Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6721 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28925/2020 R.G. proposto da:
NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura in calce al ricorso.
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ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) rappresentato e difeso
dall’avvocato COGNOME NOME
(EMAIL), giusta procura allegata al controricorso.
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contro
ricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, RAGIONE_SOCIALE.
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intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 1136/2020 depositata il 23/04/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza n. 1136/2020 del 23/04/2020, con cui la Corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza del 30/01/2017 con cui il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda proposta dall’originaria attrice Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e dalla terza interveniente RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto accertava e dichiarava la nullità per simulazione assoluta di quattro compravendite stipulate da RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE in favore di altre società convenute in giudizio; accoglieva inoltre la domanda di condanna di tutti i convenuti in via solidale al risarcimento dei danni ex art. 2043 cod. civ., quantificati in misura pari ai crediti vantati nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e non recuperabili per effetto
delle vendite immobiliari impugnate.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
Le altre parti, Banca Monte Paschi di Siena, RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal registro delle imprese e quindi in persona dei suoi soci RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, anch’esse cancellate e quindi in persona del socio RAGIONE_SOCIALE, restano intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in due censure, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1362, 1363, 1366 cod. civ.
Lamentano che la corte di merito ha interpretato i contratti di compravendita, soprattutto quello stipulato in data 19 gennaio 2004 e ritenuto precipua fonte di responsabilità risarcitoria dei signori COGNOME e COGNOME, in maniera erronea, e non si è pertanto avveduta che il prezzo previsto per la compravendita, dichiarato congruo dal consulente tecnico d’ufficio in primo grado, era stato per buona parte dato per pagato tramite accollo delle residue rate di mutuo gravanti sugli immobili.
1.1. Con la seconda censura che compone il motivo, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 2727 e 2729, comma 1, cod. civ., in quanto la corte di merito non ha correttamente invocato la prova presuntiva, non sussistendo fatti gravi, precisi e concordanti che consentano di risalire al fatto ignoto, ed ha anche violato gli artt. 1414 e 1417 cod. civ. in tema di simulazione.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 2726 cod. civ.
Censurano la parte della sentenza d’appello in cui la corte territoriale ha ritenuto priva di rilevanza probatoria la testimonianza del teste COGNOME NOME ed ha così pronunciato d’ufficio ed ultra petita , posto che l’inammissibilità della prova testimoniale doveva al più essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la violazione del principio lex specialis derogat generalis ex art. 15 cod. pen. per violazione degli artt. 2394 bis cod. civ., 146 legge fallimentare e 81 cod. proc. civ. ed in subordine degli artt. 2395 e 2476, comma 7, cod. civ.
Deducono, ‘per la denegata ipotesi che non trovi accoglimento il primo motivo di ricorso’, che erroneamente la corte di merito ha confermato la sentenza di primo grado in relazione alla compravendita del 19 gennaio 2014, che non solo ne ha accertato la simulazione assoluta, ma l’ha anche considerata rilevante come illecito aquiliano, in quanto il bene oggetto della stessa non è potuto rientrare nel patrimonio del debitore poiché rivenduto a terzi, e ciò in odio alle pretese della banca creditrice attrice in primo grado.
Lamentano inoltre che la corte di merito ha ritenuto che tale illecito extracontrattuale sia stato perpetrato non solo dalle società parti contraenti ma anche dai rispettivi organi amministrativi e rappresentativi, cioè gli odierni ricorrenti persone fisiche COGNOME e COGNOME, senza tuttavia tener conto non solo che la stipula della compravendita incriminata fu atto delle società, ma anche che, in ogni caso, la responsabilità degli amministratori intervenuti non doveva essere valutata secondo la norma generale dell’art. 2043 cod. civ., bensì secondo le norme
speciali di cui agli artt. 2394, 2395 e 2476, commi 6 e 7, cod. civ.
Se la corte avesse correttamente applicato queste norme, avrebbe dovuto rilevare che, quando il danno incide sul patrimonio sociale, il pregiudizio subìto dai soci o dai terzi è soltanto un effetto riflesso ed indiretto del danno cagionato alla società, per cui i soci o i terzi non hanno azione ex art. 2935 cod. civ.
4. Il primo motivo è inammissibile.
Va anzitutto osservato che con esso i ricorrenti lamentano la non corretta interpretazione del contenuto dei contratti di compravendita dichiarati simulati senza tuttavia in alcun modo riprodurne il contenuto né indicare la relativa produzione nella presente sede di legittimità, e quindi viola l’art. 366, 1° comma n. 6, cod. proc. civ.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass., 21/02/2021, n. 5067; Cass., 28004/2020; Cass., 20/04/2022, n. 12631, secondo cui ‘la norma di cui all’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ponendo come requisito di ammissibilità «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», richiede la specificazione
dell’avvenuta produzione in sede di legittimità, accompagnata dalla doverosa puntualizzazione del luogo all’interno di tali fascicoli, in cui gli atti o documenti evocati sono rinvenibili’) .
Deve ulteriormente porsi in rilievo che giusta pacifico orientamento di questa Corte l’accertamento della simulazione costituisce indagine di fatto riservata al giudice di merito, accertamento che viene svolto apprezzando l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, peraltro valutati non solo analiticamente ma anche nella loro globalità all’esito di un giudizio di sintesi, non censurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico giuridico (v. tra le tante Cass., 13 maggio 2020, n. 8892; Cass., 19/03/2010, n. 6709).
Si è inoltre precisato che l’accertamento del giudice di merito non viene effettuato analizzando il contenuto del contratto simulato; pertanto la prova della simulazione non può essere data facendo ricorso al criterio di ermeneutica di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., in quanto l’accordo simulatorio non fa parte del contratto apparentemente posto in essere dalle parti, e dunque non può che fondarsi su elementi estranei al detto contenuto contrattuale (Cass., 19/03/2010, n. 6709).
4.1. Tanto premesso, la prova della simulazione ben può fondarsi sul ragionamento presuntivo, in relazione ad elementi che, appunto, stanno al di fuori del contratto simulato.
I ricorrenti, con ulteriore censura che compone il motivo, lamentano tuttavia che la corte territoriale non ha svolto correttamente il ragionamento presuntivo, perché avrebbe preso in considerazione, per risalire al fatto ignoto, fatti che non sono né gravi, né precisi, né concordanti.
Ora, premesso che qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i requisiti della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece
rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c od. proc. civ., n. 3, (e non già alla stregua dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5), competendo alla Corte di C assazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c od. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass., 04/08/2017, n. 19485; in senso sostanzialmente analogo pure Cass., 05/05/2017, n. 10973, nonché Cass., 26/06/ 2008, n. 17535)’ , la censura è infondata.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare come la corretta applicazione dell’art. 2729 cod. civ. presupponga un apprezzamento degli elementi acquisiti in giudizio, dai quali inferire quello ignoto, che riconosca ad essi efficacia probatoria, ‘quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziarla’, se risultino ‘in grado di acquisirla ove valutati nella loro convergenza globale’, ovvero ‘accertandone la pregnanza conclusiva’ (Cass., 16/07/2018, n. 18822), e ciò in quanto ‘la valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare’ (Cass., 13/03/2014, n. 5787).
Si è inoltre precisato che il ragionamento presuntivo, per vero, costituisce ‘un ‘iter logico che non è un risalire all’indietro, ma piuttosto un procedere ‘in avanti’, verso un’ipotesi da verificare, ovvero verso la dimostrazione di un fatto che è prefigurato come possibile conclusione dell’inferenza in cui si articola il ragionamento presuntivo’ (così, in motivazione, Cass.,
22/06/2020, n. 1218; sul carattere ‘inferenziale’ del ragionamento presuntivo si vedano anche, da ultimo, e tra le innumerevoli, Cass., 05/06/2019, n. 15454; Cass., 29/01/2019, n. 2482).
È stato inoltre più volte ribadito che ‘per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva’, essendo, invece, ‘sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit (Cass., n. 17457/2007; più di recente, Cass., 06/02/2019, n. 3513; Cass., 31/10/2011, n. 22656).
5.2. Orbene, nel confermare la sentenza di prime cure e dare rilievo: 1) alla cronologia degli avvenimenti; 2) ai rapporti esistenti tra i soggetti coinvolti; 3) alla mancata prova del pagamento del prezzo pattuito da parte delle società acquirenti, la corte territoriale ha fatto buon governo dei suindicati principi in tema di ragionamento presuntivo, valorizzando circostanze che ben possono essere considerate gravi, precise e concordanti, nei termini affermati da costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, con un procedimento logico articolato nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde
verificare se siano -appuntoconcordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi (Cass., 10/03/2023, n. 7202; Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass., 8443/2019).
Il secondo motivo è inammissibile, stante il pacifico orientamento di questa Corte, secondo cui l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come pure la scelta tra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite se non quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o/a confutare tutte le deduzioni difensive dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi circostanze che sebbene non menzionati specificamente sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 23/07/2021, n. 21174; Cass., n. 19011/2017; Cass., n. 16056/2016).
Nel caso di specie la corte di merito ha affermando che le dichiarazioni testimoniali rese sul punto dal teste COGNOME NOME sono prive di rilevanza probatoria, rendendo una motivazione congrua e scevra da vizi logicogiuridici (v. p. 10 dell’impugnata sentenza), il cui riesame nel merito è precluso nella presente sede di legittimità.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto non specificamente correlato alla motivazione della sentenza impugnata, e tale da introdurre questioni nuove.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, il motivo
di impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., 23/02/2023, n. 5649; Cass., 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass., Sez. Un., 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 05/08/2016, n. 16598; Id. 03/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 05/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 04/03/2005, n. 4741).
Orbene, come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, con il terzo motivo di appello gli odierni ricorrenti, in allora appellanti, censuravano la sentenza di primo grado che li aveva condannati al risarcimento del danno in relazione alla compravendita del 19 gennaio 2014, lamentando che il primo giudice non aveva considerato che nel caso di specie la successiva rivendita del bene a terzi era incompatibile con il carattere fittizio dell’atto impugnato.
La corte di merito ha pertanto rigettato questa censura nei
termini in cui era stata proposta, rilevando -con motivazione scevra da vizi logico giuridici- che le varie vendite fittizie, poste in essere al preciso scopo di sottrarre a ll’azione esecutiva i beni promessi in garanzia alla banca, hanno anche creato un danno risarcibile, posto che i beni non sono più rinvenibili nel patrimonio dei simulati acquirenti per effetto della loro successiva rivendita a soggetti terzi, estranei ai fatti di causa, e dunque sono stati definitivamente sottratti alle ragioni creditorie della banca originaria attrice (v. p. 11 dell’impugnata sentenza).
Pertanto, la conferma, da parte della corte territoriale, dell’accoglimento in primo grado della domanda di risarcimento danni, esula dai riferimenti normativi invocati dai ricorrenti e dalle doglianze, fondate su nuovi profili, anche fattuali, prospettate nel motivo.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.600,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in euro 200,00, e accessori di legge, in favore della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza