Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9402 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9402 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21501/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA LARGO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1733/2019 depositata il 30/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Cassa di Risparmio di Carrara s.p.a. chiese al Tribunale di La Spezia la declaratoria di simulazione assoluta dell’atto di compravendita del 6 dicembre 2005, con il quale NOME COGNOME aveva alienato l’immobile di sua proprietà a NOME COGNOME che, a sua volta, l’aveva rivenduto a NOME COGNOME . Nel giudizio intervennero altresì, quali ulteriori creditori della COGNOME, San Paolo Imi s.p.a. (poi Intesa San Paolo), Unipol Banca s.p.a., Italfondiario s.p.a. ed Intesa San Paolo.
In esito all’istruttoria, il giudice adito accolse la domanda.
Con separati atti, successivamente riuniti, la predetta decisione fu gravata dai soccombenti COGNOME e COGNOME Si costituirono ritualmente Cassa di Risparmio di Carrara (poi CARIGE), Unipol ed Intesa San Paolo, concludendo per la reiezione degli appelli.
Con sentenza n. 1733 del 30 dicembre 2019 la Corte d’appello di Genova rigettò l’impugnazione.
I giudici di secondo grado sostennero all’uopo che, ai sensi dell’art. 1417 c.c., le limitazioni alla facoltà di prova della simulazione previste per i contraenti dall’art. 2722 c.c. non operano nei confronti dei terzi e dei creditori i quali, non avendo accesso alla controdichiarazione, possono provare l’esistenza di un
accordo simulato con qualunque mezzo, comprese le presunzioni. Aggiunsero che, sotto il profilo probatorio, la mancata effettiva corresponsione del prezzo di vendita era stata riscontrata dagli accertamenti del CTU (che avevano altresì riguardato la vendita COGNOME–COGNOME), mentre sarebbe mancata la prova dell’estinzione del mutuo e della cancellazione dell’ipoteca da parte della COGNOME, la cui conoscenza della propria esposizione debitoria -al momento dell’alienazione in favore del COGNOME non avrebbe potuto essere messa in dubbio. Ulteriori elementi indiziari sarebbero stati costituiti dalla scansione temporale degli eventi e dal carattere fiduciario del rapporto fra la venditrice e l’acquirente.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di due complessi motivi, articolati in più doglianze. Si sono costituiti con distinti controricorsi NOME COGNOME per assumere una posizione adesiva a quella dei ricorrente, nonché Banca CARIGE s.p.a. (quale società incorporante per fusione Cassa di Risparmio di Carrara s.p.a.), RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria di parte dei crediti pro-soluto di parte Banca CARIGE s.p.a., RAGIONE_SOCIALE s.p.a., quale successore a titolo particolare di RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta cessionaria di Banca Intesa, già Intesa San Paolo.
In prossimità della camera di consiglio, i ricorrenti, la COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con la prima doglianza, proposta ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., i ricorrenti assumono la ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. correlato all’art. 116 c.p.c. e all’art. 2729 c.c., anche per omesso esame di un fatto storico principale o secondario, oggetto di contraddittorio e decisivo, che inficia l’impianto probatorio siccome articolato dai giudici di merito e la conseguente relativa differente conclusione della vertenza’.
La Corte d’appello avrebbe considerato solo taluni fatti secondari, omettendo la disamina di dati e fatti decisivi, con riguardo tanto al prezzo di vendita, quanto
alla mancata estinzione del mutuo, alla perdita di possesso del bene ed alla scansione temporale dei fatti.
Mediante il secondo mezzo, proposto ai sensi dell’art. 360 n n. 3 e 5 c.p.c., con riguardo alla vendita fra il RAGIONE_SOCIALE e la Lazzaro, viene dedotta la ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. correlato all’art. 116 c.p.c. e all’art. 2729 c.c., anche per omesso esame di un fatto storico principale o secondario, oggetto di contraddittorio e decisivo, che inficia l’impianto probatorio siccome articolato dai giudici di merito e la conseguente relativa differente conclusione della vertenza’.
Anche in relazione alla seconda vendita la sentenza impugnata, nonostante le precise ed analitiche doglianze degli appellanti, si sarebbe appiattita sulle conclusioni del Tribunale, trascurando di considerare che la COGNOME avrebbe acquistato l’immobile con denaro contante , messo a disposizione da parenti, e confermato dalla teste COGNOME e che allo spossessamento della COGNOME avrebbe fatto seguito l’immediato possesso da parte della COGNOME.
I due motivi, che meritano una trattazione congiunta per la loro connessione logico-giuridica, sono in parte infondati ed in parte inammissibili, per più ragioni convergenti.
Va premesso che in entrambi i motivi si sostiene la violazione dell’art. 360 n. 3 (violazione di legge) e n. 5 (omesso esame di un fatto decisivo) c.p.c.
Orbene, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 5 febbraio 2019).
E l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di
cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020).
A tanto non hanno adempiuto i ricorrenti , con particolare riguardo all’art. 2729 c.c.
Per altro verso, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 1, n. 7090 del 3 marzo 2022).
La sentenza impugnata si pone ben al di sopra del minimo costituzionale ed, anche sotto tale profilo, si palesa l’infondatezza del richiamo alla violazione dell’art. 132 comma 2° n. 4 c.p.c.
D’altronde, l’esito dei giudizi di merito prospetta l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 360, comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già
assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
Conseguentemente, quando ricorre la predetta ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 3, n. 26924 del 20 settembre 2023; Sez. 3, n. 5947 del 28 febbraio 2023). Nel ricorso, manca qualunque accenno in tal senso.
Del resto, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U., n. 8053 del 7 aprile 2014; Sez. 2, n. 27415 del 29 ottobre 2018).
Anche sotto il predetto profilo entrambi i motivi sono del tutto carenti.
Tutto ciò a voler sottacere che l’accertamento in punto di fatto descritto dalla sentenza impugnata è preciso, analitico e plausibile e le doglianze si risolvono in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte dei giudici di merito.
E’ dunque opportuno ricordare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui
conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
In punto di diritto, occorre rimarcare che il travisamento della prova, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (” demonstrandum “), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (” demonstratum “), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Sez. 1, n. 9507 del 6 aprile 2023).
Le condizioni che precedono non ricorrono nel caso di specie.
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dai ricorrenti s’infrange contro il principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
È, in conclusione, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti Banca CARIGE s.p.a.RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, come liquidate in dispositivo. Le spese della COGNOME vanno dichiarate compensate, avendo quest’ultima assunto una posizione adesiva a quella dei soccombenti.
La Corte dà atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore di Banca CARIGE s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500 (quattromila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore di RAGIONE_SOCIALE. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500 (quattromila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500 (quattromila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge ed in favore di RAGIONE_SOCIALE. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500 (cinquemila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Compensa le spese di lite di NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile il