Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25611 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25611 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30391/2022 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME domiciliato ex lege all’indirizzo Pec in atti.
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ricorrente – contro
NOME RAGIONE_SOCIALE GIANNI RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE.
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intimati – avverso SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1687/2022 depositata il 19/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE proponeva azione revocatoria verso l’atto di costituzione prima e di integrazione poi di un fondo patrimoniale, in cui confluivano beni, sia in proprietà esclusiva sia in comproprietà, dei coniugi NOME COGNOME ed NOME COGNOME
Con sentenza n. 1546/2019 il Tribunale di Busto Arsizio dichiarava la cessazione della materia del contendere, dato che il COGNOME aveva estromesso dal fondo sia i beni di sua proprietà esclusiva sia i beni di cui era proprietario pro quota , e dichiara invece inammissibile la domanda nei confronti della COGNOME (che era stata evocata non in qualità di litisconsorte necessaria, ma erroneamentecome anch’ella legittimata passiva dell’azione pauliana).
Infine, il tribunale compensava integralmente le spese processuali tra il Fallimento ed NOME COGNOME mentre condannava NOME COGNOME sul rilievo della sua soccombenza virtuale, a rifondere al Fallimento le spese di lite.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano separati appelli, poi riuniti.
Con sentenza n. 1687 del 19 maggio 2022 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannava il Fallimento a rifondere le spese, sia di primo che di secondo grado, alla COGNOME in quanto parte totalmente vittoriosa, mentre confermava la statuizione di condanna di NOME COGNOME alla rifusione delle spese di lite in favore del Fallimento.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a sette motivi.
Resta intimato il Fallimento.
6. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. ed all’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il vizio di motivazione apparente.
Lamenta che, in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il giudice di appello ha omesso di adeguatamente motivare il collegamento causale tra mere irregolarità fiscali, che sarebbero state rilevate in un verbale della Guardia di Finanza, e la responsabilità per mala gestio di NOME COGNOME, quale amministratore unico della società poi dichiarata fallita.
Con il secondo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2727 cod. civ. ed erroneo ricorso all’istituto giuridico delle presunzioni per difetto del ‘fatto noto’.
Lamenta che il fatto ‘noto’, nella accezione di cui all’art. 2727 e ss. cod. civ., non poteva essere riferito, come invece erroneamente ritenuto dalla corte territoriale, alle valutazioni ed alle congetture contenute nel summenzionato verbale della Guardia di Finanza.
Con il terzo motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla distinzione tra contenuto materiale e contenuto ideologico di un documento.
Lamenta che la corte d’appello ha confuso il concetto di ‘contenuto materiale’ con quello di ‘contenuto ideologico’ del più volte citato verbale della Guardia di Finanza ed è così erroneamente pervenuta ad attribuire efficacia probatoria alle
deduzioni intrinseche contenute nel suddetto verbale.
Con il quarto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2727 cod. civ. e in relazione agli oneri di accertamento gravanti sull’interprete allorché si tratta di considerare ai fini presuntivi il contenuto ideologico ovvero ‘intrinseco’ di un documento.
Lamenta che la corte d’appello ha errato nell’utilizzare il verbale della Guardia di Finanza, nella sua parte ideologica, per fondare la presunzione di responsabilità di NOME COGNOME.
Con il quinto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2729 e 2697 cod. civ.
Lamenta che l’impugnata sentenza ha fondato il proprio ragionamento presuntivo su un fatto privo di gravità, precisione e concordanza e, purtuttavia, l’ha considerato quale idoneo fondamento della domanda revocatoria proposta dal Fallimento. In particolare, in violazione dell’art. 2729 cod. civ., la corte territoriale ha errato nel ritenere il verbale della Guardia di Finanza dotato del requisito della ‘precisione’, perché esso altro non è che una relazione valutativa, comunque contestata.
Con il sesto motivo il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. ed all’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il vizio di motivazione apparente.
Lamenta che la motivazione fornita dalla corte territoriale circa l’irrilevanza dell’ordinanza emessa il 13 giugno 2018 dalla Sezione Specializzata Imprese del Tribunale di Milano risulta essere solo apparente, dato che è stata totalmente omessa la disamina del contenuto dell’ordinanza de qua , che invece aveva provveduto su difese e domande del Fallimento identiche a quelle prospettate con l’esperita azione revocatoria.
Con il settimo motivo il ricorrente denunzia, in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità dell’impugnata sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ.
Lamenta che la corte di merito ha confermato la decisione del tribunale di condannare NOME COGNOME alla rifusione delle spese legali senza pronunciarsi sulle eccezioni dal medesimo svolte nell’atto di appello.
I primi sei motivi, che possono essere scrutinati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono tutti sostanzialmente finalizzati a contestare, tra i presupposti della revocatoria esperita dal Fallimento, l’esistenza di qualsivoglia credito risarcitorio del Fallimento medesimo in relazione ad irregolarità fiscali derivanti da mala gestio addebitabile a NOME COGNOME in allora amministratore unico della società fallita.
Con i summenzionati motivi, infatti, il ricorrente sostanzialmente lamenta che la corte di merito: a) non ha correttamente svolto il ragionamento presuntivo; b) ha erroneamente attribuito efficacia probatoria al contenuto intrinseco, come tale meramente valutativo, del verbale della Guardia di Finanza ex adverso prodotto in giudizio; c) ha omesso di considerare il contenuto di una ordinanza del Tribunale delle Imprese di Milano, che, nel rigettare la domanda cautelare di sequestro conservativo proposta dal Fallimento, avrebbe escluso qualsivoglia addebito di mala gestio nei confronti dell’allora amministratore unico ed odierno ricorrente, donde la sua rilevanza nel giudizio in corso.
8.1. I motivi sono infondati.
8.2. Dalla lettura dell’impugnata sentenza (v. le pp. da 5 a 8) emerge infatti che la corte d’appello ha prima svolto un’articolata ricognizione delle risultanze processuali e poi un articolato
ragionamento presuntivo, individuando i singoli indizi, gravi, precisi e concordanti, successivamente valutandoli nel loro complesso. Infatti, la corte milanese, oltre ad evocare sentenza del 6 aprile 2016 con cui il Tribunale di Busto Arsizio aveva rigettato l’opposizione di NOME COGNOME al rigetto della sua istanza di insinuazione al passivo per compensi derivanti dall’attività di amministratore della società, non si è limitata a considerare il verbale di contestazione della Guardia di Finanza, ma ha anche, e soprattutto, attribuito rilievo agli avvisi di accertamento per omesso versamento delle imposte che ad esso sono seguiti e che, notificati alla curatela della società fallita, sono divenuti definitivi.
Così argomentando, dunque, l’impugnata sentenza si è pronunciata conformemente al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui ‘In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa
applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (v. tra le tante Cass., 21/03/2022, n. 9054; Cass., n. 5812/2023).
All’opposto, “la critica al ragionamento presuntivo svolto dal giudice di merito sfugge al concetto di falsa applicazione quando invece si concreta o in un’attività diretta ad evidenziare soltanto che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento presuntivo è stato enunciato dal giudice di merito, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo (sicché il giudice di merito è partito in definitiva da un presupposto fattuale erroneo nell’applicare il ragionamento presuntivo), o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729, primo comma”, e “ciò tanto se questa prospettazione sia basata sulle stesse circostanze fattuali su cui si è basato il giudice di merito” (v. Cass., n. 9054 del 2022, cit.), “quanto se basata altresì su altre circostanze fattuali” (così, del pari, Cass., n. 9054 del 2022, cit.; in senso analogo Cass., n. 18611 del 2021, che evidenzia come, ricorrendo tale ultima ipotesi, si realizzi lo sconfinamento della censura dalla “violazione dell’art. 2729 cod. civ.” e si assista al “suo approdo in una dimensione che, se del caso, potrebbe
piuttosto trovare legittimazione nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., s’intende nei limiti del controllo della motivazione sulla quaestio facti” consentiti dal testo di tale norma, come novellato dall’art. 54, comma 1, lett. b, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, nell’interpretazione datane da Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e dalla successiva, conforme, giurisprudenza di questa Corte).
8.3. Prive di pregio sono, inoltre, le doglianze del ricorrente in ordine alla asserita errata valutazione del contenuto del verbale della Guardia di Finanza, in quanto non solo finiscono per sollecitare un riesame delle risultanze probatorie, estraneo tuttavia al sindacato di legittimità, ma non risultano per nulla correlate alla motivazione dell’impugnata sentenza, che ha invece attribuito efficacia probatoria agli accertamenti che a tale verbale sono seguiti e sono divenuti, nel loro contenuto oggettivo circa l’esistenza dell’omesso versamento delle imposte, definitivi.
8.4. Parimenti infondata è l’ulteriore doglianza, che variamente ricorre nei sei motivi in scrutinio, di omesso esame del provvedimento, emesso dalla Sezione Specializzata Imprese del Tribunale di Milano, di rigetto della domanda di sequestro conservativo in allora proposta dal Fallimento nei confronti dell’odierno ricorrente.
Dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta infatti che la corte territoriale ha invece espressamente esaminato la citata ordinanza cautelare, salvo poi ritenerla irrilevante ai fini del decidere, in quanto relativa ad un profilo di responsabilità dell’amministratore diverso (poiché relativo al ritardo nella messa in liquidazione della società) da quello oggetto del presente giudizio (relativo agli avvisi di accertamento per omesso pagamento delle imposte).
8.5. Le ulteriori doglianze, in particolare contenute nel sesto
motivo, secondo cui la corte d’appello non avrebbe colto il contenuto effettivo del citato provvedimento del Tribunale delle Imprese, vengono inammissibilmente dedotte, dato che sotto la formale invocazione del vizio di cui al n. 4 degli artt. 132 e 360 cod. proc. civ., sostanzialmente il ricorrente sollecita un riesame del fatto e della prova, estraneo al sindacato di legittimità.
8.6. Infine, risultano manifestamente infondati i motivi che invocano il vizio di motivazione apparente, dato che la motivazione invece esiste, e non solo graficamente, ma in quanto svolta in maniera scevra da vizi logico-giuridici e del tutto idonea a rendere percepibile il fondamento della decisione.
9. Il settimo motivo è inammissibile.
Si risolve anzitutto in un ‘non motivo’, dato che il ricorrente non svolge specifiche censure, ma si limita ad auspicare la riforma dell’impugnata sentenza, là dove ha confermato la sentenza di primo grado che aveva condannato il Monfredi alla refusione delle spese di lite, come diretta conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi di impugnazione (v. p. 21 del ricorso).
E’, inoltre, inammissibile ex art. 360 -bis cod. proc. civ., nella misura in cui il ricorrente perviene sostanzialmente a lamentare l’eccessivo ammontare delle spese processuali liquidate a suo carico nonché l’illegittimità della sua condanna a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, senza tuttavia considerare i costanti principi di diritto posti da questa Suprema Corte, (ed ai quali la corte di merito si è uniformata: v. p. 8 dell’impugnata sentenza), che giova qui ribadire e secondo i quali:
– in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata – nemmeno in minima parte – al pagamento delle stesse; ne consegue che il
sindacato della Corte di Cassazione è limitato all’accertamento della mancata violazione di detto principio, esulandovi sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto in quella di concorso con altri giusti motivi) sia la relativa quantificazione, ove quest’ultima non ecceda i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti, che restano appannaggio del potere discrezionale del giudice di merito (v. da ultimo Cass., 15/04/2025, n. 9860; Cass., n. 19613/2017);
-il giudice non è gravato di uno specifico onere di motivazione sull’entità della liquidazione, purché questa si mantenga tra il minimo ed il massimo di tariffa (Cass., n. 20289/2015; Cass., n.9542/2020);
ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1 del d.P.R. n. 115 del 2002, l’obbligazione di pagamento del contributo unificato è tale ex lege per un importo predeterminato e grava “in ogni caso” sulla parte soccombente, per effetto della stessa condanna alle spese, essendo sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare, tanto da non richiedere alcuna pronuncia in merito da parte del giudice medesimo (Cass., 07/12/2021, n. 38943; Cass., 10/07/2019, n. 18529).
All’inammissibilità e infondatezza dei morivi consegue il rigetto del ricorso.
Non è luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 4 aprile 2025.
Il Presidente NOME COGNOME