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Prova incarico professionale: Cassazione chiarisce

Uno studio di commercialisti si è visto rigettare la domanda di ammissione al passivo per compensi professionali dal tribunale, per mancata prova scritta dell’incarico. La Cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la prova dell’incarico professionale non richiede la forma scritta e può essere fornita con ogni mezzo, anche con presunzioni. I documenti prodotti non possono essere ritenuti inammissibili solo perché la loro pertinenza non è stata dettagliata singolarmente. Il caso è stato rinviato al tribunale per un nuovo esame.

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Prova incarico professionale: non serve un contratto scritto

La recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sulla prova incarico professionale in ambito fallimentare. Molti professionisti si trovano a dover dimostrare l’esistenza di un mandato e l’entità del proprio lavoro di fronte a un curatore o a un giudice, specialmente quando l’accordo è stato verbale. La Corte ha stabilito principi fondamentali che tutelano il lavoro del professionista contro un eccessivo formalismo, ribadendo che la fiducia e la sostanza del rapporto prevalgono sulla rigidità della forma.

I fatti di causa

Il caso riguarda uno studio di commercialisti associato che aveva richiesto l’ammissione al passivo del fallimento di una società di abbigliamento sportivo per un credito di oltre 84.000 euro. Tale credito derivava da prestazioni professionali svolte, in parte, per la preparazione di una domanda di concordato preventivo e, in parte, per consulenza ordinaria.

Il tribunale di merito aveva rigettato l’opposizione dello studio, motivando la decisione su due punti principali:
1. Mancanza di un incarico specifico (ad hoc): Secondo il giudice, non era stata fornita la prova di un mandato formale e specifico per la preparazione del concordato, ritenendo insufficiente una vecchia lettera di incarico del 2013 che riguardava l’assistenza generica.
2. Inammissibilità delle prove documentali: Il tribunale aveva giudicato inammissibili i numerosi documenti prodotti dallo studio perché la loro pertinenza e congruenza con le singole voci del credito non era stata illustrata in modo specifico nell’atto di opposizione.

Contro questa decisione, lo studio professionale ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando sia la violazione delle norme sul contratto d’opera professionale sia l’illogicità della motivazione riguardo all’onere della prova.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dello studio professionale, cassando il decreto del tribunale e rinviando la causa per un nuovo esame. La decisione si fonda su una netta presa di posizione contro l’eccessivo formalismo e a favore di una valutazione sostanziale delle prove.

Le motivazioni: la prova dell’incarico professionale non richiede formalismi

Il punto centrale delle motivazioni della Corte è il principio della libertà di forma per il conferimento di un incarico professionale. La Cassazione ha ribadito con forza che, salvo casi eccezionali previsti dalla legge, un mandato di consulenza non necessita di un contratto scritto né per la sua validità (ad substantiam) né per la sua prova in giudizio (ad probationem).

Questo significa che il professionista può dimostrare di aver ricevuto l’incarico con qualsiasi mezzo di prova, inclusi:
* Presunzioni: elementi logici e fattuali che, nel loro complesso, rendono verosimile l’esistenza del rapporto.
* Testimoni: persone che possono confermare l’esistenza e l’oggetto dell’accordo.
* Comportamenti concludenti: azioni delle parti che dimostrano in modo inequivocabile la volontà di instaurare un rapporto professionale.

L’onere della prova incarico professionale spetta ovviamente a chi richiede il compenso, ma il giudice non può escludere a priori mezzi di prova diversi dal documento scritto.

Le motivazioni: l’utilizzabilità dei documenti in giudizio

La Corte ha anche censurato la decisione del tribunale di ritenere inammissibili i documenti prodotti solo perché il ricorrente non ne aveva esplicitato dettagliatamente la rilevanza per ogni singola prestazione. Secondo gli Ermellini, l’art. 99 della Legge Fallimentare non può essere interpretato in modo così rigido.

Non è necessario che l’opponente illustri analiticamente la connessione tra ciascun documento e ciascuna pretesa, specialmente quando dal tenore complessivo degli atti e dalla natura dei documenti stessi sia chiaro quali fatti si intendano provare. Sarà poi il giudice, nella sua valutazione di merito, a stabilire la pertinenza e l’idoneità di tali prove a dimostrare il fondamento della domanda.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta una vittoria per i professionisti e un importante promemoria sul valore del lavoro svolto, anche in assenza di formalismi contrattuali. Le conclusioni pratiche che possiamo trarre sono le seguenti:
1. Libertà di forma: L’incarico professionale è valido ed efficace anche se conferito verbalmente. Tuttavia, è sempre consigliabile formalizzare gli accordi per iscritto per evitare future contestazioni.
2. Onere della prova: Il professionista deve essere in grado di dimostrare l’esistenza del mandato e le attività svolte. È fondamentale conservare e-mail, appunti, bozze e qualsiasi documento che attesti il lavoro eseguito.
3. Principio di non formalismo processuale: In giudizio, le prove documentali non possono essere respinte per mere ragioni formali se il loro scopo probatorio è chiaramente desumibile dal contesto difensivo.

La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, bilancia correttamente le esigenze di certezza del diritto nelle procedure concorsuali con la tutela del diritto al compenso del professionista, basandosi su una valutazione sostanziale degli elementi di prova.

È necessaria la forma scritta per un incarico di consulenza professionale?
No, l’ordinanza ribadisce che il mandato professionale per attività di consulenza non richiede la forma scritta per essere valido o provato in giudizio. Può essere conferito in qualsiasi forma idonea, anche verbalmente o tramite comportamenti concludenti, e la sua esistenza può essere dimostrata con ogni mezzo di prova, incluse testimonianze e presunzioni.

In un’opposizione allo stato passivo, bisogna spiegare la pertinenza di ogni singolo documento prodotto?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che un’interpretazione così formalistica delle norme processuali è errata. Non è necessario che l’opponente illustri la congruenza di ogni singolo documento se dal tenore complessivo degli scritti difensivi è chiaro a quali fatti le prove si riferiscono. Spetta poi al giudice valutarne la pertinenza.

Cosa significa che un documento non ha ‘data certa’ opponibile al fallimento?
Significa che la data apposta su una scrittura privata non è di per sé sufficiente a provare che il documento sia stato formato prima della dichiarazione di fallimento, e quindi non può essere opposto agli altri creditori. Tuttavia, ciò riguarda la prova della data del documento, non l’esistenza del contratto sottostante, che può essere dimostrata con altri mezzi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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