Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10240 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 10240 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 29762-2017 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (quale Assuntore del Concordato di RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria), rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in atti.
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata in data 31.5.2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/2/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il rigetto del ricorso;
uditi, per la società ricorrente, l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto accogliersi il proprio ricorso;
uditi, per il controricorrente, l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto respingersi l’avverso ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.Il presente giudizio trae origine dall’opposizione allo stato passivo della Parmalat S.p.A. in amministrazione straordinaria, formulata da Citibank con ricorso depositato in data 27 gennaio 2005, mediante la quale si chiedeva l’ammissione al passivo del complessivo importo di Euro 44.990.822,14 (ovvero, in subordine, di Euro 36.743.758, 06), pari al credito derivante da undici contratti derivati stipulati da Parmalat con Citibank N.A., succursale di Londra, nel periodo antecedente all’apertura dell’amministrazione straordinaria, e dichiarati risolti in data 22 dicembre 2003.
2. Il Tribunale di Parma decideva l’opposizione pronunciando due sentenze: (i) con la sentenza n. 842/2012 il Tribunale accoglieva l’opposizione allo stato passivo di Citibank con riferimento ai cinque contratti analizzati dal Tribunale, disponendo l’ammissione al passivo di Parmalat in RAGIONE_SOCIALE del credito di Citibank per l’importo pari ad Euro 4.642.747,82, in via chirografaria (sentenza definitiva); (ii) con riferimento agli altri sei contratti derivati, la sentenza n. 697/2010 del Tribunale di Parma accoglieva – per quanto qui ancora di interesse – l’eccezione revocatoria formulata in via riconvenzionale da Parmalat in a.s. ex art. 67, comma 2, l. fall. e, per l’effetto, rigettava l’opposizione di Citibank. Il Tribunale, accogliendo la revocatoria in via breve ex art. 67, comma 2, l. fall., revocava infatti i seguenti contratti stipulati fra Citibank e Parmalat: (1) opzione su valuta estera del 21 febbraio 2003; (2) opzione di valuta estera del 3 novembre 2002; (3) cross currency swap del 11 agosto 2003; (4) tax equalization swap del 22 settembre 2003; e non ammetteva pertanto al passivo ‘il costo di sostituzione di tali contratti’.
Citibank impugnava dunque questa seconda sentenza (n. 697/2010) presso la Corte d’Appello di Bologna.
3. Con sentenza n. 1279/2017, la Corte d’Appello di Bologna accoglieva l’appello di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 697/2010 del Tribunale e disponeva l’ammissione del credito di Citibank per Euro 33.029.294,97 al passivo della Parmalat in a.s.. La Corte d’appello: (a) accertava, infatti, l’infondatezza della domanda di revoca dei contratti derivati formulata da Parmalat RAGIONE_SOCIALE a.s. ex art. 67, comma 2, l. fall., per non essere stata provata la cd. scientia decoctionis in capo a Citibank e in quanto era stata, al contrario, dimostrata la sua inscientia decoctionis , posto che “il concreto svolgimento dei rapporti tra le parti esclude che RAGIONE_SOCIALE avesse la piena consapevolezza dell’insolvenza del gruppo Parmalat” (cfr. sentenza d’Appello, p. 25 e ss.); e (b) accertava, altresì, l’inammissibilità della domanda di revoca dei medesimi contratti ex art. 67, comma 1, l. fall., in quanto Parmalat non aveva formulato appello incidentale avverso i capi delle sentenze del Tribunale di Parma (nn. 697/2010 e 842/2012) che avevano implicitamente rigettato tale domanda e, in ogni caso, affermato l’infondatezza della domanda (cfr. sentenza d’Appello, pp. 52-53).
3.1 In ordine alla prima statuizione e per quanto qui ancora di interesse, la Corte d’appello di Bologna evidenziava che: (i) gli articoli di stampa apparsi all’indomani del report Merrill Lynch non avevano mai posto in dubbio l’esistenza della cassa della società; (ii) l’insussistenza della liquidità dichiarata da Parmalat era un’ipotesi inconcepibile (e mai concepita dai suoi interlocutori), avendo rappresentato anzi uno dei più eclatanti sistematici falsi posti in essere dagli ex vertici del gruppo; (iii) la circostanza che Parmalat avesse mantenuto elevati livelli di indebitamento, pur a fronte dell’ingente liquidità dichiarata, non avrebbe potuto costituire un campanello d’allarme perché questa strategia corrispondeva a quella di altri importanti operatori del settore; (iv) l’andamento del titolo non poteva essere considerato un elemento in sé significativo in considerazione della fiducia di cui i titoli Parmalat avevano continuato a godere nel mercato fino al tracollo definitivo; (v) le comunicazioni contenute nelle varie email sull’andamento del titolo e sul rating non rappresentavano indice sicuro di insolvenza nello scenario descritto; (vi) gli istituti di credito non avevano l’onere di interpretazione critica dei bilanci del debitore, ma solo quello di un’attenta lettura; (vii) era
condivisibile quanto sostenuto dal Tribunale di Milano secondo cui la situazione di dissesto del gruppo Parmalat era divenuta percepibile solamente con le vicende del 10 dicembre 2003: l’8 dicembre le obbligazioni non erano state rimborsate, Parmalat aveva comunicato l’intenzione di predisporre un piano di ristrutturazione e le azioni erano state sospese; (viii) neppure la Consob si era accorta della situazione; (ix) le ingenti perdite subite dalle banche deponevano per la mancata conoscenza della situazione di insolvenza; (x) rispetto allo specifico rapporto CitiBankRAGIONE_SOCIALEParmalat le email in atti più significative non dimostravano con chiarezza la conoscenza da parte di CitiBank dello Stato di insolvenza; (xi) Citibank aveva maturato un’esposizione creditoria di 435 ml di euro, sostanzialmente senza garanzie; (xii) la conoscenza dello stato di decozione non emergeva neppure dall’esame delle molteplici operazioni poste in essere fra le parti; (xiii) non vi era dunque prova della scientia decoctionis intesa quale conoscenza effettiva, occorrendo pertanto ammettere al passivo della procedura l’importo equivalente al costo di sostituzione dei derivati.
La sentenza, pubblicata il 31.5.2017, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE (quale assuntore del concordato di RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria) con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria datata 23.4.2024 la Prima Sezione Civile ha rilevato che ‘ le questioni prospettate dalle parti in relazione al primo motivo di doglianza meritano un approfondimento tramite la discussione in pubblica udienza, anche in relazione ai principi affermati da questa Corte con il precedente Sez. Un. n. 1785/2018, con riferimento ai limiti di ricorribilità in cassazione della dedotta violazione dell’art. 2729 cod. civ. nella materia della prova indiziaria ‘ e ha dunque rinviato a nuovo ruolo per la discussione in pubblica udienza.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ violazione dell’art. 2729 cod. civ. e/o l’omesso
esame di un fatto noto e/o decisivo ‘ , sul rilievo che la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso la prova della scientia decoctionis in capo a Citibank, con un’asserita violazione delle norme che regolano il ragionamento presuntivo.
1.1 La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove la Corte d’Appello ha escluso che vi fosse prova della scientia decoctionis di Citibank, ed eccepisce: (a) la violazione o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 2729, comma 1, cod. civ. e 67, comma 2, l. fall.; e (b) l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
1.2 Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe dunque mal applicato l’art. 2729 cod. civ., poiché avrebbe omesso di considerare un “complesso di fatti” noti, rilevanti ai fini del ragionamento presuntivo e idonei a dimostrare il fatto ignoto, i.e. la scientia decoctionis in capo alla banca all’epoca della conclusione dei contratti derivati, e segnatamente: (a) l’esistenza di un “risalente, perdurante e continuativo rapporto consulenziale” tra Citibank e Parmalat; e (b) il fatto che Citibank e Parmalat avessero cooperato in operazioni di finanza strutturata “finalizzate a consentire un rilevante afflusso di nuove risorse in modo indiretto, occultando la reale natura dei debiti derivanti dai nuovi apporti e così senza appesantire i bilanci ” (cioè, le operazioni di cartolarizzazione, di associazione in partecipazione e la cd. operazione RAGIONE_SOCIALE).
1.3 Sostiene la ricorrente che il “complesso” dei predetti fatti noti sarebbe dimostrato dai documenti prodotti e, in particolare, dalla sentenza di patteggiamento in atti.
1.4 Le doglianze così proposte sono inammissibili.
I profili di censura formulati anche sotto l’ egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – sono, in realtà, volti a riproporre questioni di fatto e a sollecitare questa Corte di legittimità ad un riesame del merito della vicenda processuale.
1.4.1 Sul punto va ricordato in termini generali e di ricostruzione degli istituti qui applicabili che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di
legittimità, in tema di elemento soggettivo dell’azione revocatoria fallimentare ex art. 67, comma 2, l. fall., la scientia decoctionis in capo al terzo, come effettiva conoscenza dello stato di insolvenza, è oggetto di apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente argomentata, potendosi quest’ultimo formare il relativo convincimento anche attraverso il ricorso alle presunzioni (come peraltro avvenuto proprio nel caso di specie), alla luce del parametro della comune prudenza ed avvedutezza e della normale ed ordinaria diligenza, con rilevanza peculiare della condizione professionale dell’ accipiens e del contesto nel quale gli atti solutori si sono realizzati (così, anche: Cass. n. 3081 del 2018).
In realtà, l ‘art. 2729 c od. civ., nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge siano lasciate alla ‘prudenza del giudice’, impone a quest’ultimo di compiere l’inferenza logica dal fatto secondario (fatto noto) al fatto principale (fatto ignoto) sulla base di una regola d’esperienza che egli deve ricavare dal sensus communis , sulla base di un’adeguata ed argomentata motivazione.
Sempre in termini generali, giova ricordare che dal modello di prova per presunzioni configurato dalla legge processuale risulta che il giudice deve seguire un procedimento logico che si declina in due momenti valutativi: in primo luogo, il giudice deve apprezzare in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità e presentino, cioè, una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; e successivamente, egli deve procedere ad una valutazione complessiva degli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che potrebbe anche non dirsi raggiunta considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.
Per configurare, poi, una presunzione giuridicamente valida e probatoriamente rilevante, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto in forza di una regola d’esperienza – come
conseguenza meramente probabile, secondo un criterio di normalità (Cass. n. 2632/2014; Cass. n. 20342/2020). Ne consegue che risulta sufficiente, a tal fine, che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit , in virtù di un ‘ inferenza di natura probabilistica. Pertanto, il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei menzionati requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati di natura meramente ipotetica (Cass. n. 2632 del 2014, cit. supra ).
Con l’ulteriore considerazione che, dal momento che le presunzioni semplici sono lasciate alla “prudenza” (come testualmente recita l’art. 2729 cod. civ.) del giudice di merito, spetta a quest’ultimo valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova, scegliere i fatti noti da porre a base della presunzione, onde scartare quelli irrilevanti, e le regole di esperienza, fra quelle realmente esistenti nel sentire collettivo, tramite le quali dedurre il fatto ignoto, nonché scrutinare il profilo della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge (v. Cass. n. 23594/2023; Cass. n. 22625/2022). Trattandosi di apprezzamento discrezionale, esso è sottratto al sindacato di legittimità se congruamente motivato (Cass., 30 gennaio 2023, n. 2724; Cass. n. 29540/2019; Cass. n. 22801/2014; Cass. n. 22454/2014; Cass. n. 17566/2021), con l ‘ulteriore precisazione che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice, né l’erronea individuazione dei fatti da porre a fondamento del ragionamento presuntivo, ma deve far emergere una motivazione meramente apparente ovvero insanabilmente contraddittoria (cfr. Cass. n. 20066/2023), perché divers amente l’apprezzamento giudiziale non risulta sindacabile in sede di legittimità.
1.4.2 Sul punto va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte richiamando in realtà principi consolidati, già espressi dalla giurisprudenza di legittimità (v.: Cass. n. 17457 del 2007; successivamente. Cass. n. 17535
del 2008; Cass. n. 19485 del 2017) – hanno precisato che “la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito”, trattandosi altrimenti di “un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti” (Cass., Sez. Un., 24 gennaio 2018, n. 1785). E’ stato, inoltre, evidenziato sempre dalle Sezioni Unite da ultimo ricordate, che ‘… la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare … sotto i seguenti aspetti: … bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e, quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza. Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro – almeno secondo l’opinione preferibile che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l’inferenza presuntiva sia “certa”)’ (così, verbatim , Sez. U., n. 1785/2018, cit. supra ). Affermano sempre le Sezioni Unite da ultimo citate : ‘ La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso,
cioè anche verso un altro o altri fatti. La concordanza esprime – almeno secondo l’opinione preferibile – un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione “non falsa” dell’art. 2729 cod. civ.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi ‘ .
Ne consegue che allorquando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere – secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite – che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e competa, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.
1.4.3 Occorre tuttavia introdurre a questo punto un chiarimento che si pone comunque sempre sulla scia degli insegnamenti delle Sezioni Unite da ultimo citate (v. Sez. U., n. 1785/2018).
Va infatti precisato che questa Corte può essere investita, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione, cioè un’inferenza che non lo sia, o sotto un profilo logico generale ovvero sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina), entro il quale essa si collochi. La stessa conclusione vale anche per il controllo di requisiti della precisione e della concordanza.
Occorre, cioè, che vi sia stata da parte del giudice del merito una macroscopica erronea individuazione della regola inferenziale -intesa quest’ultima, secondo la migliore teoria epistemologica, come produzione di una proposizione come conseguenza deduttiva probabilistica da una determinata premessa fattuale conosciuta – per poter rintracciare margini di intervento da parte del giudice di legittimità, nei termini sopra evidenziati
dell’in tegrazione del vizio di falsa applicazione di legge, come tale ricorribile ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Tale conclusione – che riveste comunque carattere generale, in ordine al profilo dell’ambito di sindacato da parte della Corte di cassazione n ell’apprezzamento della prova presuntiva – si declina, peraltro, con maggior rigore, proprio negli ambiti applicativi di controversie di diritto sostanziale nascenti (come nella fattispecie qui in esame) nelle materie di regolazione del mercato e del diritto più in generale dell’economia, ove l’i ntervento giudiziale dei tribunali e delle corti di merito, nell’apprezzamento della prova, non deve essere vincolato dalla ‘tipizzazione’ di precostituite fattispecie applicative di carattere generale, dovendosi invece esplicare nella libertà di adattamento della regola generale (intesa, anche, come criterio inferenziale di apprezzamento della prova presuntiva) alle fattispecie concrete sottoposte al loro scrutinio.
Con ciò volendosi intendere che non è neanche predicabile un intervento del giudice di legittimità che enuclei -tramite un’anticipata (rispetto a ll’ apprezzamento dei giudici del merito) predisposizione di ‘modelli’ applicativi astratti – le possibili fattispecie concrete sussumibili nelle categorie logiche della gravità, precisione e concordanza, perché ciò implicherebbe un sindacato sul contenuto della prova che esula dalla cognizione della Corte di cassazione.
In realtà, l’individuazione e la selezione tra i fatti noti di quelli, sulla cui base far emergere, tramite l’applicazione dell e predette regole inferenziali, il fatto ignoto (oggetto del ragionamento presuntivo del giudice), come la scelta degli stessi criteri inferenziali appartengono all’ambito di apprezzamento discrezione dei fatti e delle prove, rimesso al giudizio dei giudici di merito, che, se adeguatamente argomentato, non può essere oggetto del sindacato di legittimità.
La critica al ragionamento presuntivo svolto da giudice di merito sfugge, infatti, al concetto di falsa applicazione quando si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali – in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito
è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma (e ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito, quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali). In questi casi la critica si risolve, con tutta evidenza, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della medesima quaestio , ponendosi la censura in un ambito applicativo che non è quello declinato dal n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ. (e cioè falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ.), ma su quello che sollecita, invece, un controllo sulla motivazione del giudice relativo alla ricostruzione della fattispecie concreta. Ambito applicativo che, tuttavia, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., risulta percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato e dedotto in modo chiaro ed autosufficiente e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di una risultanza istruttoria (v. Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014, per come riprese in motivazione anche da Sez. U, n. 1785/2018, cit. supra ).
Va peraltro ricordato che anche la giurisprudenza di questa Corte, successiva all’arresto a Sezioni Unite da ultimo menzionato, non ha fatto altro che confermare tale sindacato ‘ristrettivo’ rimesso al giudice di legittimità , nell’apprezzamento della prova presuntiva ( cfr. tra le tante, Cass. n. 18611 del 2021; Cass., Cass. n. 9054 del 2022; Cass. n. 22846/2022; Cass. 27266 del 2023).
1.4.4 Ciò posto e chiarito, le censure proposte dalla ricorrente risultano pertanto inammissibili in questa sede di legittimità, in quanto RAGIONE_SOCIALE di fatto evoca un ‘ inferenza probabilistica diversa da quella effettuata nella sentenza d’appello, senza spiegare le ragioni per le quali il ragionamento
seguito dal giudice di merito sarebbe censurabile, ove afferma che la Corte d’appello avrebbe: (a) da un lato, erroneamente escluso che Citibank fosse a conoscenza della “situazione di totale decozione”, per aver “totalmente pretermesso” la valutazione del fatto noto asseritamente dimostrato dalla sentenza di patteggiamento, e cioè la “intrinseca e continuativa cooperazione finanziaria tra Citibank e Parmalat”; e (b) dall’altro, ritenuta dimostrata la inscientia decoctionis “utilizza un ‘fatto noto’ che non ha alcuna pertinenza o per lo meno non ha alcuna caratteristica di ‘gravità, precisione e concordanza’ nel senso fatto proprio dal disposto sulla presunzione semplice”.
Sostiene, infatti, la parte ricorrente che il giudice di appello non avrebbe sussunto fra le circostanze, da valutare ai fini della valutazione della prova presuntiva, il fatto noto, e cioè che Citybank aveva un rapporto di strettissima, continuativa e rilevante consulenza finanziaria con Parmalat, valutando, invece, ai fini della prova presuntiva, per contro, un fatto che non aveva i caratteri previsti dal 2729 cod. civ., e cioè che il default di Parmalat aveva causato perdite anche a Citibank.
1.4.5 Le argomentazioni dedotte dalla ricorrente nel primo motivo non sono idonee tuttavia a prospettare la falsa applicazione delle norme evocate, nei termini sopra enucleati, ma si risolvono, invece, solo nella prospettazione di pretese inferenze probabilisti che diverse sulla base dell’evocazione di emergenze istruttorie e talora nella prospettazione di una diversa ricostruzione delle quaestiones facti ripercorse in relazione alle varie circostanze emerse.
Più in particolare, la Corte di merito ha ritenuto che gli scambi di corrispondenza intercorsi tra le parti tra il 1995 ed il 2001 non fossero particolarmente rilevanti, sia perché rientranti nel contesto della normale dialettica tra la banca e un importante cliente, sia in quanto le conoscenze acquisite al m omento del dissesto del gruppo non erano all’epoca neanche immaginabili. Con specifico riguardo alla e-mail del 9.10.1995 i giudici di appello hanno ritenuto che ‘il senso della conversazione sembra a q uesta corte rientrante in una normale dialettica bancaria, in quanto si manifesta l’esigenza di raccogliere più informazioni possibili sul cliente…’.
Ebbene, alla luce di tali emergenze istruttorie, singolarmente e complessivamente valutate, la sentenza impugnata ha tratto il convincimento che non potesse ritenersi raggiunta la prova della scientia decoctionis in capo a Citibank.
Per confutare tale ragionamento presuntivo, la società ricorrente muove tuttavia censure che non concernono l’insussistenza del requisito della gravità o quello della precisione del fatto noto, né l’impiego di elementi fattuali intrinsecamente dissonanti rispetto al fatto presunto, ma che si risolvono invece nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e nella contrapposizione di una diversa ricostruzione della stessa vicenda fattuale.
Sul punto va infatti chiarito che non corrisponde al vero che la Corte di appello non avrebbe sussunto sotto la specie del fatto noto utilizzabile ex art. 2729 cod. civ. un fatto sicuramente riconducibile ai caratteri legali descritti da tale disposto. Ed invero, la Corte di appello ha preso in considerazione il risalente, perdurante e continuativo rapporto consulenza ovvero l’intrinseca e continuativa cooperazione finanziaria fra Citibank e Parmalat, piuttosto ritenendo che ‘il concreto svolgimento dei rap porti tra le parti esclude che RAGIONE_SOCIALE avesse la piena consapevolezza dell’insolvenza del gruppo Parmalat’ poiché ‘se RAGIONE_SOCIALE fosse stata realmente a conoscenza della fallimentare situazione finanziaria del gruppo Parmalat, innanzitutto si sarebbe fatta rilasciare quantomeno una garanzia realee, soprattutto, la stessa non avrebbe mantenuto i rapporti finanziari con Parmalat fino alla fine’ piuttosto che portare ‘avanti i propri rapporti con il gruppo Parmalat per vari anni, incrementando nel tempo il proprio rischio’ e così aumentare la propria esposizione debitoria da poche decine di milioni di euro nel 1997 fino ad oltre 435 milioni di euro a fine rapporto (pag. 47 della sentenza).
Come osservato anche dalla Procura Generale, nella condivisibile requisitoria scritta, ‘ la valutazione delle prove raccolte in giudizio, al pari della scelta (tra le varie emergenze probatorie) di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione e del giudizio relativo all’effettiva ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e conc ordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1216 del 2006) e all’idoneità degli elementi presuntivi
dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002 del 2017), costituisce un’attività riservata all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, il quale, peraltro, in sede di ricostruzione della vicenda fattuale (come la sussistenza o meno dell’ inscientia decoctionis : cfr. Cass. n. 14390 del 2023, in motiv.), è libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un ‘esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017) ‘ .
La ricorrente solo formalmente richiama nella rubrica del motivo di censura il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ma nella sostanza solleva una questione legata alla congruità argomentativa dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa, interpretazione diversa da quella invece perorata dalla ricorrente stessa nei suoi scritti difensivi. Si tratta di un’argomentazione critica diretta , cioè, a contestare la dedotta erronea ricognizione della fattispecie concreta, per necessità mediata dalla contestazione dell’apprezzamento delle risultanze probatorie di causa e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato ‘perché, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la parte ricorrente pretenderebbe una nuova rivalutazione della quaestio facti , tramite la rilettura della prova documentale, ed un nuovo scrutinio della prova indiziaria, valutazioni che invece esulano dal sindacato del giudice di legittimità ‘ (così, da ultimo, Cass. 4593 /2024, in motivazione).
In realtà, la mancata considerazione del carattere perdurante, risalente e continuativo del rapporto RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto sì essere denunciata come omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ma a ciò deve essere tuttavia aggiunto come, al contrario di quanto opinato dalla società ricorrente, l’esame del ‘fatto’ non è stato omesso nel caso di specie, posto che la Corte di appello si è dedicata diffusamente sull’argomento, articolando un complesso ragionamento proprio
sul profilo del ‘concreto svolgimento dei rapporti fra le parti’, con la conseguenza che le censure si risolvono, come già sopra precisato, in una inammissibile richiesta di riesame del merito della decisione.
Ed ancora, la ricorrente opina, più nello specifico, che sia erronea la decisione impugnata laddove la stessa aveva evidenziato che se Citibank fosse stata consapevole del dissesto non avrebbe continuato a finanziare Parmalat. Sostiene che l’esistenza di un forte indebitamento fosse circostanza priva di gravità, perché la scientia non consiste nella consapevolezza certa del se e quando verrà dichiarato il fallimento.
Ma anche qui la censura travalica nel merito della valutazione indiziaria, su cui questa Corte -per le ragioni già sopra illustrate -non può esercitare il suo sindacato.
1.5 In via subordinata, RAGIONE_SOCIALE formula nel primo motivo vizio di cui all’art. 360, n. 5 c.p.c., in quanto “dovrà ritenersi che l’esame circa quel fatto, in particolare per come emergente dalla (nonché dalle altre e non contraddette risultanze dinanzi indicate), è stato totalmente omesso dalla Corte territoriale”.
Osserva il Collegio che il motivo è al pari di quello già sopra esaminato inammissibile, in primo luogo, in quanto con esso RAGIONE_SOCIALE non formula censure differenti rispetto a quelle formulate ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c. e, di fatto, ripropone, sotto diversa veste, le medesime doglianze già esaminate sopra.
La doglianza non è stata infatti prospettata, secondo il paradigma applicativo delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un. n. 8053/2014, da ultimo, vedi anche: Cass., 1 marzo 2024, n. 5540), perché la censura non concerne l’omesso esame di un fatto storico , da intendersi principale o secondario, e dunque di una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, di un dato materiale la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, bensì la valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel paradigma della disposizione invocata, come riformulata dall’art. 54 del decreto -legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (v. anche: Cass. n. 13024 del 2022).
In ogni caso, la censura di omesso esame di un fatto decisivo, ossia, secondo la prospettazione della ricorrente, del “complesso di fatti” emergenti dalla sentenza di patteggiamento, non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto, secondo gli insegnamenti di questa Corte, il giudice del merito non ha l’onere di dare conto analiticamente di ogni risultanza istruttoria sulla quale si fonda il proprio accertamento, poiché per giurisprudenza consolidata, “non costituisce omissione censurabile, ai sensi della norma richiamata, l’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass., 1 marzo 2024, n. 5540). Peraltro, anche la mancata valutazione di un elemento indiziario non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass. n. 5279 del 2020).
Nel caso di specie, il provvedimento impugnato ha esaminato il “complesso di fatti” in relazione agli elementi oggetto dell’indagine che aveva condotto i giudici del merito ad escludere la consapevolezza di Citibank rispetto alla scientia decoctionis . Ed anche in relazione alla sentenza di patteggiamento, la sentenza impugnata si è in realtà pronunciata, escludendone la rilevanza nel giudizio civile.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del primo motivo.
Con il secondo mezzo si censura il provvedimento impugnato nella parte in cui sarebbe stata erroneamente dichiarata inammissibile, in violazione degli artt. 67, comma 1, l. fall., 98 ss. l. fall. 343 e 346 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 4, medesimo codice di rito, l’eccezione alternativa ex art. 67, primo comma, l. fall. proposta da Parmalat nel giudizio di opposizione allo stato passivo, perché (a) non inserita in apposito appello incidentale; e perché (b) l’esame nel merito dell’eccezione sarebbe entrata in conflitto con il divieto di reformatio in pejus nel giudizio di opposizione rispetto allo stato passivo predisposto dal giudice delegato.
2.1 Ricorda la ricorrente che nella sentenza del Tribunale di Parma del 14 maggio 2010, n. 697 erano riportate le sue conclusioni (pag. 4), nel giudizio di primo grado, che così recitavano: «revocare tutti i contratti derivati stipulati da Parmalat S.p.a. con Citibank nell’anno anteriore alla dichiarazione
di insolvenza, dichiarando, ove occorra, l’inefficacia ex art. 67, comma primo n. 1, e secondo, L.F., dei contratti derivati medesimi».
2.2 Osserva la ricorrente che le due distinte ed alternative eccezioni riconvenzionali, ove accolte l’una o l’altra, avrebbero condotto all’identico risultato dispositivo, e cioè la conferma dello stato passivo quanto alla non ammissione di quei crediti. Il Tribunale di Parma aveva accolto, poi, l’eccezione ex art. 67, comma 2, l. fall., essendo risultata dunque integralmente assorbita l’eccezione ex art. 67, comma 1, l. fall.: così si era infatti espresso chiaramente il dispositivo a pag. 29 della sentenza di primo grado, nonché la motivazione da pag. 20. Ne sarebbe ulteriore prova la circostanza che la sentenza di primo grado non aveva contenuto alcun accenno alla fattispecie ex art. 67, comma 1, l. fall. N el resistere all’appello promosso da RAGIONE_SOCIALE, aveva riproposto puntualmente l’eccezione ex art. 67, comma 1, l.fall., illustrandola ampiamente in comparsa (cfr. pagg. 124-141 all. 5 al ricorso, pagg. 91-106 all. 6 al ricorso). Ricorda sempre la ricorrente che con la sentenza qui impugnata la Corte d’appello aveva invece dichiarato inammissibile la predetta eccezione riconvenzionale affermando che «appaiono fondati i rilievi preliminari, mossi dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE, che sostiene che tali argomenti sarebbero preclusi in mancanza di un appello incidentale della procedura (anche condizionato) e comunque impediti dalla doverosa applicazione del divieto di reformatio in pejus del provvedimento assunto dal giudice delegato».
2.3 Si tratterebbe, invece, secondo gli insegnamenti del giudice di legittimità (Cass., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799) di un’eccezione assorbita in primo grado e ritualmente ed ammissibilmente riproposta in appello ex art. 346 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente, errata sarebbe altresì l’affermazione di Citibank secondo cui la Corte d’appello avrebbe fatto corretta applicazione del divieto di reformatio in pejus , dovendosi invece ribadire quanto correttamente rilevato dal Giudice di primo grado – in replica ad analogo rilievo che era stato svolto da RAGIONE_SOCIALE rispetto all’eccezione di revoca ex art. 67, comma 2, l.fall. – che aveva affermato che «non si può parlare di «violazione del divieto di reformatio in pejus» rispetto al provvedimento del giudice delegato, posto che l’importo di cui ai suddetti contratti [quelli oggetto
delle eccezioni riconvenzionali di revoca] non era stato ammesso in sede di ammissione allo stato passivo».
2.4 Il secondo motivo è invece fondato.
2.4.1 Per quanto già sopra ricordato, la Corte di appello aveva infatti dichiarato l ‘ eccezione riconvenzionale, ex art. 67, primo comma, l.fall., inammissibile, affermando che la stessa sarebbe stata preclusa in mancanza di un appello incidentale della procedura (anche condizionato) e comunque impedita dalla doverosa applicazione del divieto di reformatio in pejus del provvedimento assunto dal giudice delegato.
Ebbene, tali affermazioni sono errate in diritto.
2.4.2 Sul punto giova ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno espressamente chiarito che ‘ In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c . ‘ (Sez. U, Sentenza n. 11799 del 12/05/2017; v. anche: Sez. 6-3, Ordinanza n. 24658 del 19/10/2017; Sez. 3, Ordinanza n. 25876 del 27/09/2024).
Nel caso di specie si versa nella seconda delle due ipotesi sopra esaminate, posto che il Tribunale si era espressamente pronunciato sulla sola eccezione di cui all’art. 67, secondo comma, l. fall., accogliendola, ed aveva ritenuto pertanto assorbita l’ulteriore eccezione sollevata ai sensi del primo comma,
dell’ art. 67, l. fall., con la conseguenza che su questa seconda eccezione non vi era stata alcuna espressa pronuncia da parte del giudice di prima istanza. Ne consegue ancora che quest’ultima eccezione , per poter essere esaminata dalla Corte di appello, avrebbe dovuto essere semplicemente riproposta ex art. 346 cod. proc. civ. , come peraltro avvenuto da parte dell’appellata, e non già fatta oggetto di appello incidentale, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale.
2.4.3 Ebbene, con l ‘erronea declaratoria di inammissibilità in rito da parte della Corte di appello dell’eccezione riconvenzionale, sollevata ai sensi dell’art. 67, primo comma, l. fall. , i giudici di secondo grado si sono tuttavia spogliati della loro ‘potestas iudicandi’, con la conseguenza che la successiva statuizione – resa sempre nella sentenza qui impugnata, secondo la quale la predetta eccezione di revoca non aveva trovato, comunque, alcuna conferma in giudizio – deve essere in realtà considerata come una mera argomentazione spesa ad abundantiam, come tale non rilevante ai fini decisori.
Non possono infatti essere dimenticati, sul punto qui da ultimo in discussione, i fondamentali principi affermati dalla sentenza resa a Sezioni Unite da questa Corte nel 2007, secondo i quali ‘Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata’ (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007; v. anche più recentemente Cass. n. 27388/2022; Cass. n. 11675 del 16/06/2020).
Correttamente (e fondatamente) RAGIONE_SOCIALE ha dunque impugnato la sola statuizione, contenuta nella sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione , relativa alla declaratoria di inammissibilità in rito dell’eccezione di revoca ex art. 67, primo comma, l. fall.
Da ultimo, va aggiunto che non è dato comprendere, logicamente prima ancora che giuridicamente, il fondamento dell’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale non si sarebbe potuto avere una reformatio in peius del provvedimento reso dal g.d. in sede di opposizione allo stato passivo, posto che, nel caso in esame, tale provvedimento era stato di esclusione del credito insinuato.
Si impone pertanto la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale che dovrà esaminare l’eccezione riconvenzionale sollevata ai sensi dell’art. 67, primo comma, l. fall., invece erroneamente dichiarata inammissibile dai giudici di appello.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25.2.2025