Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12850 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12850 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4295 R.G. anno 2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE difese dall’avvocato NOME COGNOME;
, rappresentate e ricorrente
contro
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME difesi dall’avvocato
, rappresentati e NOME COGNOME
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
intimata avverso la sentenza n. 7942/2022 depositata il 7 dicembre 2022 della Corte di appello di Roma.
Udita la relazione svolta alla camera di consiglio del 28 marzo 2025 dal
consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
– RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ( una società, quest’ultima , soggetta alla attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE e cessionaria del ramo di azienda di quest’ultima), hanno impugnato la sentenza del 4 gennaio 2019 del Tribunale di Roma. Per quanto qui rileva con detta pronuncia il nominato Tribunale aveva: respinto la domanda di accertamento negativo del credito, asseritamente vantato da NOME COGNOME in proprio e nella sua qualità di legale rappresentante dell’omonima società e di RAGIONE_SOCIALE, per lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale del software del sistema SICVe, ( id est : sistema informativo del controllo della velocità, il c.d. tutor), impiegato sui tratti autostradali gestititi dalla stessa Autostrade per l’Italia ; rigettato la domanda risarcitoria per i danni derivanti dalla condotta, asseritamente intimidatoria e diffamatoria, posta in atto da COGNOME.
Con sentenza della Corte di appello di Roma del 7 dicembre 2022 il gravame è stato respinto, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e delle società di cui lo stesso era legale rappresentante.
Ricorrono per cassazione, con sei motivi, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE). Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 103 e 105 l. aut. (l. n. 633/1941), 2697, 1155 e 984 c.c.. La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che i contratti con i quali Autostrade aveva commissionato la realizzazione del software non sarebbero idonei a provare l’acquisto della proprietà nei confronti di soggetti «terzi» che non hanno sottoscritto i medesimi contratti. Ci si duole che la Corte di
merito abbia impropriamente affermato che la prova della proprietà di un software possa essere fornita solo mediante iscrizione nel registro istituito presso la Sezione OLAF della SIAE: registro che, al contrario, offrirebbe una semplice presunzione, senza escludere l’ammissibilità degli altri mezzi di prova.
Il secondo mezzo oppone la nullità della sentenza per omessa o solo apparente motivazione in relazione all’asserita «estraneità» delle società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME rispetto alla transazione del 23 luglio 2008; si denuncia in tal senso la violazione dell’art. 132 c.p.c.. Premesso che la Corte distrettuale ha ritenuto che le menzionate società fossero giuridicamente aliene al negozio transattivo, si deduce sarebbero incomprensibili le ragioni di tale affermazione, visto che RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE avevano sottoscritto il documento contrattuale.
Col terzo motivo la sentenza è censurata per violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c.. Le ricorrenti fanno qui questione del mancato rispetto del canoni ermeneutici di cui alle norme sopra richiamate nell’attività interpretativa che ha riguardato la transazione .
Il quarto motivo prospetta la v iolazione dell’art. 112 c.p.c.. La Corte di appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di impugnazione con il quale RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano dedotto che il software in uso nelle reti autostradali dal 2008 era diverso da quello commissionato dalle società facenti capo a Patané, perché RAGIONE_SOCIALE aveva «provveduto autonomamente alla realizzazione ex novo del programma». In tal senso, le pretese risarcitorie avanzate da controparte sarebbero infondate anche nell’ipotesi in cui quest’ultima fosse da considerarsi proprietaria del software commissionato da AutostradeRAGIONE_SOCIALE
– I detti motivi si prestano a una trattazione congiunta , anche per esigenze di continuità discorsiva.
Il Giudice distrettuale ha condiviso il giudizio del Tribunale
quanto al mancato adempimento dell’onere della pro va circa la titolarità, in capo ad Autostrade, del diritto di proprietà intellettuale sul software di cui si è detto.
Le appellanti avevano sostenuto, nel corso del giudizio di merito, che la riferibilità del diritto alla nominata Autostrade avrebbe dovuto desumersi da alcuni ordini da questa impartiti a società riconducibili a Patanè in cui era previsto che «tutto il software prodotto sia come eseguibile che come sorgente rimarrà di esclusiva proprietà intellettuale ed industriale di Autostrade». Dunque, la ricostruzione della vicenda operata dalle società attrici si fonda, anzitutto, sul fatto che Autostrade avrebbe commissionato a due distinte società (RAGIONE_SOCIALE prima e RAGIONE_SOCIALE) la realizzazione del programma riservandosi il diritto d’autore sullo stesso ; tale prospettazione, secondo le odierne istanti, avrebbe trovato poi conferma in un accordo transattivo intercorso tra Autostrade, da un lato, e le società RAGIONE_SOCIALE, Alessandro COGNOME e RAGIONE_SOCIALE , dall’altro : accordo avente ad oggetto la definizione bonaria di alcuni aspetti controversi del rapporto intercorso per l’attività di sviluppo del sistema, oltre che di implementazione e manutenzione correttiva ed evolutiva delle procedure software , in cui la società oggi ricorrente era stata riconosciuta «unica titolare di ogni e qualsiasi diritto su tutto il software inerente il sistema SICVe».
La Corte territoriale, con riguardo a questo profilo della controversia, ha osservato: «e prove offerte sono quanto meno insufficienti sia per le ragioni in modo assolutamente condivisibile espresse dal Giudice di prime cure, ovvero che la negoziazione tra soggetti terzi non è di per sé idonea a dimostrare la effettiva titolarità del diritto di proprietà, sia perché ASPI avrebbe potuto fornire ben altre prove del suo diritto, come ad esempio la registrazione del software presso il registro pubblico speciale tenuto presso la Sezione OLAF della SIAE. E ciò vale di per sé a superare ogni censura rivolta alla sentenza impugnata da parte delle appellanti, a maggior ragione a fronte delle
specifiche contestazioni sulla titolarità da parte delle appellate su cui, in un eventuale diverso giudizio, incomberà l’altrettanto onere probatorio di dimostrare la titolarità del software ». Ha aggiunto: «Le medesime argomentazioni sono altrettanto sufficienti a superare anche il secondo motivo di gravame e relativo alla presunta errata valutazione dell’accordo avente, a detta delle appellanti, natura transattiva, stipulato tra queste ultime e la società network, anche in ragione della estraneità a tale accordo delle odierne convenute appellate».
4. Non è qui in gioco la forma scritta ad probationem prevista per la trasmissione dei diritti di utilizzazione dell’opera: e ciò in quanto l’art. 110 l aut., nel prevedere che la trasmissione dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno deve essere provata per iscritto, non è applicabile quando il committente abbia acquistato i diritti di utilizzazione economica dell’opera per effetto ed in esecuzione di un contratto d’appalto concluso con l’autore ; in tal caso, difatti, non ha luogo un trasferimento, dal momento che tali diritti sorgono direttamente in capo al committente (Cass. 27 luglio 2017, n. 18633).
Viene piuttosto in questione, col primo motivo, il rilievo che le ricorrenti pretendono di conferire ai richiamati elementi documentali. Ed è indubbio, in proposito, che la censura sfugga al sindacato di legittimità, da momento che, come è ben noto, l’esame e la valutazione dei documenti di causa, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (per tutte: Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056). Del resto, col ricordato mezzo di censura le ricorrenti non lamentano un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge indicate in rubrica – il cui portato precettivo non è nemmeno preso in esame – ma prospettano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa (costituite dagli anzidetti documenti): profilo, questo, che
inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; tra le moltissime pronunce non massimate sul punto, di recente: Cass. 14 dicembre 2024, n. 32475; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32040; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32036; Cass. 18 novembre 2024, n. 29580).
E’ escluso, del resto, che la Corte territoriale abbia attribuito valore di prova legale della titolarità del diritto alla registrazione del programma presso la SIAE, difatti richiamata a livello meramente esemplificativo: e tanto esclude che sul punto specifico la sentenza impugnata possa dirsi viziata.
Il primo motivo è dunque inammissibile
5. – Il secondo è infondato.
La ragione per la quale la scrittura privata transattiva è stata ritenuta inidonea a dar prova della titolarità del diritto di autore vantato da Autostrade è chiaramente esposta nella sentenza impugnata: come si è detto, tale ragione consiste nell’estraneità delle società appellate all’accordo docume ntato dalla scrittura in questione. Il Giudice – ci ò è evidente ha inteso con tale espressione spiegare che le società oggi controricorrenti risultavano aliene all’intesa raggiunta da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sul tema della titolarità del diritto di autore in capo ad Autostrade; ed è, questa, un’affermazione del tutto ragionevole : come si desume dalla trascrizione del documento contrattuale contenuta nel ricorso per cassazione (cfr. in particolare pag. 23), è stata la sola RAGIONE_SOCIALE a riconoscere che RAGIONE_SOCIALE era titolare dei diritti sul software. Quanto esposto dalla Corte di appello non integra, dunque, quell’anomalia motivazionale che si traduce nella violazione di legge costituzionalmente rilevante oggi deducibile in sede di legittimità (cfr.: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054; Cass. 3 marzo 2022, n. 7090; Cass. 25 settembre 2018, n.
22598).
6. Il terzo motivo è inammissibile.
Le ricorrenti omettono di considerare che le censure vertenti sull’interpretazione del negozio non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 27 giugno 2018, n. 16987; Cass. 28 novembre 2017, n. 28319; cfr. pure Cass. 3 luglio 2024, n. 18214). Nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto che le società appellate non avessero convenuto alcunché quanto alla titolarità del diritto di autore sul software e l’affermazione riflette un accertamento di fatto qui non sindacabile. Rispetto a tale accertamento non è comprensibile la deduzione delle ricorrenti circa la violazione del criterio dell’interpretazione letterale di cui all’art. 1362 c.c., visto che il brano dell’accordo richiamato a pag. 26 del ricorso (« la RAGIONE_SOCIALE, così come anche la società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, si dichiara soddisfatta e tacitata da ogni pretesa connessa al rapporto contrattuale intercorso con Autostrade anche in riferimento a tutte le richieste di danni avanzate nei confronti di Autostrade») non ha alcuna precisa attinenza alla questione della titolarità del diritto di proprietà intellettuale, mentre il riferimento alla sola Multinetworks del riconoscimento di tale titolarità è pienamente aderente al testo dell’accordo . Quanto ai criteri ermeneutici della ricerca della comune intenzione delle parti e dell’interpretazio ne sistematica, essi non valgono ad escludere la soluzione cui è pervenuta la Corte di merito, a fronte del dato, reputato assorbente, per cui, nell’accordo concluso, il riconoscimento della spettanza del diritto di autore sul software fu
operato, come si è visto, da un soggetto diverso dalle odierne controricorrenti. Da ultimo, la Corte di merito non era tenuta ad applicare il principio di conservazione del contratto – quale che ne potesse essere la concreta declinazione nella presente fattispecie in quanto il giudice può avvalersi di tale criterio, avente carattere sussidiario ed integrativo, solo qualora non sia stato in condizione di individuare il comune intento delle parti attraverso l’utilizzazione delle regole interpretative contemplate delle disposizioni che precedono l’art. 1367 c.c. (Cass. 20 giugno 2024, n. 17063).
7. – Il quarto motivo è pure inammissibile.
La censura di fonda sul rilievo per cui la Corte di appello non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello delle ricorrenti basato sul rilievo per cui, indipendentemente da quanto dedotto con riguardo alla committenza del programma da parte di Autostrade, questa, in autonomia, elaborò nel 2008 un nuovo software .
In realtà, tale prospettazione non è riconducibile a uno specifico motivo di appello, trovando la sua collocazione all’interno del primo mezzo di gravame, che la Corte di merito ha preso in esame e rigettato nel suo complesso, avendo riguardo pure al l’assunto di un software «del tutto nuovo rispetto a quello precedentemente sviluppato dalle società facenti capo al RAGIONE_SOCIALE e relativo agli anni 2006-2008» (sentenza impugnata, pag. 6).
Va quindi fatta applicazione del principio per cui ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò che non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti
incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; nel senso che il vizio di omessa pronuncia non si ravvisa quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto: Cass. 30 gennaio 2020, n. 2153; nel senso che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto: Cass. 26 settembre 2024, n. 25710; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191).
Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 2043 c.c., 595 c.p., 51 c.p., 21 Cost. La doglianza investe la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria avente ad oggetto il danno d’immagine e reputazionale asseritamente sofferto dalle ricorrenti: danno correlato alla pubblicazione di plurimi articoli di stampa con cui COGNOME aveva imputato alle stesse istanti illeciti di natura penale. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la scriminante del diritto di critica, s enza valutare l’esistenza del requisito della verità dei fatti in contestazione.
Col sesto mezzo si oppone la nullità della sentenza per omessa o solo apparente motivazione in relazione all’assenza del danno di immagine subito da Autostrade, e quindi la v iolazione dell’art. 132 c.p.c.. La sentenza impugnata sarebbe nulla per difetto assoluto di motivazione, o per motivazione solo apparente, perché non farebbe comprendere sulla base di quale ragionamento la Corte abbia escluso il danno d’immagine e reputazionale di cui si controverte.
Anche tali motivi possono esaminarsi congiuntamente.
Essi riguardano la condotta screditante e diffamatoria che, secondo le società Autostrade, sarebbe stata posta in essere da NOME COGNOME con un articolo apparso sul sito www.automobilista.it il 27 luglio 2013 e successivamente sul quotidiano «Latina Oggi».
La Corte di appello sul punto ha anzitutto inteso condividere «le
conclusioni a cui è pervenuto il Giudice di prime cure non essendo revocabile in dubbio che le affermazioni del Patanè erano contenute nell’ambito di un legittimo diritto di critica, pur dai forti toni, ma in un contesto di un annoso contenzioso tra le parti» e ha poi rilevato che non doveva essere «trascurata la rilevanza delle vicende e il sicuro interesse pubblico alla notizia relativa alla titolarità del software , in aggiunta alla sostanziale coincidenza del contenuto degli articoli con quanto ricavabile dall’intero contenuto degli scritti difensivi del Patanè ». Ha spiegato la detta Corte che risultava « inoltre indimostrata la prova dell’eventuale danno lamentato che, come è noto, non è in re ipsa e va allegato e dimostrato pur se mediante il ricorso a presunzioni».
Quest’ultima affermazione è sostanzialmente corretta in diritto: in tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all’onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è in re ipsa , identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima (Cass. 31 marzo 2021, n. 8861; Cass. 26 ottobre 2017, n. 25420).
L’affermazione della mancata allegazione e dimostrazione del danno riflette, dunque, l’applicazione di un preciso principio di diritto operante in materia di danno da diffamazione e come tale non integra affatto una motivazione apparente.
Il sesto motivo va quindi disatteso e tanto vale ad escludere l’ammissibilità de l quinto mezzo di censura, che investe altra ratio decidendi della statuizione reiettiva della domanda risarcitoria (Cass. 26 febbraio 2024, n. 5102; Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
11 . – Non ci si può tuttavia esimere dal rilevare che anche
quest ‘ultima ratio decidendi si sottrae a censura.
In tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione e la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, con specifico riguardo al diritto di cronaca, il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonché al sindacato della congruità e logicità della motivazione, secondo la previsione dell’art. 360, n. 5, c.p.c., applicabile ratione temporis , restando estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento relativo alla capacità diffamatoria delle espressioni in contestazione (Cass. 9 giugno 2022, n. 18631). Parte ricorrente fa questione della verità oggettiva dei fatti oggetto di elaborazione critica: ma la Corte di appello ha posto in evidenza, come si è visto, la sostanziale coincidenza del contenuto degli articoli di stampa con quanto ricavabile dal contenuto degli scritti difensivi di COGNOME, con ciò riconoscendo la rispondenza al vero di quanto dallo stesso dedotto coi predetti scritti, visto che le domande delle appellanti sono state integralmente respinte. Un esame più approfondito del tema in questione è del resto precluso dalle stesse ricorrenti, che hanno mancato di fornire indicazioni più precise e complete sul contenuto degli articoli di stampa e sulla loro localizzazione nei fascicoli di causa (essendosi le stesse limitate a riprodurre stralci brevi e decontestualizzati dei detti articoli), oltre che sulle proposizioni difensive di Patanè cui potessero raccordarsi le nominate pubblicazioni.
12 . – Il ricorso è respinto.
13 . – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
─ Parte ricorrente ha richiesto la cancellazione delle espressioni offensive contenute nel controricorso e indicate alle pagg. 13 e 14 della sua memoria.
La richiesta merita accoglimento. Le espressioni contenute negli scritti difensivi non debbono, nella forma e nel contenuto, eccedere i limiti di un civile esercizio del diritto di difesa e di critica, sicché le manifestazioni passionali ed incomposte, caratterizzate dall’intento di offendere la controparte e i suoi difensori, costituiscono abuso di quel diritto, anche se le frasi abbiano attinenza con l’oggetto della lite (Cass. 14 marzo 1981, n. 1430; Cass. 17 novembre 1979, n. 5991): le locuzioni presenti nel controricorso di cui qui si dibatte presentano tale connotazione.
Non compete invece il risarcimento del danno, in quanto le dette espressioni, benché esorbitanti dal diritto di difesa, si raccordano al tema del contendere: l’uso di espressioni sconvenienti od offensive negli atti difensivi obbliga la parte al risarcimento del danno solo quando esse siano del tutto avulse dall’oggetto della lite, ma non anche quando, pur non essendo strettamente necessarie rispetto alle esigenze difensive, presentino tuttavia una qualche attinenza con l’oggetto della controversia, e costituiscano perciò uno strumento per indirizzare la decisione del giudice (Cass. 22 giugno 2009, n. 14552; Cass. 21 marzo 1977, n. 1099; in senso conforme, più di recente, non massimate in CED : Cass. 3 gennaio 2024, n. 117 ; Cass. 10 dicembre 2020, n. 28202).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater ,
del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto; dispone la cancellazione delle espressioni sconvenienti e offensive presenti nel controricorso e riportate alle pagg. 13 e 14 della memoria di parte ricorrente.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione