Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17303 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9662/2018 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (c.f. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME e in proprio NOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME.
–
– ricorrenti
contro
COGNOME RINA
COGNOME
DELLA SCHIAVA PAMELA
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste, depositata in data 21.2.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste ha rigettato il reclamo ex art. 18 l. fall. presentato da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, nei confronti di COGNOME COGNOME e COGNOME avverso la sentenza n. 62/2017 del Tribunale di Udine, con la quale era stato decretato il fallimento della predetta società.
La Corte di merito ha osservato e rilevato che: (i) la società fallenda non aveva dimostrato il possesso congiunto dei requisiti dimensionali per non essere assoggettata alle disposizioni sul fallimento, ‘a nulla rilevando, in assenza dei pertinenti bilanci sociali …’, ‘i semplici dati contabili (dei tre esercizi precedenti la dichiarazione di fallimento) ricavabili dal solo ‘libro inventari’ e dalle dichiarazioni fiscali versati in atti, di incerta attendibilità e peraltro con contenuti che appaiono (quantomeno parzialmente) in palese contraddizione gli uni con gli altri, così da essere inidonei a sostenere il gravame’; (ii) ‘a diverse conclusioni non poteva pervenirsi neppure avuto riguardo al contenuto dello stato passivo formato dal g.d., e alla comunicazione del curatore di una prossima chiusura della procedura per l’inesistenza di attivo, trattandosi di elementi che non dimostrano il possesso congiunto dei requisiti citati’; (iii) era da considerarsi pacifica l’ esistenza di debiti in capo alla società in misura superiore alla soglia minima di legge, ai sensi dell’art. 15, u.c., l. fall., verso dipendenti e fisco, e la riferita assenza di sue proprietà immobiliari o mobiliari, ‘ulteriormente suffragata dal verbale di pignoramento mobiliare (negativo) vanamente eseguito il 28.6.2016 presso la sede soc iale’ , evidenziava la manifesta incapacità della società debitrice a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, versando dunque la stessa in uno stato di vera e propria insolvenza.
La sentenza, pubblicata il 21.2.2018, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e da NOME COGNOME in proprio, con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Le parti intimate non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione de ll’ art. 15, 4 comma, l. fall., sul rilievo che la Corte di appello non avrebbe ritenuto significative, ai fini della prova del possesso congiunto dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1 l. fall., le dichiarazioni fiscali IRES e IRAP dei tre anni precedenti l’istanza di fallimento , depositate in atti con le rispettive ricevute di spedizione telematica all’ Agenzia delle entrate.
1.1 Il primo motivo è inammissibile.
Le doglianze articolate dalla parte ricorrente non si correlano infatti con la ratio decidendi che sorregge la motivazione del provvedimento impugnato. Non corrisponde al vero, infatti, quanto denunciato dalla ricorrente nel motivo in esame, e cioè che, contrariamente ai principi affermati in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte territoriale avesse ritenuto non utilizzabile, ai fini dello scrutinio dei requisiti soggettivi di non fallibilità, la documentazione di natura fiscale, avendo, cioè, considerato fruibile, per tale prova, esclusivamente i dati contabili riferiti ai bilanci sociali.
In realtà, la Corte di appello si è limitata, diversamente da quanto opinato dalla parte ricorrente, ad evidenziare l’inattendibilità probatoria della predetta documentazione fiscale e contabile e dunque la non utilizzabilità della stessa, ai fini della prova dei requisiti di cui all’art. 1, 2 comma, l. fall.
Nessuna affermazione contraria ai principi fissati da questa Corte è dunque rintracciabile nel provvedimento qui impugnato.
Va invero ricordato che la giurisprudenza di legittimità è ormai ferma nel ritenere che, in tema di dichiarazione di fallimento, per dimostrare i requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, l. fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi depositati ai sensi dell’art. 15, comma 4, l. fall. non assurgono a prova legale, potendo il debitore assolvere l’onere che gli incombe con strumenti probatori alternativi, segnatamente avvalendosi delle scritture contabili
dell’impresa, come di qualunque altro documento, anche formato da terzi, suscettibile di fornire la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25025 del 09/11/2020; Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 35381 del 01/12/2022).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., de ll’ art. 15, 4 comma, l.fall., in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto contraddittori i dati contabili risultanti dal libro inventari rispetto ai dati contabili risultanti dalle dichiarazioni fiscali IRES e IRAP dei tre anni precedenti l’istanza di fallimento depositate in uno con le rispettive ricevute di spedizione telematica.
2.1 Il motivo è all’evidenza inammissibile, posto che, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, pretende ora la parte ricorrente un nuovo scrutinio della quaestio facti , sul profilo più in particolare dell’attendibilità o meno, dal punto di vista probatorio, della documentazione esaminata dalla Corte di merito, scrutinio che, come è noto, esula dall’ambito di sindacato del giudice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, lett. a), e 15, comma 4, l. fall., sul rilievo che la Corte di appello aveva ritenuto che la mancanza di proprietà immobiliari fosse indice del mancato superamento del requisito di cui all’art. 1, comma 2, lett . a), l. fall.
3.1 Anche il terzo motivo non supera il vaglio di ammissibilità per le medesime ragioni già spiegate in relazione al motivo che precede, perché, cioè, la parte ricorrente ambisce a che in questo giudizio di legittimità si faccia luogo ad un nuovo apprezzamento delle prove di matrice documentale, in questo caso, peraltro, con deduzioni solo genericamente formulate.
Il quarto mezzo denuncia ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360, nr. 5, c.p.c.)’, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare il
bilancio finale di liquidazione regolarmente depositato nel registro imprese ed il bollettino protesti.
4.1 La doglianza, anch’essa di natura fattuale, è inammissibile , perché le relative censure vengono articolate al di fuori del paradigma applicativo del denunciato vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (per come perimetrato dalla giurisprudenza di legittimità: v. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014), senza cioè l’indicazione del ‘fatto storico’ nel cui omesso esame sarebbe incorso il giudicante. Sul punto va inoltre ricordato che l ‘omessa considerazione di elementi di prova non integra omesso esame fatto decisivo (v. ex pluris Cass. ord. 29.10.2018, n. 27415), fatto che, peraltro, nel caso di specie è stato esaminato dalla Corte di merito.
I ricorrenti deducono infine un quinto motivo, con il quale denunciano la ‘nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 18 comma 10 l. fall. (ex art. 360, n. 4, c.p.c.)’, in quanto la Corte di appello di Trieste non avrebbe esercitato i suoi poteri officiosi e non assunto le prove ritenute necessarie.
5.1 Anche in tal caso le doglianze sono inammissibili perché decentrate rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, che, in relazione al profilo della dimostrazione della sussistenza dei requisiti soggettivi di non fallibilità, ha correttamente applicato il principio di ripartizione degli oneri probatori fissato dalla legge fallimentare a ll’art. 1, 2 comma, sanzionando, cioè, la società debitrice per la mancata prova in giudizio della ricorrenza dei predetti presupposti, così rendendosi evidente la non attivabilità di poteri istruttori officiosi, per lo meno nei termini di doverosità, richiesti dalla società ricorrente nel motivo qui in esame.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa delle parti intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28.5.2025