Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15013 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15013 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10613/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in CASCINA (PI), INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in SAN MINIATO INDIRIZZO DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso decreto di TRIBUNALE PISA al n. 3080/2019 depositato il 11/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha proposto nel RAGIONE_SOCIALE in liquidazione domanda di restituzione di beni mobili detenuti in locali relativamente ai quali il curatore aveva apposto i sigilli, deducendone l’illegittima apposizione quanto agli immobili in cui si trovavano i beni oggetto di domanda di restituzione, in quanto beni immobili detenuti dal ricorrente. Il ricorrente ha allegato di essere conduttore dei locali in cui erano stati rinvenuti i beni inventariati, ancorché il contratto fosse stato risolto.
Il giudice delegato ha rigettato la domanda, con decreto confermato dal Tribunale di Pisa, qui impugnato. Ha ritenuto il giudice del merito che non vi fosse prova della proprietà dei beni mobili rivendicati dall’opponente a termini di quanto disposto dall’art. 621 cod. proc. civ. , osservando che i beni si trovavano in locali di proprietà della società fallita già detenuti in locazione dall’opponente , con contratto successivamente risolto e in relazione al quale l’opponente doveva ritenersi occupante senza titolo.
Propone ricorso per cassazione l’opponente , affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il fallimento, ulteriormente illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1590 e 1591 cod. civ., nella parte in cui il decreto impugnato ha ritenuto che, dopo la risoluzione di un contratto di locazione, la successiva occupazione dei locali, in continuità con la precedente detenzione, debba essere qualificata, pur in pendenza di rilascio dell’immobile, alla stregua di occupazione senza titolo, anziché come legittima detenzione. Osserva parte ricorrente di godere di detenzione qualificata dei locali di proprietà della società fallita, benché successiva alla cessazione del rapporto locatizio, con conseguente diritto all’apprensione de i beni mobili ivi rinvenuti.
n. 10613/2022 R.G.
Il primo motivo è inammissibile -così assorbendosi la preliminare eccezione di inammissibilità formulata dal controricorrente (ribadita in memoria) – in quanto non coglie la ratio decidendi del decreto impugnato, incentrata sul difetto di prova della proprietà dei beni oggetto della domanda del ricorrente (« Non vi è prova della proprietà dei beni mobili appresi al fallimento in capo alla opponente »).
Parimenti, non rileva l’esistenza di un titolo in base al quale il rivendicante detiene gli immobili in cui i beni mobili rivendicati sono custoditi, essendo l’istante onerato , in ogni caso, della doppia prova della proprietà del bene e dell’affidamento del bene al debitore per un titolo diverso dalla proprietà (Cass., n. 16158/2007).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avente ad oggetto la circostanza in fatto secondo cui uno dei tre capannoni comunicanti e nei quali erano stati rinvenuti alcuni dei beni poi inventariati non era di proprietà della società fallita, né era stato concesso in godimento a quest’ultima . Deduce, in particolare, il ricorrente che alcuni dei beni inventariati, indicati dalla fine della pagina 4 dell’inventario sino a pagina 5, erano contenuti in una unità immobiliare di terzi (« immobile 2 »), luogo estraneo alla società dichiarata fallita, sito in Bientina (PI), concesso in comodato alla ricorrente.
Il motivo è inammissibile, non apparendo enunciata ed illustrata la decisività del fatto storico, atteso che -al di là del l’omessa indicazione di quali beni inventariati sarebbero stati oggetto di domanda di rivendica -consta che il giudice del merito ha accertato il difetto di prova da parte del ricorrente circa la proprietà dei beni. Né risulta dedotto in che termini, dunque, l’inventariazione dei beni della società fallita al di fuori dei locali
dell’impresa avrebbe potuto condizionare il giudizio relativo alla proprietà dei beni oggetto di rivendica.
D’altro canto, ove l’inventario venga esteso a quanto rinvenuto in locali dati in comodato al rivendicante da un terzo, la circostanza in sé non fa venir meno l’avvenuta presunzione di legittimità e inerenza alla massa dell’apprensione dei beni che il curatore ha fatto nei locali dell’impresa a termini dell’ art. 84 l. fall. sede principale dell’impresa e , in ogni caso, sui beni del debitore.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 6.000,00 , oltre € 200,00 per anticipazioni, 15% rimborso forfetario e accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 27/05/2025.