Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12389 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12389 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5745/2022 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
nonchè contro
EREDITA’ NOME COGNOME
-intimata-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1982/2021 depositata il 16/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2010, Deutsche Bank S.p.A. conveniva in giudizio i sigg.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME domandando l’accertamento della nullità, ovvero della simulazione assoluta, ovvero, in subordine, la revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c. dell’atto di compravendita con cui COGNOME aveva alienato alla COGNOME una quota pari a 3/6 della proprietà di un immobile sito in Padova.
A fondamento dell’azione, l’istituto di credito deduceva che al momento della vendita (10.09.2010), NOME COGNOME era debitore della banca in forza di fideiussione personale prestata il 6.04.2010 a garanzia delle obbligazioni contratte dalla società RAGIONE_SOCIALE per un importo pari a circa € 210.000,00, corrispondente all’esposizione debitoria della società.
Con sentenza n. 2240/2018, il Tribunale di Padova rigettava integralmente le domande attoree.
Con sentenza n. 1982/2020, pubblicata in data 16 luglio 2021, la Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla Deutsche Bank S.p.A., ha dichiarato l’inefficacia nei
confronti della banca dell’atto di compravendita stipulato tra NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 19 settembre 2010, ai sensi dell’art. 2901 c.c.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
L’altra intimata non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’Appello, partendo dalla presunta preordinazione dello stato di insolvenza della società RAGIONE_SOCIALE da parte del COGNOME, avrebbe indebitamente fondato, su tale presunzione, un’ulteriore presunzione, ossia quella relativa alla preordinazione del pregiudizio arrecato alla Deutsche Bank da parte dell’intero nucleo familiare d’origine del COGNOME (cfr. pag. 17 del ricorso).
4.2. Con il secondo motivo denunzia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360, 1 comma n. 3, c.p.c., deducendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto provata, in via presuntiva, la preordinazione dell’insolvenza della società debitrice da parte del COGNOME, senza che tale circostanza fosse stata espressamente dedotta da parte attrice. La Deutsche Bank, infatti, si sarebbe limitata ad allegare la prevedibilità dello stato di dissesto, e non la sua voluta preordinazione.
Lamenta che la corte di merito ha omesso di considerare gli elementi di segno contrario offerti dalla difesa, quali: (i) la cessione delle quote da parte del COGNOME quando la società versava in condizioni economiche ritenute favorevoli; (ii) la successiva gestione societaria da parte di terzi; (iii) il fatto che lo stesso COGNOME avesse prestato fideiussione in favore della società prima
della cessione, dimostrando fiducia nella continuità e solidità della stessa.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili.
Va anzitutto osservato che l’ art. 2729 c.c., nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate al prudente apprezzamento del giudice, impone al medesimo di seguire un procedimento logico al fine di trarre l’esistenza di un fatto principale (fatto ignoto) da un fatto secondario (fatto notoindiziario), ricorrendo alle regole d’esperienza ricavabili dalla conoscenza dell’uomo medio, dal sapere collettivo della comunità sociale in quel determinato momento storico.
In tale ottica, dispone che il giudice valuti esclusivamente gli indizi gravi, precise e concordanti.
Al riguardo questa Corte ha invero pr ecisato che: (i) ‘il requisito della precisione va riferito al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica’; (ii) quello della gravità ‘al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d’esperienza adottata, è possibile desumere dal fatto noto’; (iii) il requisito della concordanza richiede che ‘il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (cfr. Cass. n. 11906/2003), anche se il requisito della concordanza deve ritenersi menzionato dalla legge solo per il caso di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 17574/2009)’ (cfr. principio affermato da Cass. civ., Sez. II, Ord., 21 marzo 2022, n. 9054; nelle successive recenti pronunce, v. Cass. civ., Sez. II, 11 febbraio 2025, n. 3520; Cass. civ., Sez. V, Ord., 21 dicembre 2024, n. 33830; Cass. civ., Sez. lav., 27 novembre 2024, n. 30555; Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 novembre 2024, n. 30150).
In tale contesto, il procedimento logico del giudice di merito si articola in due momenti valutativi: (i) il primo, consistente nella valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare quelli che abbiano una parziale o almeno potenziale efficacia probatoria; (ii) il secondo, nella disamina complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, accertando se concordanti e se la loro combinazione è in grado di fornire una valida prova presuntiva, potendosi considerare erroneo l’operato del giudice di merito che, dinanzi a plurimi indizi, li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (cfr. da ultimo, Cass. civ., Sez. II, 18 luglio 2024, n. 19856; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 marzo 2024, n. 6839; Cass. civ., Sez. II, Ord., 11 gennaio 2024, n. 1147).
Ebbene, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non è necessario che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, risultando sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit (in virtù di una inferenza di natura probabilistica), ‘sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici’ (cfr. Cass. civ., Sez. lav., Ord., 24 dicembre 2024, n. 34306; Cass. civ., Sez. III, Ord., 3 dicembre 2024, n. 30984; Cass. civ., Sez. II, 17 luglio 2024, n. 19716; Cass. civ., Sez. II, Ord., 23 marzo 2023, n. 8378). E ciò, perché spetta solo al giudice valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova.
Trattasi di apprezzamento che, in quanto affidato a una sua valutazione discrezionale, è sottratto al sindacato di legittimità,
laddove congruamente motivato, come nel caso in esame (v., da ultimo, Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 febbraio 2025, n. 3392; Cass. civ., Sez. lav., 4 febbraio 2025, n. 2618; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1488; Cass. civ., Sez. II, Ord., 23 dicembre 2024, n. 34215; Cass. civ., Sez. V, Ord., 13 dicembre 2024, n. 32301).
Va ulteriormente posto in rilievo che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di precisare che la denuncia di violazione (o falsa applicazione) dell’art. 2729 c.c. può essere prospettata solo se il giudice di merito: (a) contraddice il disposto di tale norma, sostenendo che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni, o meglio fatti, che non siano gravi, precise e concordanti; (b) fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza, sussumendo sotto l’art. 2729 c.c. fatti privi di quelle caratteristiche (v. da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 27 gennaio 2025, n. 1903; Cass. civ., Sez. III, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1467; Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2024, n. 32548; Cass. civ., Sez. III, Ord., 15 novembre 2024, n. 29485; principio in Cass. civ., SS.UU., 24 gennaio 2018, n. 1785).
In altri termini, quando nell’operare la sussunzione dei fatti accertati sotto i requisiti tipici della presunzione il giudice attribuisce erroneamente a tali fatti concrete caratteristiche che non rispondono ai criteri legali della gravità, precisione o concordanza.
Tuttavia, affinché il motivo sia ammissibile, è necessario che il ricorso per cassazione contenga una specifica e articolata illustrazione delle ragioni per cui il ragionamento presuntivo adottato dal giudice di merito si ponga in contrasto con i criteri legali che ne governano la struttura logico-giuridica, con puntuale indicazione delle carenze relative alla gravità, precisione e concordanza degli elementi valorizzati.
Orbene, nella specie le mosse censure si risolvono invero nella mera prospettazione di inferenze presuntive alternative rispetto a quelle valutate dal giudice di merito, nonché nella prospettazione di una inammissibile rivalutazione delle emergenze processuali e probatorie al fine di pervenire ad un risultato diverso da quello dal medesimo raggiunto, e, ancora, in una ricostruzione alternativa del fatto, estranea al perimetro del sindacato di legittimità.
Ne consegue che le doglianze veicolate con i motivi in esame si risolvono sostanzialmente ad una diversa valutazione degli indizi della prova presuntiva al fine di pervenire a una decisione diversa e più favorevole rispetto a quella espressa dal giudice di merito nell’impugnata sentenza, laddove giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il giudice di merito ‘è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti’ (cfr. ex plurimis , le più recenti, Cass. civ., Sez. V, Ord., 10 febbraio 2025, n. 3412; Cass. civ., Sez. III, Ord., 19 gennaio 2025, n. 1260; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13 gennaio 2025, n. 840; Cass. civ., Sez. III, Ord., 30 dicembre 2024, n. 35084).
Del resto, la decisione resa dalla Corte territoriale appare sorretta da una motivazione ampia, logica e coerente, immune da qualsiasi vizio logico.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., lamentando la carenza assoluta di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della sua consapevole partecipazione al pregiudizio arrecato alla banca creditrice. La motivazione della Corte territoriale sarebbe, infatti, meramente
assertiva e priva di qualunque riferimento alle risultanze istruttorie, non avendo il giudice d’appello specificato su quali elementi probatori abbia fondato il proprio convincimento circa il consilium fraudis della ricorrente (cfr. pp. 22-23, ricorso).
6.1. Il motivo è inammissibile.
Esso risulta invero formulato in violazione dei requisiti a pena d’inammissibilità prescritti all’ art. 366, 1° co. n. 4, c.p.c., risolvendosi, in realtà, in una generica contestazione dell’apprezzamento probatorio operato dalla Corte territoriale, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici.
Va al riguardo osservato che il ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi sui quali si fonda la richiesta di cassazione.
Tali motivi devono presentare i requisiti di specificità, completezza e riferibilità al contenuto della sentenza impugnata, attraverso l’esatta individuazione del capo della decisione oggetto di censura e la puntuale illustrazione delle ragioni giuridiche poste a fondamento della doglianza, sia in ordine alla dedotta violazione di norme di diritto, sia con riguardo ai vizi motivazionali. Restano, pertanto, estranee al giudizio di legittimità tutte le censure che non attengano direttamente al decisum della sentenza gravata (così ad esempio Cass., Sez. V, Ord., 16 febbraio 2022, n. 5021; Cass. civ., Sez. V, Ord., 1° febbraio 2022, n. 2940).
In base all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere motivi specifici, completi e chiaramente riferiti alla decisione impugnata. In mancanza di tali requisiti, il motivo si traduce in un ‘non motivo’, inidoneo a realizzare lo scopo per cui l’impugnazione è ammessa e, pertanto, sanzionato con l’inammissibilità (cfr. Cass. civ., Sez. III, ord. 16 gennaio 2025, n. 1033; Sez. V, ord. 7 gennaio 2025, n. 161; Sez. I, ord. 30 dicembre 2024, n. 35012).
Nel caso in esame la ricorrente ha omesso di confrontarsi con il contenuto effettivo della motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a lamentare che la c orte d’appello ha asseritamente trascurato la dedotta ‘freddezza dei rapporti’ tra i familiari e il signor COGNOME, giungendo così, a suo dire, ad affermare erroneamente l’esistenza di una comunanza di interessi tra lei e il cognato. Tale allegazione si articola in modo generico e non individua puntualmente alcun vizio riconducibile all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.
Peraltro, va ricordato che, a seguito della riforma dell’art. 360, 1 comma n. 5, c.p.c., il controllo sulla motivazione è oggi limitato alla sola verifica del rispetto del ‘minimo costituzionale’, ex art. 111, comma 6 Cost., che ricorre solo in ipotesi eccezionali: motivazione mancante, apparente, inconciliabile o del tutto incomprensibile. In tali casi, il vizio deve emergere direttamente dal testo della sentenza, senza che rilevi il confronto con le risultanze istruttorie (cfr. Cass. civ., Sez. V, ord. 16 gennaio 2025, n. 1051; Sez. V, ord. 12 gennaio 2025, n. 783; Sez. II, 8 gennaio 2024, n. 438).
Nel caso di specie, la motivazione fornita dalla Corte d’appello risulta adeguata e intellegibile e supera chiaramente la soglia del c.d. minimo costituzionale.
Non può, quindi, ritenersi nulla per il solo fatto di non coincidere con le aspettative della ricorrente né per il mancato accoglimento delle sue tesi. In definitiva, la doglianza si risolve in una richiesta di nuova valutazione del merito e delle prove, che resta preclusa in sede di legittimità.
Sul punto, va richiamato l’orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui la valutazione delle fonti di prova rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito, il quale è libero di selezionare quelle ritenute più idonee alla formazione del proprio convincimento, senza essere vincolato da alcun criterio di gerarchia tra i mezzi istruttori, salva l’eccezione nella specie non ricorrente
-delle prove legali (confessione e giuramento decisorio) (cfr. Cass. civ., Sez. lav., 5 novembre 2024, n. 28471).
In ogni caso, il motivo difetta del requisito dell’autosufficienza. La ricorrente non ha riportato, né direttamente né indirettamente (ossia indicando con precisione la fonte e la sede processuale), il contenuto degli atti o dei documenti su cui fonda la censura circa la pretesa estraneità dei propri rapporti familiari con il signor COGNOME Inoltre, non ha specificato in quale momento processuale tali documenti sarebbero stati prodotti, né se risultino presenti nel fascicolo di parte o in quello d’ufficio (cfr. Cass. civ., Sez. V, ord. 4 febbraio 2025, n. 2655; Sez. III, ord. 17 dicembre 2024, n. 33008; Sez. lav., ord. 15 dicembre 2024, n. 32647).
Ne consegue che la Corte non è posta in condizione di esercitare alcuna verifica sulle risultanze istruttorie invocate dalla parte, con ulteriore profilo di inammissibilità del motivo.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, individuato nella circostanza, reiteratamente allegata sin dal primo grado, secondo cui ella era del tutto ignara della situazione debitoria del cognato COGNOME e manteneva con quest’ultimo, nonché con la sua famiglia d’origine, rapporti sporadici e distaccati, a causa di pregresse incomprensioni, oltre che per la distanza geografica.
Tale circostanza risulta asseritamente confermata da plurime deposizioni testimoniali, decisive ai fini dell’accertamento della mancanza dell’elemento soggettivo richiesto per la revocatoria, ossia la consapevolezza del pregiudizio arrecato al creditore.
L a ricorrente deduce altresì la violazione dell’art. 115 c.p.c., lamentando che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le allegazioni e le prove offerte in giudizio, fondando il proprio convincimento unicamente sul mero dato formale del rapporto di
affinità o parentela, senza confrontarsi con elementi istruttori idonei a escludere la scientia damni .
7.1. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, è stato proposto per censurare l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., malgrado tale norma (nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal già citato d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 143/2012, applicabile ratione temporis), intenda l’omesso esame di uno specifico accadimento o di una precisa circostanza in senso storico naturalistico (cfr. principio affermato da Cass. civ. SS.UU., 7 aprile 2014, n. 8053; da ultimo, Cass. civ., Sez. III, Ord., 24 gennaio 2025, n. 1788; Cass. civ., Sez. I, Ord., 21 gennaio 2025, n. 1488; Cass. civ., Sez. V, Ord., 30 dicembre 2024, n. 35096; Cass. civ., Sez. II, Ord., 11 dicembre 2024, n. 31856), non assimilabile quindi in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ (v. Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 febbraio 2025, n. 3881; Cass. civ., Sez. lav., Ord., 13 febbraio 2025, n. 3666; Cass. civ., Sez. V, Ord., 29dicembre 2024, n. 34805).
Una simile censura per ritenersi correttamente proposta deve attenere a un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza deve risultare dal testo della sentenza o dagli atti processuali, aver costituito oggetto di discussione tra le parti e essere decisivo, vale a dire che, se detto fatto fosse stato esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Di contro, l’omesso esame di elementi istruttori non integra un simile vizio, qualora il fatto storico, che deve essere sempre rilevante, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice di merito, ancorché quest’ultimo, nella sua decisione, non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, rimanendo peraltro estranea all’ambito di applicabilità di tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato all’esito dell’esame del materiale probatorio a sua disposizione (v. Cass.
civ., Sez. lav., Ord., 12 febbraio 2025, n. 3642; Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 febbraio 2025, n. 3542; Cass. civ., Sez. V, Ord., 31 gennaio 2025, n. 2284; Cass. civ., Sez. III, Ord., 31 dicembre 2024, n. 35245; Cass. civ., Sez. III, Ord., 26 novembre 2024, n. 30444; Cass. civ. Sez. II, Ord., 20 giugno 2024, n. 17005 massimata).
Nella specie la ricorrente non ha indicato alcun fatto storico, nel senso precisato dalla giurisprudenza appena richiamata, del quale sarebbe stato omesso l’esame da parte del giudice di merito, non potendosi, per contro, compiere in questa sede alcuna discussione sul ‘peso’ che costui ha attribuito ad alcune prove rispetto ad altre ritenute più convincenti per la ricorrente, in quanto a lei evidentemente più favorevoli.
Infine, con riferimento all’accennato vizio di cui all’art. 115 c.p.c. (p. 26, ricorso), compiuto sempre in relazione al n. 5 del citato art. 360, c.p.c., sostanziandosi in una critica al preteso mal esercizio, da parte del giudice, del prudente apprezzamento delle prove, la censura è inammissibile, in quanto si colloca al di là dei rigorosi limiti in cui, il citato articolo, consente il sindacato di legittimità rispetto ai vizi motivazionali della sentenza. Vizi che, come già evidenziato, non ricorrono nella fattispecie, essendo la decisione de qua sorretta da una motivazione ampia, logica e coerente (cfr. pp. 5-8, sentenza impugnata n. 1982/2021).
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza