Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30150 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30150 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 22/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 17-2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (nella sua qualità di assuntore del concordato Fallimentare del RAGIONE_SOCIALE), con sede legale in MilanoINDIRIZZO (codice fiscale e P_IVAIVA P_IVA), in persona del proprio amministratore unico NOME COGNOME, rappresentata e difesa in forza di procura speciale allegata al ricorso, dall ‘ AVV_NOTAIO del Foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO.
e
RAGIONE_SOCIALE (c.f. CODICE_FISCALE), in persona dei dottori NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale allegata al ricorso, dall ‘ AVV_NOTAIO del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
–
ricorrenti
–
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende.
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende.
-controricorrente-
nonchè contro
CARITÀ NOMENOME NOME
-intimati-
avverso la sentenza n. 4413/2023 della Corte di Appello di Napoli, Sezione prima civile, pubblicata il 19.10.23; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024
dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli – in accoglimento dell’appello proposto da COGNOME contro la sentenza n . 7814/2019, pubblicata in data 5.9.2019 ed emessa dal Tribunale di Napoli – ha rigettato le domande proposte dalla curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del predetto e, per l’effetto, ha revocato le dichiarazioni di inefficacia ex art. 2901 c.c. pronunciate dal giudice di primo grado: (i) del contratto stipulato in data 5/10/2012 in Marcianise per AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rep. 23664; (ii) del contratto stipulato in data 1/10/2015 in Marcianise per AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rep. 27967; (iii) del contratto stipulato in data 11/11/2015 in Marcianise per AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, rep. 28143; in accoglimento dell’atto di appello proposto da COGNOME contro la sentenza n. 7814/2019, pubblicata in data 5.9.2019 ed emessa sempre dal Tribunale di Napoli, ha rigettato le
domande proposte dalla curatela fallimentare della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del predetto e, per l’effetto, ha revocato la dichiarazione di simulazione, pronunciata dal giudice di primo grado, dell’atto stipulato in data 29/12/2011 in Napoli per AVV_NOTAIO, rep. 27625. 2. La Corte di merito, per quanto qui ancora di interesse, ha rilevato che: (a) era fondato il secondo motivo di appello proposto dal COGNOME, in ordine alla eccepita insussistenza in capo al COGNOME stesso dell’elemento psicologico richiesto dall’art. 2901 c.c. per l’acquirente di un atto a titolo oneroso ; (b) nel caso di specie, non era neanche necessario provare che l’atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie e che l’acquirente fosse partecipe di tale dolosa preordinazione, risultando invece sufficiente provare che il debitore conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore e che, a sua volta, l’acquirente fosse anch’eg li consapevole di tale pregiudizio; (c) la stipulazione dell’atto di compravendita tra la COGNOME ed il COGNOME del 5.10.2012 doveva considerarsi, infatti, successivo al compimento del fatto illecito e, conseguentemente, per quanto riguardava l’acquirente COGNOME, doveva essere provato solo che egli fosse consapevole del pregiudizio che, con l’atto stipulato, veniva arrecato alle ragioni creditorie , ai sensi dell’art. 2901 c.c., comma 1 n. 2, prima parte (cd. scientia damni); (d) gli elementi presuntivi indicati dal primo giudice, in ordine alla prova di tale ultimo requisito, apparivano infatti piuttosto deboli e soccombenti rispetto ad ulteriori circostanze; (e) quanto ai rapporti personali tra il debitore alienante e l’acquirente, la giurisprudenza di legittimità aveva fatto essenzialmente riferimento a rapporti di parentela e comunque a rapporti tali che rendessero estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente; (f) nel caso in esame, non vi erano rapporti di parentela, ma il primo giudice aveva valorizzato non meglio definiti rapporti di affari con il nipote ex filio della COGNOME, NOME COGNOME, e rapporti di conoscenza anche con il padre di quest’ultimo, NOME COGNOME, e con NOME COGNOME senior, marito della COGNOME; (g) tale tipologia di rapporti non era idonea a rendere inverosimile che il COGNOME non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sulla COGNOME, tenuto conto che non erano
rapporti di carattere familiare e che si trattava invece di rapporti di affari che il COGNOME non aveva con la RAGIONE_SOCIALE, laddove invece la situazione debitoria di quest’ultima scaturiva dalla propria attività di amministratrice societaria; (h) risultava anche opinabile la già valorizzata (nella sentenza di primo grado) sproporzione tra il prezzo indicato nell’atto di vendita (euro 3.060.000) e la valutazione del compendio immobiliare compravenduto effettuata dal consulente tecnico d’ufficio, pari ad euro 7.27 3.786,20, in quanto era emerso che alcune porzioni del compendio immobiliare non erano state realizzate in conformità degli strumenti urbanistici e che le pratiche di condono edilizio in corso ‘ricadendo il complesso immobiliare in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed archeologico ‘ – non avrebbero avuto esito positivo; in relazione a ll’atto di appello proposto dal COGNOME, la Corte partenopea ha ritenuto che: 1) era fondato il terzo motivo di appello, con conseguente assorbimento del primo e del secondo motivo; 2) nel caso di specie la curatela fallimentare non aveva fornito nessun elemento di prova, nemmeno presuntivo, tale da far ritenere che il contratto di finanziamento – dal quale scaturiva il debito restitutorio a garanzia del quale era stata successivamente concessa ipoteca volontaria, ai sensi dell’art. 2821 c.c. – fosse inesistente e che, conseguentemente, fosse simulato il detto atto di concessione di ipoteca; 3) la curatela si era invero limitata ad affermare che l’iscrizione ipotecaria accesa in favore del COGNOME era ‘più che sospetta’ ed aveva affermato poi che tale carattere sospetto derivava dal fatto che negli atti (preliminare e definitivo) intercorsi tra la COGNOME ed il COGNOME si era fatta menzione della somma di euro 425.000, nascente dal contratto di finanziamento; 4) la circostanza che a tale finanziamento si facesse espresso riferimento anche negli atti stipulati con il COGNOME (nel preliminare, per prevedere l’accollo da parte di quest’ultimo di tale debito; nel definitivo , per prevedere invece che il debito rimanesse in capo alla COGNOME, che si obbligava con il COGNOME ad estinguerlo) era un elemento che militava a favore dell’esistenza di tale contratto, al di là della tardiva produzione documentale del COGNOME; 5) la richiesta di declaratoria di simulazione della concessione di ipoteca per inesistenza del credito garantito era errata, così come era di conseguenza errata la pronuncia del primo giudice che aveva accolto tale richiesta, in
quanto la curatela avrebbe dovuto chiedere che fosse dichiarato simulato il credito a garanzia del quale veniva concessa l’ipoteca e che, conseguentemente, fosse da considerarsi estinta (e non simulata) l’ipoteca concessa a sua garanzia.
La sentenza, pubblicata il 19.10.2023, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE (nella sua qualità di assuntore del concordato Fallimentare del RAGIONE_SOCIALE), con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con separati controricorsi.
Solo il controricorrente COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 c.c. e/o 2729 c.c.
1.1 La ricorrente censura, cioè, la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto non configurabile la consapevolezza in capo al COGNOME della lesività degli atti oggetto di revocatoria (antecedenti alla dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE), valorizzando, nel senso di escludere detta consapevolezza, le modalità di pagamento previste negli specifici atti impugnati.
1.2 La doglianza, per come formulata, è all’evidenza inammissibile.
Si cerca, cioè, da parte della società ricorrente di confutare un ragionamento indiziario svolto dalla Corte territoriale con altro ragionamento indiziario e peraltro neanche sostenuto da regole di esperienza certe ovvero accertabili. Sostiene in buona sostanza la ricorrente che se il valore dei debiti accollati era inferiore al valore del bene, allora l’atto sarebbe stato di per sé lesivo per i creditori.
Sul punto è utile ricordare che, secondo il costante orientamento espresso da questa Corte (cfr. da ultimo anche: Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022), in tema di prova presuntiva il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità
della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (cd. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (cfr. anche: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n.15737 del 2003).
Ebbene, ciò che richiede la ricorrente, con il motivo di doglianza qui in esame, è proprio una diversa ricostruzione della quaestio facti , attraverso la prospettazione di una diversa inferenza probabilistica, neanche fondata su regole di esperienza verificabili.
La doglianza, così articolata, non è dunque ricevibile in questo giudizio di legittimità.
Sotto un secondo motivo di doglianza, si censura, sempre con riferimento agli atti intercorsi tra il COGNOME e la COGNOME antecedenti la dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, la violazione dell ‘ art. 2729 c.c. sotto un ulteriore profilo, sempre relativo al rilievo della non corretta valutazione del quadro indiziario contenuto nella sentenza impugnata, doglianze tutte volte ad escludere la consapevolezza, in capo all ‘ acquirente, della lesività degli atti impugnati. La
Corte d¡ Appello di Napoli, infatti, avrebbe valorizzato sparuti elementi di contenuto non preciso e non concordante ed avrebbe, invece, omesso di considerare altri elementi, di segno esattamente contrario. Aggiunge sempre la ricorrente che la circostanza secondo cui il COGNOME non fosse legato da rapporti commerciali diretti con la RAGIONE_SOCIALE rappresentava, di per sè, un elemento del tutto neutro, soprattutto se calato in un contesto, come quello in esame, in cui il detto COGNOME aveva avuto, invece, rapporti commerciali con il figlio e il nipote della COGNOME stessa.
2.1 Si è dunque qui costretti a richiamare le considerazioni già svolte in relazione al primo motivo di ricorso per decretare, anche in questo caso, l’inammissibilità delle censure prospettate dalla ricorrente che, ancora, sono volte a far ripetere a questa Corte di legittimità un nuovo apprezzamento della prova indiziaria, scrutinio che, invece, per le ragioni esposte, esula dal perimetro delimitante la cognizione del giudice di legittimità.
Con un terzo mezzo si deduce vizio di motivazione apparente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in ordine alle argomentazioni adottate dalla Corte di merito per discostarsi dagli apprezzamenti del Ctu in ordine alla valutazione del valore dei beni immobili oggetto di causa.
3.1 Anche tale motivo non supera il vaglio di ammissibilità, posto che attraverso la deduzione del vizio di motivazione apparente ovvero inesistente (peraltro solo genericamente formulato, senza la specifica indicazione delle ragioni, in fatto ed in diritto, dedotte nei giudizi di merito delle quali la Corte territoriale si sarebbe disinteressata, a dispetto della loro decisività) – la società ricorrente tenta, ancora una volta, di sollecitare questa Corte ad apprezzamenti di merito, in questo caso in ordine al giudizio sul valore degli immobili sopra descritti in premessa, apprezzamenti che esulano, come detto, dal suo sindacato.
Il quarto mezzo denuncia invero vizio di violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 2901 c.c. e/o 2729 c.c., sul rilievo che la sentenza impugnata sarebbe altresì illegittima nella misura in cui, violando platealmente i predetti artt. 2901 c.c. e 2729 c.c., aveva ritenuto non integrato il profilo della consapevolezza in capo al COGNOME
per gli atti intercorsi con la COGNOME successivamente alla dichiarazione di Fallimento della RAGIONE_SOCIALE.
4.1 Il motivo è inammissibile perché si connota, di nuovo, per la richiesta di un nuovo scrutinio di merito sulla prova presuntiva, già apprezzata dalla Corte territoriale, scrutinio in relazione al quale si rimanda alle considerazioni già svolte sopra in merito al primo motivo di ricorso.
La ricorrente propone inoltre un quinto motivo, articolato come nullità della sentenza per violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., ai sensi art. 360 n. 4, c.p.c.
5.1 La censura, così proposta dalla ricorrente, investe il diverso atto intercorso tra la COGNOME e il COGNOME, avente ad oggetto la costituzione di un ‘ ipoteca fino a concorrenza dell ‘ importo di Euro 600.000, a vantaggio di quest ‘ ultimo, sugli immobili della COGNOME, a garanzia della restituzione di un asserito prestito di Euro 425.000 concesso dal COGNOME alla COGNOME.
5.2 Ricorda più in particolare la ricorrente che la curatela aveva richiesto la dichiarazione di nullità, simulazione o la revoca dell ‘ atto costitutivo dell ‘ ipoteca, in ragione del fatto che non vi fosse la prova del prestito a garanzia del quale era stata iscritta l ‘ ipoteca. Per contro, il COGNOME, in via di eccezione, aveva contestato questa ricostruzione offrendosi di dimostrare il prestito. Sottolinea tuttavia la ricorrente che la costituzione in giudizio era stata tardiva e anche la sentenza di appello aveva affermato l ‘ inefficacia delle produzioni documentali.
5.3 Con la conseguenza -aggiunge la società ricorrente -che sarebbe scattato il meccanismo operativo del principio di non contestazione di cui all ‘ art. 115 c.p.c., rispetto al quale, dunque, la sentenza d¡ appello avrebbe dovuto desumere la fondatezza della domanda di nullità ovvero di simulazione e di revoca.
5.1 Anche la quinta doglianza è inammissibile in quanto, da un lato, non corrisponde al vero che il COGNOME non avesse contestato la circostanza dell ‘ inesistenza del credito in relazione al quale si era costituita la garanzia ipotecaria e perché, dall’altro, le censure, peraltro solo genericamente formulate, attingono il profilo di merito degli apprezzamenti giudiziali, il cui esame è inibito a questa Corte di legittimità.
Ma anche al di là di tale preliminare profilo di inammissibilità della censura, deve essere aggiunto che le doglianze, oltre ad essere state formulate in difetto del requisito di autosufficienza (non essendo stati riportati i passaggi processuali dai quali evincere il dedotto profilo di non contestazione), si dimenticano anche di censurare le effettive rationes decidendi su cui poggia il provvedimento impugnato: la sentenza qui ricorsa aveva infatti affermato che doveva essere la curatela fallimentare a fornire la prova dei fatti costitutivi dell’azione di simulazione e nulla aveva invece provato sul punto. E ciò senza contare che vi era anche un ‘ ulteriore ratio decidendi completamente ignorata nelle argomentazioni della società ricorrente, e cioè il rilievo, contenuto in un passaggio argomentativo del provvedimento della Corte territoriale, secondo il quale si sarebbe dovuto impugnare per simulazione il credito, con la conseguente dichiarazione di estinzione della ipoteca, petitum invece mai introdotto nel giudizio di revocatoria.
Il sesto mezzo denuncia ‘ Violazione e o falsa applicazione (art. 360, comma I n. 3, c.p.c.) dell ‘ art. 2697 c.c. ‘, sul rilievo dell’erronea ripartizione degli oneri probatori da parte della Corte di appello.
6.1 Aggiunge la società ricorrente che se, infatti, la curatela aveva posto come fatto costitutivo della domanda di nullità o simulazione ovvero della domanda revocatoria – la mancanza di prova del finanziamento e il convenuto, costituendosi, non aveva fornito la prova (contraria) dell ‘ esistenza del mutuo, il risultato processuale di questa dinamica avrebbe dovuto comportare la dimostrazione della fondatezza della domanda attorea. Sarebbe, dunque, erronea la sentenza di appello nella parte in cui, al contrario, aveva desunto dal dipanarsi del contraddittorio processuale la mancata prova dell ‘ inesistenza del finanziamento.
6.1 La doglianza è inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c.
Costituisce invero principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (non superato dalle considerazioni qui svolte dalla ricorrente) quello secondo cui l ‘onere della prova dei fatti costitutivi dell’azione di simulazione spetta all’attore in simulazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1690 del 18/02/1991; Sez. 1, Sentenza n. 11361 del 11/10/1999).
Il settimo motivo deduce ‘ nullità della sentenza per violazione dell ‘ art. 112 c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.) ‘, sul rilievo che la Corte d¡ Appello di Napoli, nel rigettare la domanda di revocatoria/simulazione assoluta della costituzione dell ‘ ipoteca in favore del COGNOME, si sarebbe ‘ lanciata in questa proditoria considerazione ‘, e cioè che la curatela avrebbe dovuto chiedere che fosse dichiarato simulato il credito a garanzia del quale veniva concessa l ‘ ipoteca e che, conseguentemente, fosse da considerarsi estinta (e non simulata) l ‘ ipoteca concessa a sua garanzia.
7.1 Aggiunge la ricorrente che l ‘ originaria domanda attorea colpiva la costituzione dell ‘ ipoteca, sull ‘ assunto dell ‘ inesistenza del debito a fronte del quale era stata costituita la garanzia. Si sarebbe trattato di una domanda, in punto di diritto, assolutamente corretta e legittima, avendo imposto al giudice un esame di essa sotto il profilo della fondatezza di merito. Sempre secondo la ricorrente, il passaggio della sentenza qui impugnato avrebbe eluso invece la necessità di questa pronuncia e così avrebbe violato platealmente il disposto dell ‘ art. 112 c.p.c.
7.1 Anche l’ultima censura non supera il vaglio di ammissibilità, se solo si considera che, per un verso, è la stessa parte oggi ricorrente ad ammettere che la Corte di appello aveva risposto alla sua domanda, ritenendola infondata per mancanza di prova, e che, per altro, l’ulteriore affermazione (quella cioè in ordine alla necessità dell’impugnativa diretta per simulazione del credito) integrava semmai una seconda ratio decidendi aggiuntiva, con l ‘ ovvia e necessaria conseguenza che non sarebbe possibile neanche astrattamente ipotizzarsi una omissione di pronuncia sul punto qui da ultimo in discussione. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per il primo in euro 10.000 e per il secondo in euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 15.10.2024