Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6914 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6914 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 179/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME COGNOME domiciliazione telematica come in atti
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME domiciliazione telematica come in atti
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO CALTANISSETTA n. 164/2023 depositata il 16/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME si opponeva a un decreto ingiuntivo emesso, per 250 mila euro oltre accessori, su domanda di NOME COGNOME deducendo di aver contratto plurimi mutui che, complessivamente, integravano la fattispecie dell’usura, con conseguente nullità delle pretese obbligazioni a suo carico;
il Tribunale, davanti al quale resisteva l’opposto, revocava l’ingiunzione condannando l’opponente al pagamento della somma di 242 mila euro, oltre interessi e spese, osservando che:
-la pretesa creditoria doveva ritenersi correlata a uno solo prestito, del 28 marzo 2011, a garanzia del quale era stato rilasciato l’assegno, poi risultato privo di provvista, posto a fondamento della richiesta monitoria;
-il tasso medio su base annua risultava inferiore alla soglia usuraia, secondo i rilevamenti per tempo della Banca d’Italia, come confermato dalla stessa consulenza tecnica disposta dall’ufficio requirente del parallelo procedimento penale, che aveva così escluso l’ipotizzabilità del reato di usura;
-il negozio prevedeva per entrambe le parti la possibilità di estinzione anticipata del prestito, con riduzione del capitale ovvero corrispondente risparmio per il mutuatario, mentre l’annessa polizza assicurativa per il caso di morte del debitore, tra l’altro anche agente di assicurazione, con beneficiario il creditore, era coerente con la prassi propria dei finanziamenti bancari, sicché la deduzione di sproporzione delle posizioni contrattuali, e conseguente complessiva illiceità usuraia in concreto, era infondata;
-dovevano detrarsi i pagamenti provati, con corretta imputazione a interessi e non al capitale come sostenuto dall’opponente, del quale era da disattendere anche la domanda
riconvenzionale che, quanto ai pretesi danni da diffamazione, non era sorretta dal collegamento con la domanda principale necessario a renderla scrutinabile nel medesimo processo;
la Corte di appello disattendeva il gravame osservando che:
-non vi era prova del preteso mutuo del 17 dicembre 2010, bensì solo di quello del 28 marzo 2011, posto che lo stesso opponente aveva affermato che il relativo documento non esisteva più, perché distrutto dalla controparte, laddove l’unica prova al riguardo, come tale insufficiente, sarebbe stata la polizza ‘vita’ analogamente stipulata e che, sul preteso piano presuntivo, non avrebbe altrimenti avuto ragione d’essere sottoscritta;
-in ogni caso il consulente della Procura nel procedimento penale aveva escluso il superamento del tasso soglia se non per l’ipotizzata operazione del 17 dicembre 2010 e, nell’ipotesi, solo per uno ‘scarto davvero minimo’;
-il Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza di archiviazione, aveva dato atto dell’assenza d’idonea prova, al di là delle dichiarazioni della persona offesa, dell’operazione negoziale del dicembre 2010, mentre nessun decisivo elemento, a favore dell’assunto di usura, era evincibile dalle dichiarazioni di una persona assunta a sommarie informazioni testimoniali, NOME COGNOME che, comunque, aveva temporalmente collocato l’altro preteso prestito nei primi mesi del 2010 e non nel dicembre di quell’anno;
-quanto alla pretesa sproporzione delle obbligazioni negoziali accertate, in uno all’ipotizzata conoscenza delle difficoltà economiche di Acciaro da parte di COGNOME, dalle sommarie informazioni testimoniali, assunte come tali in sede penale, era risultato che si trattava di situazioni dovute sia alla crisi economica che aveva ‘colpito le imprese’ nel periodo, sia al tenore di vita del debitore ‘superiore alle sue possibilità’, fermo che Acciaro era stato provato essere proprietario di 22 unità immobiliari del valore di
quasi 3 milioni di euro, sicché avrebbe potuto ragionevolmente far fronte alle sue necessità con dismissioni;
-inoltre, i pagamenti dimostrati erano da imputare alla pattuita quota d’interessi, come statuito dal giudice di prime cure;
-infine, quanto alla residua domanda riconvenzionale di Acciaro, non solo era riferita a fatti diffamatori estranei al giudizio, ma era comunque risultata priva di ogni elemento probatorio a supporto dell’assunto e connesso stato di frustrazione, così come dell’affermato danno da lucro cessante;
avverso questa decisione ricorre per cassazione NOME COGNOME articolando otto motivi;
resiste con controricorso NOME COGNOME
le parti hanno depositato memorie illustrative;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello, nell’escludere la prova del finanziamento del dicembre 2010, avrebbe in particolare mancato di motivare effettivamente in ordine al significato probatorio della polizza ‘vita’, obliterando la registrazione audio confessoria prodotta e su cui avrebbe dovuto disporre consulenza fonica all’esito dell’effettuata contestazione di controparte, laddove nella stessa decisione gravata si erano richiamati elementi probatori, in specie le sommarie informazioni testimoniali assunte in sede penale da NOME COGNOME che avevano confermato il precedente prestito in questione;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato in particolare motivando nel senso di escludere la prova del primo finanziamento, per poi richiamare, contraddittoriamente, anche le dichiarazioni dello stesso deducente che, in sede penale, aveva riaffermato la pluralità di prestiti ma, ad avviso del Collegio di merito, non collegando direttamente il
secondo all’estinzione del primo, mentre tale verosimile connessione era stata allegata;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, cod. proc. civ., 644, cod. pen., poiché la Corte di appello avrebbe errato affermando, nel richiamare la consulenza tecnica svolta in sede penale, che lo sforamento imputabile al prestito del dicembre 2010 era stato ‘davvero minimo’, con conseguente esclusione dell’elemento soggettivo della fattispecie usuraia, laddove mai COGNOME aveva sollevato una tale eccezione, limitandosi diversamente a controdedurre l’inesistenza di quel mutuo;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe mancato di prendere posizione e motivare in ordine alla sussistenza o meno di contestazioni specifiche delle allegazioni fattuali attoree in ordine alla sproporzione delle condizioni negoziali e alla conoscenza delle difficoltà economiche e finanziarie del debitore da parte del creditore;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe motivato in modo solo apparente, in particolare facendo riferimento alle dichiarazioni rese in sede penale da NOME COGNOME poiché dalle stesse si sarebbe dovuta evincere la conferma della complessiva situazione di difficoltà economica e finanziaria del debitore, ulteriore rispetto all’equilibrio negoziale del singolo prestito, data dalla mancanza di liquidità per far fronte allo scoperto bancario di 70 mila euro, attestato dalla documentazione attorea, a prescindere dalla titolarità di immobili;
con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe motivato in modo solo apparente sullo stesso equilibrio delle condizioni negoziali, senza considerare, in particolare,
l’anomalia del rilascio in garanzia di un assegno azionabile esecutivamente quale titolo stragiudiziale, l’ammontare irrisorio della penale per recesso anticipato, esercitato senza attendere la fisiologica evoluzione biennale del mutuo, il nuovo prestito del marzo 2011 a distanza di pochi mesi dal primo, del dicembre 2012; con il settimo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, 156, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe motivato in modo del tutto disconnesso dalla sentenza di primo grado oggetto di gravame di merito, perché, in particolare, il Tribunale aveva rigettato la domanda riconvenzionale per l’astratta carenza di configurabilità dell’usura, sicché l’affermazione della mancanza di ulteriori elementi in concreto dimostrativi del fondamento di suddetta pretesa era privo di capacità esplicativa; con l’ottavo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91, cod. proc. civ., poiché, in ragione della fondatezza delle sopra esposte censure, la regolazione delle spese operata dalla Corte di appello sarebbe stata erronea;
considerato che
i primi sette motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili, con assorbimento logico dell’ottavo;
la Corte di appello, in primo luogo, ha negato la dimostrazione del primo prestito, ritenendo insufficiente la mera stipula della polizza vita, tanto più considerando che, a fronte della mancanza di ogni altro elemento di prova che non fossero le dichiarazioni della parte interessata, così come osservato anche nell’ordinanza di archiviazione resa nel procedimento penale, anche le sommarie informazioni testimoniali in quella sede assunte da NOME COGNOME avevano temporalmente collocato l’ipotetico precedente prestito nei primi mesi del 2010 e non, come sostenuto dall’originario attore, nella seconda metà dell’ultimo mese di quell’anno (pag. 12 della sentenza gravata);
di qui l’irrilevanza implicitamente ritenuta in ordine alla consulenza fonica sulla pretesa quanto contestata registrazione confessoria prodotta;
a quest’ultimo riguardo parte ricorrente, a supporto della decisività di tale registrazione, riporta quanto sarebbe stato detto in modo non solo parziale ma, altresì, con contenuti privi di capacità univocamente dirimente, perché espressivi di un riferimento a un non meglio dettagliato ‘primo prestito estinto’;
ferma l’inammissibilità della deduzione di omesso esame documentale, qualificabile ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per la presenza ostativa della doppia decisione conforme dei giudici di merito, a mente del nuovo art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., e già codificata nell’art. 348 -ter , quinto comma, precedente alla novella di cui al d.lgs. n. 149 del 2022, va ribadito che la suddetta omissione, in caso, come nella specie, di una prova precostituita la cui genuinità avrebbe potuto essere in tesi confermata in via peritale, può essere denunciata in sede di legittimità solo nell’ipotesi in cui il documento in parola offra la prova di una circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr., ad esempio, Cass., 13/06/2024, n. 16583, Cass., 26/06/2018, n. 16812);
in questo quadro sono sovrabbondanti ma non dirimenti i richiami dalla Corte distrettuale per un verso alle dichiarazioni rese in sede penale dall’odierno ricorrente, ritenute non sufficienti a sostenere neppure uno specifico collegamento tra le assunte operazioni di prestito, per altro verso alla consulenza pure svolta in quella sede che aveva comunque indicato uno scarto minimo del primo prestito ipotizzato rispetto alla soglia usuraia, ad esclusione in ogni caso dell’elemento soggettivo, scrutinato quale fatto costitutivo della
dedotta fattispecie e riguardo alla carenza del quale, come tale, peraltro, non necessitavano eccezioni avversarie di sorta;
sotto alcun profilo è ipotizzabile una radicale carenza motivazionale, residuando solamente il tentativo della parte odierna ricorrente di ottenere un riesame in fatto delle risultanze istruttorie, estraneo a questa sede di legittimità;
parimenti deve dirsi, in coerenza, quanto al profilo della ‘usura in concreto’ prospettata, e vagliata dal giudice di seconde cure, per sproporzione delle condizioni negoziali e conoscenza, con conseguente approfittamento, dell’affermata condizione di difficoltà economica del debitore da parte del creditore;
l’accertata esclusione di quelle condizioni, alla luce in specie del variegato quanto più che significativo patrimonio immobiliare del debitore, sulla cui più o meno agevole dismissibilità nulla di pregnante si allega essere stato discusso, è un tipico giudizio in fatto riservato, pertanto, al giudice di merito;
allo stesso modo, il lamentato disequilibrio illecito delle condizioni negoziali, sia pure nella prospettiva attorea, è stato oggetto di vaglio fattuale da parte del Collegio di secondo grado, tenuto conto della struttura dell’unico mutuo accertato, del tutt’altro che anomalo rilascio di assegno in garanzia, dell’impossibilità di evincere le pretese conclusioni dalla sola considerazione dell’importo contenuto della clausola penale di recesso pattuita e, come tale, anch’essa da ritenere contrattualmente fisiologica;
quanto alle residue domande riconvenzionali, non per danno emergente, logicamente assorbite dal sopra discusso rigetto, quanto per il ristoro di pregiudizi da condotte diffamatorie, la Corte territoriale, dopo aver ricordato che il Tribunale ne aveva ritenuto il difetto di oggettivo collegamento con la domanda principale, e dunque un’inammissibilità che non si dimostra essere stata censurata in appello con conseguente giudicato interno, ha
comunque concluso per il difetto di prova, sicché la motivazione è anche in questo caso riconoscibile e in fatto; spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i primi sette motivi, assorbito l’ottavo, condannando parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in euro 6.000,00, oltre a 200,00 euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7/11/2024.