Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12453 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12453 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25727/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME C.F.:CODICE_FISCALE e dall’Avv. NOME COGNOME C.F.:CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege -ricorrente- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMEc.f. CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 710/2022 depositata il 28/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.- NOME COGNOME ha concluso un accordo con la RAGIONE_SOCIALE, in base al quale ha dato a quest’ultima in godimento una sua imbarcazione, per un tempo determinato, dietro corrispettivo di un canone, con il patto che RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto, alla scadenza, acquistare il bene o subentrare nel leasing.
Il contratto prevedeva dei rimborsi a favore del COGNOME nel caso la società di noleggio non avesse esercitato l’opzione.
2.- Si è verificata questa seconda ipotesi: la RAGIONE_SOCIALE ha restituito l’imbarcazione. Tuttavia, il COGNOME ha notato che la barca aveva subìto danni cui ha dovuto porre rimedio, con relativa spesa, e ha citato in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, la società di noleggio chiedendo, oltre che il rimborso delle riparazioni, altresì la spesa che ha dovuto sostenere a causa del rifiuto di acquistare esercitando l’opzione, prevista contrattualmente, ed altresì il pagamento dell’acconto, rimasto da corrispondere.
La società si è costituita ed ha proposto domanda riconvenzionale, per ottenere il rimborso di spese effettuate per poter utilizzare la barca, consegnata, a suo dire, in condizioni che non consentivano di sfruttarla.
3.- Il Tribunale ha riconosciuto gran parte delle voci di danno lamentate dal COGNOME e ha rigettato la domanda riconvenzionale.
4.- La Corte di Appello ha invece riformato in parte la decisione di primo grado, riconoscendo al COGNOME una voce di danno (le spese sostenute dopo la restituzione del bene) che in primo grado era stata negata.
5.- Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi di ricorso illustrati da memoria. Si è costituito l’intimato con controricorso e ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.- Il primo motivo di ricorso prospetta ‘motivazione assente’ in relazione agli articoli 2727 e 2729 c.c.
La questione attiene alla domanda di pagamento dei canoni.
Tra le questioni fatte valere dal COGNOME vi era la richiesta di pagamento dei canoni per il periodo di prova, e dunque di uso della imbarcazione da parte della società di noleggio, che, secondo il proprietario, non erano stati interamente versati.
A tale domanda la società di noleggio aveva eccepito di averne versati una parte in contanti ma né il giudice di primo grado né quello di appello hanno ritenuto provata tale eccezione, a fronte anche del fatto che il contratto prevedeva pagamenti che dovevano essere tracciabili.
La ricorrente contesta questo accertamento, che ritiene fondato su elementi presuntivi. Ed assume che la Corte di merito non ha dato sufficiente motivazione di come ha utilizzato il procedimento presuntivo (‘ E’ chiaro quindi, che il Giudice di seconde cure, pur richiamato l’argomento presuntivo, non riesce poi a motivarlo adeguatamente, trascurando di dare il giusto rilievo a quegli elementi circostanziali noti, che, secondo l’id quod plerumque accidit, ben potevano far supporre che i pagamenti contestati fossero effettivamente avvenuti con denaro contante’ , v. ricorso, p. 16-17). Per contro oppone elementi diversi da cui avrebbe potuto dedursi il contrario.
Il motivo è infondato.
In realtà non censura un uso scorretto del procedimento presuntivo, ossia non censura la violazione delle norme che presiedono alla prova presuntiva, ma piuttosto ritiene che i giudici di merito non abbiano dato sufficiente conto del modo con cui hanno presunto che il pagamento non è avvenuto.
Dunque, una censura che è sostanzialmente di difetto di motivazione, e come tale è infondata, in quanto il difetto di motivazione è rilevante nella misura in cui non risultano le ragioni
della motivazione stessa, che invece nella fattispecie sono chiaramente esposte dai giudici di merito, i quali hanno dato conto degli elementi noti da cui hanno ricavato quello ignoto (il mancato pagamento di alcuni canoni) e delle ragioni della inferenza dagli uni all’altro (si vedano le pagine 5 e 6 della sentenza).
Il motivo contiene anche una censura ulteriore, ossia quella secondo cui il ragionamento presuntivo oltre che difettante di motivazione è altresì infondato nel merito, nel senso che, contrariamente a quanto assunto dai giudici, vi erano elementi da cui trarre prova del pagamento.
Su questo punto il motivo è inammissibile.
Si risolve nella prospettazione di una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella fornita dai giudici di merito.
Invero, ‘la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Cass. 9054/2022).
In altri termini ‘In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, n. 3, c.p.c. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche
sotto il profilo dell’applicazione concreta; nondimeno, per restare nell’ambito della violazione di legge, la critica deve concentrarsi sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può svolgere argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità (criticando la ricostruzione del fatto ed evocando magari altri fatti che non risultino dalla motivazione), vizio valutabile, ove del caso, nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.’ (Cass. 18611/ 2021).
La censura contenuta nel motivo in esame non rispetta dunque questi parametri.
2.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 116 c.p.c. e 1766, 2735, 2697 c.c.
Il motivo contiene una serie di argomenti difficilmente riassumibili in una censura omogenea.
Innanzitutto, si fa questione di attendibilità dei testi, o, più precisamente, di utilizzabilità delle loro dichiarazioni.
Sostiene la ricorrente che la Corte di Appello ha fatto affidamento su due testi (a dimostrazione dei danni subiti dal COGNOME) che però avevano un interesse di fatto nella causa: uno era mandatario ‘di fatto’, l’altro era il titolare del rimessaggio cui però la società ricorrente attribuiva di avere causato i danni a lei imputati.
In questa parte la censura è inammissibile.
Intanto la questione è stata risolta dal giudice di appello, cui pure è stata prospettata la questione della incompatibilità dei testi, con un accertamento in fatto, ossia escludendo che quei testi avessero un interesse a partecipare alla causa, che è la condizione della incompatibilità (v. sentenza impugnata, p. 8). E lo ha escluso ricostruendo le situazioni di fatto, ossia le relazioni di fatto che i due testi avevano con l’attore.
Questo accertamento non può qui essere rivisto.
Per il resto, il motivo mira a censurare l’attendibilità dei testi, ed a contrapporre una diversa ricostruzione delle prove che, parimenti, è
qui incensurabile, in quanto rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, che ha reso adeguata motivazione del credito concesso ai testimoni.
Infine, si assume omesso esame di un fatto rilevante, che però è in realtà ancora una volta una censura rispetto ad una diversa valutazione della prova (p. 24) e, pertanto, il motivo è inammissibile anche sotto questo profilo.
3.- Il terzo motivo prospetta violazione degli articoli 1362 e ss. c.c. Il contratto prevedeva che, ove la società di noleggio non avesse esercitato l’opzione, avrebbe dovuto rifondere al COGNOME le spese sostenute per riprendersi la barca, sempre che fossero documentate. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che tali spese non fossero sufficientemente documentate, mentre quello di appello ha ritenuto sufficiente la fattura, sulla base del fatto che era da presumersi che la barca andasse comunque custodita e si dovesse fare la spesa relativa.
La ricorrente sostiene che il contratto è stato male inteso, ed in particolare che ‘ con la previsione di detta clausola, che richiede che le spese debbano essere documentate, le parti non hanno affatto inteso stabilire la modalità con la quale la spesa rimborsabile avrebbe dovuto essere effettuata, bensì porre una condizione allo stesso rimborso, che, nell’eventualità in cui non fosse stato documentato, non avrebbe dato diritto, per l’appunto, alla restituzione ‘ (v. ricorso, p. 26).
Invece, la Corte di Appello avrebbe inteso che la clausola dà diritto al rimborso di spese comunque successive alla conclusione del contratto, dunque anche se non documentate, così contravvenendo al canone della interpretazione secondo buona fede ed al canone che impone la soluzione meno gravosa per la parte (1371 c.c.).
Il motivo è inammissibile.
Intanto, come eccepito dal controricorrente, il motivo è formulato in questi termini per la prima volta, posto che nei gradi precedenti la
società si era limitata a contestare che le spese fossero provate e documentate e non che la clausola andasse intesa in un certo modo anziché in altro.
Ma, soprattutto, il motivo di ricorso attribuisce alla Corte di merito una interpretazione che essa non ha dato: anche i giudici di merito hanno inteso la clausola nel senso che le spese sostenute dal COGNOME per riprendersi la barca vanno rimborsate se documentate, salvo il fatto ad averle ritenute tali, a differenza del giudice di primo grado. La censura dunque, alla fine, è solo sulla esistenza della prova delle spese di cui è stato riconosciuto rimborso, ed infatti il motivo si conclude cosi: ‘ Se, dunque, l’interpretazione da darsi alla clausola in esame è nel senso che la stessa pone una condizione sospensivamente condizionata al rimborso, non essendo stato documentato il pagamento, come riconosciuto da entrambi i giudici di merito, si deve concludere che la condizione non si è avverata, con l’effetto di paralizzare l’operatività del disposto pattizio in commento ‘ (p. 28).
Conseguentemente il motivo prospetta un diverso accertamento del fatto, o meglio una diversa valutazione delle prove, ed in quanto tale è inammissibile.
4.- Il quarto motivo prospetta violazione degli articoli 2056, 1223 e 2043 c.c.
Tra i danni riconosciuti al proprietario della imbarcazione v’è quello relativo al tender che non è stato restituito, come, per accordi presi, andava fatto.
Il fatto era pacifico: era provato e non contestato che il tender non era stato restituito.
E dunque i giudici di merito hanno accordato l’indennizzo previsto in contratto per l’acquisto di un nuovo tender.
Sostiene la ricorrente che invece la Corte di merito avrebbe dovuto tenere conto del fatto che il proprietario avrebbe potuto recupere il
tender dove si trovava (pare fosse stato lasciato in Sardegna) e dunque richiedere solo le spese relative al relativo recupero.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
E’ inammissibile in quanto non risulta che la questione sia stata posta in appello in questi termini, che sono fondamentalmente quelli di concorso del danneggiato, il quale non può lucrare il valore di un tender nuovo, quando avrebbe potuto recuperare e riparare da sé quello vecchio, ottenendo semmai la spesa relativa a tale recupero. Ma non risulta che la questione del concorso di colpa del danneggiato sia stata posta davanti ai giudici di merito.
E’ comunque infondata la censura, in quanto se l’accordo prevede la restituzione del bene, ed il bene non è restituito, ne deriva il diritto del creditore ad avere l’equivalente in denaro, non essendo costui gravato dall’obbligo di dimostrare che il bene non restituito poteva essere (dal medesimo creditore) recuperato comunque, salvo ovviamente che tale onere a carico del creditore sia espressamente pattuito.
Il ricorso va pertanto rigettato e le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 6.500,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulterior e importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6/03/2025.