Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15471 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15471 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27357-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nel lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso la sentenza n. 45/2020 del TRIBUNALE di RAVENNA, depositata in data 18/01/2020
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 6.10.2016 RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 529/2016, emesso dal Giudice di Pace di Ravenna, con il quale gli era stato ingiunto di pagare a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 3.113,95 a titolo di interessi moratori sul ritardato pagamento di alcune forniture di legname. L’opponente contestava la debenza degli interessi pretesi da RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che tra le parti era stato raggiunto un accordo transattivo per il pagamento rateale del debito, regolarmente onorato da RAGIONE_SOCIALE
Si costituiva l’opposta, resistendo all’opposizione ed insistendo nella propria pretesa di pagamento.
Con sentenza n. 612/2018 il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione, ravvisando l’esistenza di un accordo tra le parti per il pagamento rateale del debito e revocando il decreto ingiuntivo opposto, in assenza di prova circa la debenza degli interessi, osservava altresì che comunque la somma pretesa da RAGIONE_SOCIALE non era stata correttamente determinata, in quanto il calcolo degli interessi proposto unilateralmente da tale società era stato eseguito sull’importo delle singole fatture asseritamente onorate in ritardo, senza considerare i pagamenti rateali delle stesse via via eseguiti da RAGIONE_SOCIALE mediante versamenti mensili.
Con la sentenza impugnata, n. 45/2020, il Tribunale di Ravenna rigettava il gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure, confermandola. Il Tribunale evidenziava che RAGIONE_SOCIALE aveva accettato il pagamento rateale eseguito da RAGIONE_SOCIALE mediante la consegna di n. 11 assegni con cadenza mensile, da luglio
2014 a luglio 2015, e che la numerazione progressiva di detti titoli evidenziava la loro emissione contestuale, nell’ambito di un accordo transattivo avente ad oggetto, appunto, il rientro rateale del debito maturato da RAGIONE_SOCIALE Peraltro, il giudice di seconde cure osservava anche che, a norma dell’art. 1194 c.c., i pagamenti eseguiti dal debitore avrebbero dovuto essere imputati previamente agli interessi, con conseguente estinzione del relativo debito; non avendo il creditore agito per il saldo del capitale, ma solo degli interessi, nessun residuo credito era configurabile neppure per il capitale.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a sei motivi.
RAGIONE_SOCIALE intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe totalmente omesso di considerare i motivi di gravame che erano stati proposti dall’odierna ricorrente avverso la decisione di prime cure, decidendo la causa sulla base di motivazione apparente.
Con il secondo motivo, invece, si duole della violazione o falsa applicazione degli artt. 1967 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe erroneamente ravvisato l’esistenza di una transazione tra le parti, in fatto mai raggiunta.
Con il terzo motivo, inoltre, viene contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1194 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe applicato la norma stravolgendone il significato, in modo sfavorevole al creditore, anziché a favore di quest’ultimo.
Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 7 del D. Lgs. n. 231 del 2002 e successive modificazioni ed integrazioni, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il Tribunale avrebbe dovuto ravvisare l’applicabilità ope legis degli interessi previsti dalle predette disposizioni, in presenza di un rapporto negoziale tra operatori commerciali.
Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta altresì la violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 7 del D. lgs. n. 231 del 2002 ed omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice del gravame avrebbe presunto l’esistenza di una volontà transattiva implicante la rinuncia al pagamento degli interessi previsti dalle norme suindicate, in assenza di alcun elemento idoneo a giustificare tale assunto e senza fornire alcuna motivazione al riguardo.
Ed infine, con il sesto ed ultimo motivo, viene contestata la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice ravennate avrebbe sostanzialmente stravolto il senso delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito.
Tra le predette censure, suscettibili di esame congiunto, perché tutte a vario titolo concernenti la ricostruzione della vicenda negoziale intercorsa tra le parti, sotto il profilo dell’esistenza, ravvisata dal giudice di merito, di un accordo transattivo implicante la rinuncia alla pretesa degli interessi rateali, va esaminato con priorità il secondo motivo, che è fondato.
Il Tribunale, confermando la decisione del Giudice di Pace, ha evidenziato che RAGIONE_SOCIALE aveva consegnato a RAGIONE_SOCIALE
11 assegni di pari importo, con scadenze mensili da luglio 2014 a luglio 2015, e che i titoli portavano una numerazione successiva, tanto da far presumere che essi fossero stati emessi nel medesimo momento. Ha inoltre evidenziato che RAGIONE_SOCIALE, che pure avrebbe avuto titolo per farlo, non aveva imputato i pagamenti via via ricevuti prima agli interessi, e poi al capitale, ma li aveva imputati direttamente al secondo, tanto è vero che l’azione era stata proposta per il saldo dei soli interessi, asseritamente ancora dovuti, e non invece per il residuo capitale eventualmente risultante dalla decurtazione, dal totale dovuto, della parte delle somme ricevute non corrispondenti agli interessi di rateazione. Da tali elementi il giudice di merito ha ravvisato l’esistenza di un accordo tra le parti, in base al quale RAGIONE_SOCIALE avrebbe saldato il suo debito in forma rateale, corrispondendo però il solo capitale, e non anche gli interessi di dilazione.
Tale ragionamento, condotto dal Tribunale -conformemente a quanto già ravvisato dal Giudice di Pace- non considera tuttavia che la transazione, a norma dell’art. 1967 c.c., dev’essere provata per iscritto. Il ricorso al ragionamento presuntivo, dunque, non è consentito nella fattispecie, poiché la norma richiede espressamente che l’accordo tra le parti, implicante reciproche rinunce ai rispettivi diritti (secondo lo schema aliquid datum, aliquid retentum ) debba essere dimostrato mediante un atto scritto. Va data continuità, sul punto, al principio secondo cui ‘La disposizione contenuta nell’art. 1967 c.c., per cui la transazione deve essere provata per iscritto, non consente che elementi costitutivi del contratto di transazione (fra i quali la reciprocità delle concessioni), siano desunti per presunzione’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1787 del 03/03/1999, Rv. 523794; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7717 del 07/06/2000, Rv. 537375; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6662 del 15/05/2001, Rv. 546664). Né può essere
fornita la prova dell’esistenza, o del contenuto, dell’accordo transattivo mediante testimoni, poiché, sul punto, questa Corte ha affermato chiaramente che ‘La transazione deve essere provata per iscritto (art. 1967 c.c.); pertanto tutti gli elementi costitutivi del negozio transattivo debbono risultare dal documento, non essendo possibile ricorrere, neppure a fini integrativi, alla prova per testimoni o per presunzioni’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8875 del 28/04/2005, Rv. 581997; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1787 del 03/03/1999, Rv. 523794), potendosi ammettere il ricorso ad elementi esterni al contratto transattivo, che comunque deve rivestire forma scritta ad probationem , soltanto per precisare il contenuto e le modalità di attuazione pratica delle reciproche concessioni previste dall’atto predetto (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13389 del 08/06/2007, Rv. 597998).
Poiché nel caso di specie il Tribunale non si è limitato a ricorrere al ragionamento presuntivo per individuare il contenuto e le modalità di attuazione delle reciproche concessioni previste nell’atto di transazione, ma lo ha utilizzato per inferire la stessa esistenza dell’accordo transattivo, la decisione impugnata si pone in contrasto con l’art. 1967 c.c. e con gli insegnamenti di questa Corte sopra richiamati.
L’accoglimento del secondo motivo implica l’assorbimento di tutti gli altri. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà procedere ad un rinnovato esame della fattispecie, tenendo conto dei principi esposti in motivazione.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata al Tribunale di Ravenna, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ravenna, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda