Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18347 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18347 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24791/2018 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2025/2018 depositata il 26/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE assumendo la simulazione del contratto di vendita dai primi due alla società RAGIONE_SOCIALE di un complesso immobiliare di loro proprietà comprendente due immobili e degli appezzamenti di terreno per sottrarli all’esecuzione da parte dell’attrice.
Infatti, il Tribunale penale di Milano aveva condannato COGNOME al risarcimento del danno in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE rimettendo le parti dinanzi al Giudice civile per l ‘ esatta determinazione, condannando COGNOME al pagamento della somma di 500.000.00 euro a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, nonché al rimborso delle spese di causa liquidate in € 7.434.66 oltre accessori. La sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano.
L’attrice assumeva che il prezzo indicato nell’atto di compravendita del complesso immobiliare era molto inferiore al suo effettivo valore di mercato e che, in ogni caso, non era mai stato realmente pagato, deduceva infine che la società apparente acquirente era partecipata dal convenuto COGNOME e che l’Amministratore unico della società agiva quale fiduciario dello
stesso. In subordine rispetto alla domanda di simulazione chiedeva la revocatoria ex art.2901 c.c.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE si costituivano chiedendo il rigetto della domanda attorea.
Con la memoria ex art. 183 c.p.c., l’attrice depositava tra l’altro copia della sentenza del Tribunale civile di Bergamo, che aveva condannato COGNOME, in solido con NOME COGNOME, sempre in favore di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno liquidato in euro 3.106.455.85 oltre interessi, nonché entrambi, in solido con altre parti convenute, al rimborso delle spese di giudizio
Il Tribunale di Pavia accoglieva la domanda di simulazione assoluta dell’atto di compravendita.
NOME COGNOME, NOME COGNOME proponevano appello avverso la suddetta sentenza.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello incidentale sostanzialmente adesivo dell’appello principale.
L ‘ appellata RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE si costituiva nel giudizio di appello chiedendone il rigetto.
La Corte d’Appello di Milano rigettava il gravame. In particolare, la Corte territoriale richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso in cui sia stato un terzo a proporre l’azione di simulazione di un contratto di compravendita immobiliare, incombe sull’acquirente l’onere della prova dell’effettivo pagamento del prezzo e l’eventuale dichiarazione relativa al versamento del prezzo anche se contenuta in un atto non atto notarile non ha valore nei confronti dell’attore. D’altra parte, correttamente il giudice di primo grado aveva rilevato che trattandosi di scrittura privata autenticata la quietanza di
pagamento contenuta nell’atto di compravendita si poneva come mera dichiarazione delle parti, essendo l’attestazione del AVV_NOTAIO limitata al fatto che le parti avevano firmato l’atto e reso in sua presenza le dichiarazioni in esso contenute.
Come correttamente rilevato dal primo giudice non era stato invece fornito alcun elemento probatorio utile circa l’effettivo pagamento del prezzo pattuito, neppure in minima parte, il che considerata l’entità della somma dichiarata pari ad euro 122.000 e la qualità di società dell’acquirente non poteva che essere considerato come elemento preponderante nella valutazione della fondatezza della domanda di simulazione. Inoltre non risultavano contestate le considerazioni svolte dal primo giudice e condivise dal collegio di secondo grado in ordine all’inefficacia probatoria dei tre prelievi bancari effettuati dall’acquirente all’asserito fine di provvedere al pagamento del prezzo, con riferimento alla unilateralità della causale indicata dalla stessa società e alla discrasia temporale tra l’epoca dei prelievi e quella del rogito e la differente carente entità del prezzo da pagare rispetto ai prelevamenti. Nessuna motivazione convincente era stata poi fornita dalle parti contraenti circa un’altra circostanza va lutata dal primo giudice, ovvero la stipulazione già all’atto del preliminare di un contratto di comodato di durata decennale degli immobili oggetto della compravendita a favore dei venditori quando peraltro la società non aveva ancora alcuna legittimazione, non essendo neanche titolare del diritto di proprietà né avendo la disponibilità dei beni. Infine, quale ulteriori rilevanti elementi di valutazione della simulazione assoluta della compravendita dovevano considerarsi i due atti con cui di vendita alla medesima società
acquirente di tutti i beni mobili contenuti negli immobili promessi in vendita ivi compresi piumone, coperte, bottiglie di vino, liquori nonché altre suppellettili di uso comune e nello stesso tempo il contemporaneo contratto di comodato mediante il quale i venditori erano rientrati immediatamente nel possesso dei medesimi beni. Anche la censura relativa alla carenza di legittimazione della venditrice NOME COGNOME risultava infondata. In relazione alla domanda di simulazione, infatti, anche la COGNOME era parte necessaria del giudizio destinatario della pronuncia.
NOME COGNOME, NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
RAGIONE_SOCIALE si è costituita con un controricorso che può qualificarsi come ricorso incidentale in quanto adesivo del ricorso principale con richiesta di cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano .
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Parte ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rigettarsi l’eccezione di tardività del ricorso incidentale proposto da COGNOME che invece è tempestivo alla luce del seguente principio di diritto: Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia
quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’ordinario) di impugnazione in astratto operativi. Tale principio non trova deroghe riguardo all’impugnazione di tipo adesivo che venga proposta dal litisconsorte dell’impugnante principale e persegue il medesimo intento di rimuovere il capo della sentenza sfavorevole ad entrambi, né nell’ipotesi in cui si intenda proporre impugnazione contro una parte non impugnante o avverso capi della sentenza diversi da quelli oggetto della già proposta impugnazione (Sez. 3, Ordinanza n. 36057 del 23/11/2021, Rv. 663183 – 01).
La notifica del ricorso principale al litisconsorte è avvenuta in data 16 luglio 2018 sicché il ricorso incidentale notificato il 24 settembre 2018 è tempestivo
1.1 Il primo motivo del ricorso principale comune anche a ll’unico motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione degli artt. 1414, 1415, 1417, 2697, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 1470 c.c.
La sentenza impugnata si fonderebbe sul dato, ritenuto assodato e di per sé solo decisivo, del mancato versamento del prezzo da parte della società acquirente RAGIONE_SOCIALE. A tale conclusione la Corte di merito sarebbe giunta sulla scorta del fatto che la dichiarazione di quietanza resa dai venditori, COGNOME e
COGNOME, non sarebbe opponibile ai terzi (nella specie la società RAGIONE_SOCIALE) in mancanza di ulteriori e più concreti elementi probatori.
Tale assunto sarebbe contrario al chiaro disposto normativo di cui al combinato degli articoli 2697, 2727, 2729 e 1417 c.c., secondo cui il terzo (nella fattispecie RAGIONE_SOCIALE) potrebbe valersi anche di presunzioni, purché gravi, precisi e concordanti, per poter assolvere all’onere probatorio afferente all’esistenza di un accordo simulatorio tra acquirente e venditori e, quindi, raggiungere la prova della simulazione della vendita che li abbia riguardati.
L’errore del giudice di merito consisterebbe nell’aver ritenuto da una parte che dovesse essere l’acquirente/RAGIONE_SOCIALE a dare la prova di aver versato il prezzo, e, dall’altra, che, esclusa la rilevanza vincolante per il terzo/RAGIONE_SOCIALE della dichiarazione resa al AVV_NOTAIO rogante nell’atto di compravendita di avvenuto integrale pagamento del prezzo, si dovesse, già solo per questo, ritenere provata l’esistenza di un accordo simulatorio tra l’acquirente ed i venditori.
Inoltre, non si sarebbe tenuto conto della portata delle contabili prodotte dalla società acquirente RAGIONE_SOCIALE, da cui emergerebbe invece come l’acquirente abbia proceduto con tempistiche preventive rispetto alla firma del rogito definitivo del 17.12.2004 a prelevare le somme dal proprio conto corrente bancario in Svizzera per poi versarle ai (fino a quel momento promittenti) venditori, che, per l’appunto, al momento della stipula del contratto avanti il AVV_NOTAIO, dichiararono appunto di essere già stati integralmente saldati.
Mancherebbero anche i presupposti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c. per l’applicazione della prova
presuntiva. Pertanto, dopo la violazione della regola dell’ onus probandi (sovvertita, addossando ingiustamente alle parti dell’atto di vendita la prova della sua effettività), con riferimento ai precetti regolanti la valenza delle presunzioni, la sentenza avrebbe fatto cattiva applicazione della norma espressa dall’art. 2729 c.c., posto che gli elementi raccolti ma soprattutto ‘riuniti’ non sarebbero affatto ‘gravi, precisi e concordanti’ .
L’errore sarebbe palese considerato che i Giudici si sono approcciati al contratto di comodato secondo i principi che regolano tale contratto nel nostro ordinamento, e non, come invece avevano previsto le parti in detti atti, secondo il diritto svizzero (se infatti si leggono i predetti atti, si vede per l’appunto che alla clausola 7 del primo, e 8 del secondo, si è previsto che ‘ La presente convenzione è retta dal diritto svizzero ‘, e questo fecero le parti nel pieno delle facoltà previste in termini di ob bligazioni dall’art. 3 della Legge 975/’84 attuativa della Convenzione di Roma 1980 secondo cui ‘
Il comodato nella fattispecie non aveva effetti traslativo-reali, ma più semplicemente obbligatori, ovvero avrebbe obbligato RAGIONE_SOCIALE, al più tardi al momento dell’acquisto della proprietà degli immobili, a concederne il godimento ai venditori COGNOME per i 10 anni successivi.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Preliminarmente è opportuno richiamare i seguenti principi consolidati in tema di prova da parte dei terzi della simulazione assoluta di un contratto di compravendita:
«La prova della simulazione assoluta che i terzi o i creditori sono chiamati a fornire ex art. 1417 c.c. può fondarsi su elementi presuntivi che normalmente sono la regola. Infatti, ai fini
dell’indagine sulla simulazione, le risultanze dell’atto pubblico non sono decisive, perché la sua efficacia probatoria riguarda la provenienza delle dichiarazioni e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, e non l’intr inseca verità delle dichiarazioni, né la rispondenza dei fatti alla vera intenzione delle parti. La conformità al reale interno volere di tali manifestazioni di volontà può, quindi, essere contrastata con ogni mezzo di prova nei casi contemplati dall’art. 1417 c.c., ivi compresa la prova per presunzioni»;
«In tema di prova della simulazione, essendo la presunzione semplice affidata alla ‘prudente’ valutazione del decidente ex art. 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova, scegliere i fatti noti da porre a fondamento della presunzione e le regole d’esperienza tramite le quali dedurre il fatto ignoto, valutare la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge. Trattandosi, appunto, di apprezzamento affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, esso è sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato» (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 101 del 08/01/2015; Sez. 3, Sentenza n. 8023 del 02/04/2009; Sez. L, Sentenza n. 15737 del 21/10/2003; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
2.1 Venendo al caso di specie, in base ai principi sopra richiamati, l’originaria attrice, terza rispetto al contratto simulato, è ammessa a provare con ogni mezzo la relativa domanda e spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e sull’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni secondo l’ id quod plerumque accidit , restando
il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Sez. 3, Sent. n. 903 del 2005).
La Corte d’Appello ha ampiamente motivato le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto sussistente la simulazione del contratto, peraltro in conformità a quanto già deciso dal Tribunale in primo grado. In particolare, ha valorizzato le seguenti circostanze indiziarie già prese in esame dal Tribunale: mancanza di ogni utile elemento probatorio circa l’effettivo pagamento del prezzo pattuito neppure in minima parte ; la stipulazione già all’atto del preliminare di un contratto di comodato di durata decennale degli immobili oggetto della compravendita a favore dei venditori; i due atti di vendita all’acquirente di tutti i beni mobili contenuti negli immobili promessi in vendita, ivi compresi piumone e coperte, e il contemporaneo contratto di comodato con il quale i venditori erano rientrati immediatamente nel possesso dei medesimi beni.
Peraltro la Corte d’Appello ha anche evidenziato che con il gravame non risultavano contestate le considerazioni svolte dal primo giudice e condivise dal collegio di secondo grado in ordine all’inefficacia probatoria dei tre prelievi bancari effettuati dall’acquirente all’asserito fine di provvedere al pagamento del prezzo, con riferimento alla unilateralità della causale indicata dalla stessa società, alla discrasia temporale tra l’epoca dei prelievi e quella del rogito e la differente entità del prezzo da pagare rispetto ai prelevamenti.
La Corte d’Appello, dunque, così come il giudice di primo grado, dopo aver valutato le prove (anche indiziarie) raccolte in giudizio, ha ritenuto il trasferimento in oggetto meramente
simulato. Tale apprezzamento in fatto che, come si vedrà con il motivo successivo, non è possibile censurare neanche ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per aver del tutto omesso l’esame di uno o più fatti (principali o secondari) decisivi, non si presta, evidentemente, a conseguenti censure in diritto sulla base dei principi sopra richiamati.
In conclusione, nessuna inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art. 2697 c.c. è dato riscontrare. A tal proposito il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: Qualora l’azione di simulazione proposta dal creditore di u na delle parti di un contratto di compravendita immobiliare fondi su elementi presuntivi che, in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 2697 c.c., indichino il carattere fittizio dell’alienazione, l’acquirente ha l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo, potendosi, in mancanza, trarre elementi di valutazione circa il carattere apparente del contratto; tale onere probatorio non può, tuttavia, ritenersi soddisfatto dalla dichiarazione relativa al versamento del prezzo contenuta nel rogito notarile, in quanto il creditore che agisce per far valere la simulazione è terzo rispetto ai soggetti contraenti (Sez. 2, Sentenza n. 5326 del 02/03/2017, Rv. 643061 -01, conf. Sez. 2, Ordinanza n. 15510 del 13/06/2018).
Quanto alla violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. deve ribadirsi che: In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto,
mentrequello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Sez. 2 – , Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 – 01).
A ben vedere i ricorrenti, con le censure proposte, chiedono sostanzialmente una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, attività preclusa al giudice di legittimità, ciò comportando un nuovo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.
In altri termini, la complessiva censura, anche se formalmente proposta come violazione di legge, si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità, dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se i giudici di merito abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, abbia preso in esame tutti i fatti decisivi oggetto di discussione; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
In conclusione, deve darsi continuità al già richiamato principio di diritto secondo il quale: In tema di prova per presunzioni della simulazione assoluta di un contratto, spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, che debbono essere valutati non solo analiticamente, ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico (Sez. 3, Sent. n. 22801 del 2014).
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360,
primo comma, n. 5, c.p.c.: violazione degli artt. 2727, 2729, 2697 c.c. in una con gli art. 115-116 c.p.c. da parte della sentenza Corte di Appello Milano n. 2025/2018
Il fatto da dimostrare, ovvero la simulazione assoluta del contratto di vendita degli immobili ceduti dagli odierni ricorrenti a RAGIONE_SOCIALE, non è stato affatto chiarito e quindi acclarato, di modo che l’esame del fatto decisivo, proprio in ragione della omessa considerazione di tutti gli elementi a disposizione dei Giudici di merito, rende la decisione della Corte di Appello di Milano errata e da cassare.
Se infatti i Giudici avessero analizzato, anche nel rispetto dei principi processualcivilistici, la quietanza contenuta nel rogito notarile, e con essa le contabili di RAGIONE_SOCIALE e la corretta sequenza tra contratto preliminare ed il contratto di comodato secondo il diritto prescelto dalle parti (quello svizzero), il fatto decisivo sarebbe stato poi trasposto in sentenza in termini antipodali, ovvero attestando la raggiunta prova in ogni caso -anche se a carico della società attrice – della validità e efficacia, anche verso i terzi, della vendita contestata.
2.1 Il secondo motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata nel rigettare l’appello è conforme a quella di primo grado il che rende inammissibile il motivo in esame. Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dim ostrando che esse sono tra loro
diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012). Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che ricorre l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7724 del 09/03/2022, Rv. 664193 – 01).
Quanto alle censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. deve ribadirsi che: In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la
prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01).
Di conseguenza non vi è stata alcuna violazione degli artt. 2727, 2729, 2697 c.c. in quanto la censura proposta dal ricorrente si fonda sul l’inammissibile richiesta di rivalutazione degli elementi provatori in base ai quali è stata ritenuta provata la simulazione della compravendita del bene oggetto del giudizio.
Il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna i ricorrenti principali e la ricorrente incidentale, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 7000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione