiario, la Corte d’appello ha affermato quanto segue: « dalla dichiarazione della banca emerge che la detta estinzione anticipata è intervenuta il 10/02/2017, ovvero circa un anno dopo la scadenza dei termini istruttori per la sua produzione in primo grado, e che non può farsi carico agli appellanti di non avere manifestato, prima della definizione del procedimento di estinzione anticipata del mutuo, la loro intenzione in tal senso, giacché la stessa, in quanto tale, non avrebbe avuto alcuna rilevanza, e considerato anche che non era stato oggetto di discussione fra le parti che il termine fissando ex art. 1817 c.c. fosse ancorato o meno alla scadenza del termine per il pagamento completo del mutuo, per il quale risultava pure impegnato il Trani, avendo sin dal principio questi fondato la sua difesa sulla negazione della natura di prestito delle somme chieste in restituzione, l’omessa produzione dell’attestazione de qua si configura come non imputabile agli appellanti. lnvero solo in sede di decisione il primo giudice, considerata la complessa vicenda negoziale e rilevato che il Trani avrebbe continuato ad essere coobbligato nel mutuo stipulato con la Banca mutuante
Monte dei paschi di Siena anche dopo la cessazione della famiglia di fatto tra la Costa e l ‘ appellato, ha ritenuto di far coincidere il termine, fissando ai sensi dell ‘ art. 1817 c.c., con la scadenza dell ‘ ultima rata del mutuo ».
La Corte d’appello ha, in altri termini, ritenuto ammissibile la produzione della documentazione in ordine alla effettiva data di estinzione del mutuo, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., sul duplice assunto che: a) l’estinzione del mutuo era avvenuta dopo la scadenza del termine perentorio per le produzioni documentali in primo grado; b) la produzione della documentazione attestante tale estinzione e la sua data si era resa necessaria solo a seguito della pronuncia della sentenza del Tribunale, avendo quest’ult imo considerato, ai fini della fissazione del termine di adempimento ai sensi dell’art. 1817 c.c., un fatto (la data di estinzione del mutuo) che, almeno in tale ottica, non era stato oggetto di contraddittorio nel corso del giudizio di primo grado. Sulla base di tali rilievi, la Corte d’appello ha ritenuto che l’omessa produzione del documento nel corso del giudizio di primo grado non potesse considerarsi una omissione imputabile agli attori.
Il ricorrente sostiene, invece, che il documento avrebbe ben potuto (e dovuto) essere prodotto già nel corso del giudizio di primo grado, nonostante esso si fosse formato dopo la scadenza dei termini per le produzioni documentali, previa istanza di rimessione in termini da formularsi nel corso dello stesso giudizio di primo grado, con conseguente inammissibilità di detta produzione solo nel corso del giudizio di appello.
Sostiene, cioè, che, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., essendo la produzione del documento possibile in primo grado (sia pure previa istanza di rimessione in termini), essa non avrebbe potuto in nessun caso ritenersi ammissibile in appello.
1.1.2 Il motivo di ricorso in esame pone due questioni di diritto:
in primo luogo, se, laddove un documento rilevante ai fini della decisione si formi solo dopo la scadenza dei termini per le produzioni documentali in primo grado, ma prima della decisione, è onere della parte produrlo comunque nel corso del giudizio di primo grado, previa istanza di rimessione in termini a tal fine, a pena di decadenza dalla facoltà di produrlo successivamente, in grado di appello, oppure la parte può in ogni caso produrlo direttamente in appello, non essendo tenuta a formulare istanza di rimessione in termini nel giudizio di primo grado per evitare la decadenza;
in secondo luogo, se è possibile la produzione in appello di un documento che avrebbe potuto essere prodotto in primo grado (quanto meno previa richiesta di rimessione in termini), ma non lo è stato, perché la sua effettiva rilevanza ai fini della decisione è emersa solo dal contenuto concreto, e non prevedibile, in base all’andamento effettivo del giudizio, della decisione di primo grado, nonché, in tal caso, se ed in che limiti è sindacabile (ed eventualmente se è nella specie stata effettuata correttamente) la valutazione sulla non imputabilità dell’omessa produzione, in siffatta situazione, da parte del giudice di appello, ai fini dell’ammissibilità della nuova produzione documentale in secondo grado.
1.1.3 È logicamente pregiudiziale ed assorbente (anche quale ragione ‘più liquida’) l’esame della seconda questione, alla quale va data soluzione positiva, nei termini di seguito precisati. Non avrebbe, infatti, alcun rilievo stabilire se era possibile la produzione del documento in primo grado, prima della decisione del Tribunale, una volta stabilito che tale produzione è da ritenere, comunque, ammissibile in appello per non essere imputabile alla parte l’omessa produzione, in ragione del fatto che la rilevanza del documento è emersa solo in base al contenuto della decisione della controversia da parte del Tribunale.
1.1.4 La ratio legis alla base delle disposizioni di cui all’art. 345 c.p.c. (nella sua attuale formulazione), in tema di nuove prove, è quella per cui le nuove produzioni documentali in appello sono ammissibili, in generale, nel caso in cui l’omessa produzione in primo grado non sia imputabile alla parte.
Ne consegue che, se la rilevanza di un documento ai fini della decisione emerge esclusivamente dal contenuto della decisione di primo grado e tale rilevanza non era ragionevolmente apprezzabile anteriormente , sulla base dell’andamento del giudizio di prime cure, in tal caso si verifica una omessa produzione per causa non imputabile alla parte e, quindi, la produzione per la prima volta in appello deve essere ritenuta ammissibile.
La valutazione di merito sulla non imputabilità dell’omessa produzione in primo grado del documento, in ragione della imprevedibilità della effettiva rilevanza di detto documento ai fini della decisione, è una valutazione di competenza del giudice di appello e non è sindacabile in sede di legittimità, quanto meno se sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, a meno che non sia in radice erronea in diritto.
Tale conclusione risulta conforme al principio generale del contradditorio, in funzione di tutela del diritto di difesa alla base della disposizione di cui all’art. 101 c.p.c., per cui la decisione operata sulla base di questioni rilevate di ufficio dal giudice e non oggetto di espressa discussione tra le parti, non possono pregiudicare il diritto di difesa di queste ultime.
Laddove, quindi, anche al di là di una eventuale diretta violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c. (nella specie neanche dedotta), dalla decisione di primo grado emerga la rilevanza di fatti non oggetto di contraddittorio in primo grado, sulla base di una argomentazione o di una prospettazione operata di ufficio dal giudice e non ragionevolmente prevedibile dalla parte, la prova di tali fatti deve potere essere fornita nel giudizio di
appello, almeno se ed in quanto la sua mancanza in primo grado debba ritenersi non imputabile alla parte stessa (cioè, non solo in caso di una decisione di primo grado della c.d. terza via, ma anche, più in generale, di una decisione fondata su presupposti di fatto diversi da quelli già oggetto del thema probandum ).
1.1.5 È opportuno ricordare, per meglio chiarire il fondamento logico e normativo delle conclusioni appena esposte che, con riguardo alla previgente formulazione dell’art. 345 c.p.c. (che consentiva nuove prove in appello, se ‘ indispensabili ai fini della decisione ‘), era stato affermato un rigoroso indirizzo interpretativo secondo il quale la stessa ‘ indispensabilità ‘ delle nuove prove ammissibili in appello avrebbe dovuto essere apprezzata in relazione al contenuto della decisione di primo grado e al modo in cui essa si era formata, onde sarebbero state ammissibili nuove prove (solo) quando la decisione di primo grado avesse evidenziato « la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario » (cfr., per tutte; Cass., Sez. 3, sentenza n. 7441 del 31/03/2011).
Questo indirizzo è stato -in verità -superato, in quanto tale (cioè con riguardo alla precedente formulazione dell’art. 345 c.p.c.), dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, sulla base del rilievo della differente e più rigorosa previsione della nuova formulazione dell’art. 345 c.p.c. (si è, del resto, rilevato, in proposito, che « diversamente ragionando, si attribuirebbe alla riforma del 2012, che ha eliminato il requisito della indispensabilità, un significato non innovativo e anzi più permissivo del testo previgente »: cosi Cass., Sez. 1, sentenza n. 196 del 4/01/2024).
Anche sulla base del successivo sviluppo della giurisprudenza di questa Corte, peraltro, devono in realtà continuare a ritenersi ammissibili le nuove prove in appello quando la decisione di
primo grado evidenzi « la necessità di un apporto probatorio che, nel contraddittorio in primo grado e nella relativa istruzione, non era apprezzabile come utile e necessario », e ciò sotto il profilo, tuttora previsto dall’art. 345 c.p.c., della non imputabilità alla parte dell’omissione istruttoria determinatasi in primo grado.
Nella motivazione dello stesso arresto delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, sentenza n. 10790 del 4/05/2017) che ha individuato la corretta interpretazione dell’art. 345 c.p.c., si afferma, infatti, quanto segue: « in linea di massima è nuova tanto la prova avente ad oggetto un fatto nuovo, ossia allegato per la prima volta in appello (perché sopravvenuto o perché, pur preesistente, divenuto rilevante solo grazie al tenore della sentenza di primo grado o ad una novità normativa sopraggiunta dopo che erano maturate le preclusioni istruttorie), quanto quella intesa a dimostrare un fatto già allegato in primo grado. Nella prima ipotesi risulta applicabile -a tutta evidenza -l ‘ art. 345, comma 3, cit. là dove consente quei nuovi documenti e mezzi di prova che la parte non abbia potuto chiedere nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile ».
Dunque, in base allo stesso indirizzo interpretativo fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ha superato quello più restrittivo sull’interpretazione della previgente formulazione dell’art. 345 c.p.c., non è revocabile in dubbio l’ammissibilità delle nuove prove in appello aventi ad oggetto un fatto « divenuto rilevante solo grazie al tenore della sentenza di primo grado », affermandosi, anzi, espressamente (cfr. la già richiamata Cass., Sez. U, sentenza n. 10790 del 2017, in motivazione) che « la tesi della c.d. indispensabilità ristretta in realtà finisce con il refluire nella seconda ipotesi di nova consentiti in appello, vale a dire in quella delle nuove prove che la parte dimostri di non aver potuto chiedere in primo grado per causa
ad essa non imputabile. Infatti, se indispensabili sono solo le nuove prove la cui necessità emerga dalla stessa sentenza impugnata, prove delle quali non era apprezzabile neppure una mera utilità durante il giudizio di primo grado, va da sé che rispetto ad esse la parte si è trovata, per causa che non le è imputabile, nell ‘ impossibilità di proporle. Invero, non si può addebitare alla parte il non avere previsto la rilevanza di prove che solo la sentenza di primo grado, in forza d ‘ una propria ricostruzione di fatto e/o di diritto, ha fatto emergere e ciò anche ove non si tratti propriamente d’una sentenza c.d. della terza via ».
Ne consegue che, in diritto, la decisione impugnata si sottrae alla censura di violazione dell’art. 345 c.p.c., nella parte in cui è stata ritenuta ammissibile la produzione in appello del documento attestante la data di estinzione del mutuo, sull’assunto che la stessa data di estinzione del mutuo era un fatto che doveva ritenersi « divenuto rilevante solo grazie al tenore della sentenza di primo grado », onde la mancata produzione di quel documento nel corso del giudizio di primo grado non poteva ritenersi imputabile alla parte.
1.1.6 Il ricorrente sostiene, altresì, che la rilevanza della data di scadenza del mutuo poteva, in realtà, essere percepita ed apprezzata dalla parte attrice già nel corso del giudizio di primo grado e non costituirebbe un fatto « divenuto rilevante solo grazie al tenore della sentenza di primo grado ».
Si tratta, peraltro, di una valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, non erronea in diritto, sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.
In ogni caso, la statuizione, sul punto, risulta ampiamente condivisibile, proprio per la natura della decisione, avente ad oggetto la fissazione del termine di adempimento ai sensi dell’art.
1817 c.c., che è frutto di una valutazione di fatto ampiamente discrezionale da parte del giudice del merito: in relazione a siffatta valutazione è difficile, se non impossibile, per la parte, poter prevedere ex ante tutte le circostanze di fatto che il giudice stesso riterrà rilevanti e terrà presenti a tal fine.
Di conseguenza, laddove il giudice prenda in considerazione circostanze di fatto delle quali non era già emersa, nel contraddittorio tra le parti, la rilevanza ai fini della fissazione del suddetto termine, in primo grado (non avendo, invece, rilievo -come è ovvio -che del mutuo fondiario si fosse discusso con riguardo ad altre questioni), e che, pertanto, erano rimaste del tutto fuori dal thema probandum , è da ritenere ampiamente giustificata la valutazione della Corte d’appello di non imputabilità alla p arte dell’omessa richiesta di mezzi istruttori in proposito e, a fortiori , dell’omessa richiesta di essere rimessa in termini al fine di produrre un documento formatosi dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie e di cui la parte non poteva avere in precedenza contezza dell’effettivo rilievo ai fini della decisione.
Il motivo di ricorso in esame risulta, quindi, infondato anche sotto il profilo in esame.
Quanto alle doglianze inerenti al fatto che il documento del 10 febbraio 2 017 non specificherebbe la data in cui l’estinzione del mutuo sarebbe avvenuta, data che ad avviso del ricorrente sarebbe stata ‘ identificata ‘ ‘ acriticamente ‘ dalla Corte di merito dalla data del documento stesso, si rileva che la questione rimane assorbita da quanto in precedenza esposto e, comunque, tali doglianze difettano di specificità non essendo stato adeguatamente richiamato il testo di tale atto nel motivo di ricorso in esame , in violazione dell’art. 266, comma 1 n. 6, c.p.c. .
1.2 Con il secondo motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione dell’art. 348 bis c.p.c. e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
Il ricorrente contesta la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto ‘assorbita’ l’eccezione ai sensi dell’ art. 348 bis c.p.c. da lui formulata in sede di gravame e, comunque, sostiene che l’atto di appello dei Costa era inammissibile in quanto difettava della necessaria specificità, in violazione dell’art. 342 c.p.c. .
Il motivo è inammissibile.
1.2.1 È inammissibile la censura di violazione dell’art. 348 bis c.p.c., per non essere stato dichiarato inammissibile l’appello, in via pregiudiziale, ai sensi della suddetta disposizione, non essendo sindacabile in sede di legittimità il mancato esercizio del relativo potere da parte del giudice di secondo grado.
Va, infatti, data continuità, in proposito, all’indirizzo di questa stessa Corte secondo il quale « la scelta del giudice d’appello di definire il giudizio prendendo in esame il merito della pretesa azionata (sia con il rigetto che con l’accoglimento) non può dirsi proceduralmente viziata sul presupposto che si sarebbe dovuta affermare l’inammissibilità per assenza di ragionevole probabilità di accoglimento; pertanto, ove il giudice non ritenga di assumere la decisione ai sensi dell’art. 348 -ter, comma 1, c.p.c., la questione di inammissibilità resta assorbita dalla sentenza che definisce l’appello, che è l’unico provvedimento impugnabile, ma per vizi suoi propri, ‘in procedendo’ o ‘in iudicando’, e non per il solo fatto del non esservi stata decisione nelle forme semplificate » (Cass., Sez. 6 – L, ordinanza n. 37272 del 29/11/2021).
D’altra parte, a soli fini di completezza di esposizione, può essere anche opportuno ricordare, altresì, che, secondo l’indirizzo di questa Corte , la disposizione di cui all’art. 348 bis c.p.c., di cui nella specie viene dedotta la violazione, in realtà, consente di dichiarare inammissibile il gravame, in limine litis , qualora lo stesso non abbia ragionevole probabilità di accoglimento, mentre « l’inammissibilità dell’appello in ragione del difetto di
specificità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., e non sulla base dei presupposti di cui all’art. 348 bis c.p.c. (ossia, in considerazione dell’insussistenza di alcuna ragionevole probabilità di accoglimento dell’impugnazione) non è soggetta a i termini di preclusione imposti dall ‘ art. 348 ter c.p.c., e, pertanto, può essere emessa anche dopo l’udienza di cui all’ art. 350 c.p.c. » (Cass., Sez. 3, ordinanza n. 13189 del 15/05/2023).
Nella specie, il ricorrente sostiene proprio, nella sostanza, che l’appello della controparte avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., ed il rilievo di tale vizio dell’impugnazione può certamente avvenire anche al di fuori delle modalità e dei termini previsti agli artt. 348 bis e ter c.p.c.: onde, anche sotto tale aspetto, si conferma che la mancata adozione del provvedimento di inammissibilità dell’appello , per il profilo in esame, può e deve essere necessariamente censurata ‘ nel merito ‘, cioè, per gli eventuali vizi propri del provvedimento che ha definito il giudizio, omettendo il suddetto rilievo, ma non può esserlo per il solo fatto del non essere ciò avvenuto nelle forme semplificate, in limine litis .
1.2.2 È, altresì, inammissibile la censura di violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in relazione alla dedotta violazione dell’art. 342 c.p.c., in quanto non vi è, nel ricorso, un adeguato ed esaustivo richiamo del contenuto dell’atto di appello, tale da consentire a questa Corte di valutare se effettivamente lo stesso difettasse dei requisiti di specificità richiesti dalla disposizione richiamata, come sostiene il ricorrente.
2. Ricorso incidentale
Con l’unico motivo del ricorso incidentale si denunzia « Violazione e falsa applicazione del principio di soccombenza, ovvero del principio di soccombenza parziale di cui agli artt. 91 e 92 del codice di procedura civile -contraddittorietà nella
motivazione afferente la compensazione delle spese sia in primo che in secondo grado ».
La controricorrente contesta la statuizione della Corte d’appello di compensazione delle spese del doppio grado del giudizio. Il motivo è infondato.
La motivazione posta dalla Corte d’appello alla base della statuizione di compensazione delle spese del doppio grado di giudizio risulta fondata sulla considerazione dello specifico oggetto, dell’andamento e dell’esito del giudizio stesso , nonché del comportamento processuale degli appellanti (v. sentenza impugnata, p. 4-5): si tratta di una motivazione fondata su ragioni non illogiche e non erronee in diritto, né meramente apparente e, di conseguenza, essa non può ritenersi sindacabile nella presente sede ( ex multis , cfr.: Cass., Sez. 6 – L, ordinanza n. 9977 del 9/04/2019; Sez. 5, ordinanza n. 9312 del l’ 8/04/2024; Sez. L, ordinanza n. 14036 del 21/05/2024; ; v. anche Cass. Sez. 6 – 3, ordinanza n. 21400 del 26/07/2021). Secondo la ricorrente sarebbe contraddittorio, sul piano logico, sostenere, da una parte, che non era imputabile agli attori la mancata produzione in primo grado del documento attestante la data di estinzione del mutuo e, dall’altra parte, che di tale mancata produzione poteva tenersi conto ai fini della compensazione delle spese.
In realtà, la decisione della Corte d’appello , anche con riguardo a tale profilo, risulta sostenuta da una motivazione adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, facendo espresso riferimento, in proposito, alla « possibilità per gli appellanti di chiedere in primo grado la rimessione in termini ai sensi del c .ma 2 dell ‘ art. 153 c.p.c., al fine di produrre la dichiarazione di estinzione del mutuo in ragione della sua generica eventuale rilevanza, evitando verosimilmente il secondo grado del giudizio ».
Inoltre, e in ogni caso, la richiesta avanzata in via principale dagli attori, di pagamento immediato delle somme dovute, non può dirsi integralmente accolta, in quanto il termine per l’adempimento è stato fissato a dodici mesi di distanza dalla pubblicazione della sentenza di appello (cioè, in definitiva, sette anni dopo la originaria richiesta giudiziale, avvenuta con la instaurazione della controversia in primo grado).
Infine, va rilevato che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata -nemmeno in minima parte -al pagamento delle stesse; ne consegue che il sindacato della Corte di cassazione è limitato all ‘ accertamento della mancata violazione di detto principio, esulandovi sia la valutazione dell ‘ opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tanto nell ‘ ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi) sia la relativa quantificazione, ove quest ‘ ultima non ecceda i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 9860 del 15/04/2025).
3. Conclusioni
Sono rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione della reciproca soccombenza in tale fase.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione , sia principale che incidentale) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale;
-dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via principale ed in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-